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Stroncato da infarto il fotoreporter americano Du Cille, tre volte premio Pulitzer

 WASHINGTON, 12 DICEMBRE 2014 – Un infarto ha fermato la vita del fotoreporter del Washington Post, Michel Du Cille, ieri in Liberia, dove si trovava per lavorare a un reportage sull’ebola. Il malore lo ha colpito mentre era in un villaggio di una zona remota del Paese, in auto è stato trasportato all’ospedale più vicino, dove però è arrivato dopo due ore già morto. Du Cille era arrivato martedì scorso in Africa, insieme a un collega, per documentare la situazione creata dal virus che ha già fatto quasi 6400 morti. Il fotografo Du Cille, 58 anni, americano di origini giamaicane, è stato per tre volte vincitore del premio Pulitzer.

Due dei tre prestigiosi premi erano stati vinti da Du Cille negli anni ’80 quando lavorava per il Miami Herald, con lavori sull'eruzione del vulcano Nevado del Ruiz e sul dramma del crack a Miami. L’ultimo invece lo vinse nel 2008 quando già lavorava per il Washington Post. “Era uno dei più bravi fotografi al mondo”, ha detto il caporedattore Martin Baron. “Era completamente dedicato alla copertura dell'Ebola ed era determinato a rimanere su questa storia malgrado i rischi. Una nuova dimostrazione di coraggio e passione di cui ha dato prova in tutta la sua carriera”.

Il Washington Post, per cui lavorava, ha reso omaggio al suo lavoro ricordandolo per la sua capacità di catturare "immagini delle lotte e dei trionfi dell'uomo" e definendolo "uno dei più bravi fotografi al mondo".[MORE]

Pochi giorni fa Du Cille ha raccontato, sul post, la sua esperienza in Liberia per fotografare l'emergenza Ebola. "Sono stato sempre orgoglioso nei miei oltre 40 anni di carriera come fotogiornalista dell'offrire dignità ai soggetti che fotografo, specialmente quelli che sono malati o in difficoltà di fronte a una fotocamera. Il mio recente lavoro in Liberia è stata una sfida per me. Il rispetto è una delle ultime e uniche cose che il mondo può offrire a un persona che è morta o sta per morire. Ma la fotocamera stessa a volte sembra un tradimento di quella dignità che si spera di offrire (...) Come si dà dignità all'immagine di una donna che è morta e giace a terra, ignorata, non coperta e sola mentre la gente passa, o solo guarda da lontano? Ma credo che il mondo debba vedere gli effetti orribili e disumani dell'Ebola. La storia va raccontata, così andiamo in giro con dolcezza e evitando intrusioni estreme (...) Raccontare Ebola vuol dire essere vicini, a distanza di scatto, con la devastazione del virus. Questo lavoro mi ha portato faccia a faccia con un altro aspetto dis-umanizzante del virus: la paura. Sapendo che un pericolo silenzioso si nasconde in una persona infetta da Ebola, un semplice tocco può farci ammalare. In Monrovia, dove è passato due settimane, la paura è sempre presente. Tra la gente, e tra i fotografi".

(foto dal sito www.affaritaliani.it)

Michela Franzone