Estero
Sudan, ancora violenza su chi manifesta contro al-Bashir
KHARTOUM (SUDAN), 29 SETTEMBRE 2013 - Non si fermano a Khartoum gli scontri iniziati il 23 settembre tra forze di sicurezza e manifestanti, dopo la decisione del governo di tagliare i sussidi per il carburante. Affetto da una profonda crisi economica, il Sudan è un paese in cui, secondo una stima CIA WorldFactbook del 2009, il 46,5% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Reduci da decenni di guerra civile, i sudanesi si sono trovati a fronteggiare negli ultimi due anni anche le conseguenze economiche dalle seccessione del Sud Sudan: da quest’ultima area provenivano, prima della separazione nel 2011, i tre quarti della produzione petrolifera del paese. È facile quindi comprendere quale importanza rivestissero per la popolazione i sussidi statali che mantenevano bassi i prezzi dei carburanti.
Le proteste di piazza, iniziate per dire no a queste misure di austerità, si sono presto concentrate sulla figura del presidente Omar Hassan al-Bashir, definito come un “assassino” dai manifestanti che gli chiedono di lasciare il potere. Migliaia di persone si sono riversate per le strade, prendendo di mira edifici del governo e distributori di benzina, non solo nella capitale Khartoum ma anche ad Atbara, Port Sudan, Omdurman e Wad Madani. Chi manifestava si è ben presto trovato a fare i conti con la violenta azione repressiva messa in campo dalle forze di sicurezza, con lacrimogeni, proiettili in plastica e nessuna remora a sparare sulla folla. Gli spari sono ieri arrivati anche su coloro che presenziavano al funerale di un manifestante antigovernativo, mentre per le strade di Karthoum sfilava un corteo di tremila persone che comprendeva anche i giornalisti in sciopero. [MORE]
Il 26 settembre infatti, ai direttori dei quotidiani della capitale sudanese, convocati da un dirigente delle forze di sicurezza, è stato intimato di pubblicare unicamente notizie provenienti da fonti ufficiali. Non è stata solamente la carta stampata a subire gravi limitazioni, ma anche Internet, l’accesso al quale è stato chiuso per diverse ore durante la giornata del 25 settembre. E, mentre il governo nega ogni responsabilità su quest’ultimo blocco, i dubbi rimangono: certo è infatti che la rete rappresenta una risorsa strategica per l’interconnessione tra manifestanti che risiedono in parti diverse dello stesso paese e che vogliano dar vita ad una mobilitazione simultanea.
Ricercato dalla Corte penale internazionale con l’accusa di crimini contro l’umanità, il presidente al-Bashir è considerato responsabile della morte di migliaia di persone e degli stupri di guerra di donne e bambine in Darfur negli ultimi dieci anni. Il 20 settembre, la richiesta di al-Bashir di essere ammesso all’Assemblea generale Onu nonostante gravi su di lui un mandato di cattura internazionale, aveva suscitato l’indignazione di organizzazioni come Amnesty International, da sempre impegnate nella difesa dei diritti umani.
Dopo la repressione violenta portata avanti dalle forze di sicurezza sudanesi, Amnesty è intervenuta nuovamente insieme al Centro africano di Studi sulla giustizia e la pace, con un comunicato stampa in cui si esprime preoccupazione per il rischio di torture e maltrattamenti che gli oppositori antigovernativi corrono. Secondo quanto vi si legge, nelle giornate tra il 24 e il 25 settembre cinquanta persone sono state uccise dai servizi di sicurezza: solo a Omdurman si sono registrati 36 invii di cadaveri all’obitorio e 38 interventi chirurgici su manifestanti feriti. Intanto, secondo gli attivisti locali, i morti hanno superato il centinaio.
(Foto da: www.lastampa.it)
Sara Chessa