Cronaca

Suicidio assistito: anche un pensionato veneziano è morto in Svizzera

 PFAFFIKON (SVIZZERA), 28 FEBBRAIO – Gianni Trez era un pensionato veneziano di sessantacinque anni. E' morto oggi a mezzogiorno scegliendo il suicidio assistito e lo ha fatto nella stessa struttura svizzera in cui ieri è deceduto Dj Fabo.[MORE]

"Potrei vivere ancora mesi, forse anni, ma non riesco a mangiare, a parlare, a dormire. Provo dolori lancinanti. È una sofferenza senza senso". Queste sono le parole di Gianni Trez. "Sono sempre stato un salutista. Vegano, addirittura. Poi la diagnosi del tumore, la prima operazione, le cure. Quindi la ricaduta, altre terapie, altra operazione. E ho detto basta! Mi sono informato, ho mandato le cartelle cliniche. E alla fine, dopo mesi di attesa, mi hanno convocato".

Il problema in Italia è non avere possibilità di scelta, darne una parvenza, ma poi di fatto impedire alle persone di esercitare il diritto ad essere libero, ad avere modo di decidere per se stesso. Serve una legge che spieghi ogni possibilità del caso senza far sentire le persone che non riescono più a vedersi nel proprio corpo dei criminali contro la vita.

"Non ha sofferto, era sereno, io e mia figlia Marta gli abbiamo stretto le mani fino all'ultimo" è quanto ha dichiarato la moglie Emanuela. La donna ha ringraziato gli infermieri svizzeri della Dignitas, i volontari veneti dell'Avapo e ha lanciato un appello al loro Paese: "Ora facciano una legge per impedire questi pellegrinaggi crudeli".

Emanuela continua, spiegando la storia di suo marito: "Gianni era malato da due anni e la sua malattia lo ha ridotto ad avere una non vita. Ma era comunque una persona ancora lucidissima e non depressa. Viviamo in un Paese incivile che non concede di morire in modo dignitoso. A lui piaceva tantissimo vivere però era condannato e voleva morire senza soffrire. Perché la vita che ha fatto nell'ultimo periodo per lui non era dignitosa. Ormai pesava cinquanta chili ed era costretto alla morfina tre volte al giorno. Il problema è proprio la prospettiva: se avesse saputo che tra cinque, sei mesi avrebbe smesso di soffrire allora non lo avrebbe fatto. Ma così no”.

Emanuela conclude: “È offensivo che in un Paese civile come l'Italia non ci sia una norma che permetta a una persona in queste condizioni di decidere come morire, e senza dover soffrire”.

Fonte immagine il mattino 

Claudia Cavaliere