Sul Festival di Sanremo appena concluso abbiamo chiesto un parere al promoter Ruggero Pegna
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Ancora una volta Amadeus, coadiuvato dal suo team, ha fatto centro, a dispetto di ogni critica. Invidiosi, faziosi e professori non mancano mai, come non mancano quelli che vorrebbero un festival tutto concepito a proprio gusto, ma l’intuito e la competenza, al di là del talento e della simpatia da bravo presentatore, hanno confezionato un altro capolavoro. Non è stato solo un successo di audience, che per molti è l’unica misura per giudicare la riuscita di un programma televisivo, ma della sua visione complessiva di Festival della Canzone Italiana nel pieno di una rivoluzione musicale generazionale.
La sua capacità di innovare musicalmente il Festival è riuscita a far superare una formula ormai obsoleta che divideva big e nuove proposte, senza comprendere che oggi le nuove proposte sono i veri big per la platea giovanile, vera fruitrice e consumatrice di musica. Un festival, inguardabile e inascoltabile a parere della maggior parte dei ragazzi, è diventato improvvisamente di loro interesse, al punto da organizzarsi anche in gruppi per seguire e votare i loro beniamini davanti alla tv. Nell’era dei social, a conquistare i più giovani sono spesso artisti sconosciuti alla fascia più adulta, rimasta affezionata, è il caso dire, ai soliti nomi. Anche questi, però, non sono mancati, secondo una ricetta che mette le generazioni contro tra loro sui favoriti per il podio, ma che le unisce tutt’insieme davanti alla tv.
Ecco, la formula di Amadeus e del suo team è risultata vincente perché ha diviso sui giudizi, ma ha unito tutti per interesse e curiosità, con la colla della discussione. A cominciare dalla conduzione stessa condivisa con un Morandi gigantesco e con il continuo effetto sorpresa delle incursioni a distanza di Fiorello, il filo conduttore ha cucito nonne, mamme e padri, a figli e nipoti. Finalmente un Sanremo per tutta la famiglia dal punto di vista musicale, ma anche per un confronto più ampio su tutto quello che, oltre la musica, fa spettacolo, notizia, moda e costume.
Sanremo ha riconquistato l’Italia riuscendo a mostrare la vasta gamma di musica leggera dei nostri tempi, capace di abbracciare tutti i gusti da dieci a cento anni, ma anche di modi di pensare, mostrarsi, esibire talento, umanità, unicità e diversità. Musica soprattutto, ma anche impegno civile e sociale, ironia, trasgressione, bellezza, ingredienti di un cocktail pieno di emozioni capace di incollare gli italiani e moltissimi telespettatori in tutto il mondo per cinque sere e fino al cuore della notte davanti alla tv e al contempo, ovviamente, sui social a commentare. Tutti critici di musica e di tutto, in un Festival che ha visto nella partecipazione finanche del Presidente Mattarella la promozione della musica popolare a fenomeno sociale, culturale e distintivo dell’intero Paese. Una presenza importante ai massimi livelli istituzionali che, finalmente, riconosce alla creatività e al talento autorale e musicale italiano in generi diversi dalla lirica e dalla classica, e con buona pace delle nicchie degli pseudointellettuali pronti a storcere il muso, la dignità che meritano. La cultura italiana è anche musica leggera e d’autore, settore che crea lavoro, soprattutto giovanile, producendo una ricaduta positiva in molteplici direzioni, non ultimo il contributo all’ispessimento dell’immagine del nostro Paese nel mondo.
Ecco, proprio in questo, Amadeus è riuscito in un’impresa quasi epica, quella di portare alla vittoria un gruppo come i Maneskin, diventato cult ovunque e con numeri record finanche negli States, da cui normalmente importiamo musica. Quello che abbiamo visto in questi anni di direzione artistica del dj, come lo ha chiamato un Paoli divertito e divertente dall’alto della sua grandezza e della sua età, è stato un festival musicalmente pieno di qualità e novità.
Senza soffermarsi sul prodotto televisivo, perché le splendide immagini costruite da altri straordinari talenti italiani, da scenografie a disegni luci, hanno già detto tutto, credo che vada fortemente sottolineato l’enorme successo proprio della Canzone, protagonista anche dopo il festival. Se è vero che oltre ai fenomenali Maneskin, anche i vari Ultimo, Blanco, Mahmood, Salmo, Lazza e tutti gli altri rappresentanti di nuove tendenze e modi di fare musica, hanno migliaia di spettatori ai concerti, vuol dire che finalmente Sanremo è l’Italia del presente e del futuro, insieme a quella del passato. Un’Italia che guarda alle diversità sapendo cogliere ogni messaggio nel modo corretto, ogni ostentata trasgressione o performance studiata a tavolino con ironia, nel segno di quel “tutto quanto fa spettacolo” che dava il sottotitolo ad un vecchio programma proprio della Rai. In fondo, anche la recita preparata come nel videoclip con i calci ai fiori del bravo e giovanissimo Blanco, che ha istintivamente impressionato tanti, può servire a farci riflettere sulla follia della violenza, quella che spesso la nostra società riserva non a fiori, ma a donne, bambini, persone definite diverse semplicemente per la propria sessualità, la propria fede o il colore della pelle.
Viva Sanremo e viva la musica che non ha età, barriere e colori, come ha dimostrato proprio la voce nera di Mengoni, ancora più nera di quella dei Kingdom Choir…