Editoriale

Strage di Acca Larentia: quando in Italia si moriva di politica

FIRENZE, 07 GENNAIO 2012- Quando si pensa agli anni di piombo è facile avere negli occhi la triste immagine del corpo rannicchiato e inerme di Aldo Moro nel portabagagli della Renault 4 rossa oppure le devastazioni causate dalle bombe di Piazza Fontana o della stazione di Bologna. Tuttavia quell’oscura stagione di sangue non riguardò solo vittime illustri e indiscriminati attentati dinamitardi. [MORE]

Si sprangava, si accoltellava e si sparava per le strade e per le piazze di tutt’Italia. Sono gli anni 70, quelli dell’extraparlamentarismo, sia a destra che a sinistra, che, in molti casi, si materializza nel terrorismo. Era sufficiente l’appartenenza a una fazione politica avversa per morire. Le principali città erano divise a macchia di leopardo, tra quartieri “rossi” e “neri”. “Sconfinare” era molto pericoloso, in alcuni casi poteva risultare fatale. Anche i licei, molto spesso, rispecchiavano una precisa identità politica, discorso analogo per le facoltà universitarie (dove tuttavia l’estrema sinistra era largamente maggioritaria). Persino l’abbigliamento o il taglio di capelli erano un pretesto per una scazzottata “politica”, nella migliore delle ipotesi. Da una parte e dall’altra si elaboravano e si urlavano slogan carichi di odio. Parole brutte che facevano da anticamera alla violenza. Roma, non si differenziava di certo da questo terribile andazzo. Anzi, la Capitale rappresentava uno dei più fulgidi esempi di “guerra” sistematica tra gli opposti schieramenti.

Il 7 gennaio, intorno alle 18.20 Franco Bigonzetti, Vincenzo Segneri, Maurizio Lupini, Giuseppe D'Audino e Francesco Ciavatta si trovavano nel popolare quartiere Tuscolano a Roma. Era il primo sabato pomeriggio dopo le festività natalizie. I cinque giovani ragazzi erano appena usciti dalla sede del Movimento Sociale Italiano (MSI) di via Acca Larentia, impegnati a pubblicizzare con un volantinaggio un concerto del gruppo di musica alternativa di destra Amici del Vento. Maurizio Lupini , Giuseppe D'Audino e Vincenzo Segneri furono gli ultimi a uscire dalla sezione missina. Bigonzetti e Ciavatta erano in strada davanti la sede, quando all’improvviso un gruppo di almeno 5 persone apre il fuoco con delle armi automatiche sui ragazzi. Attimi concitati, di panico assoluto. Franco Bigonzetti, 20 anni, studente di medicina e chirurgia, muore sul colpo. Vincenzo Segneri, ferito a un braccio, riesce a salvarsi, rientrando con D’Audino e Lupini nella sede, barricandosi dietro la porta  blindata. Una fine atroce toccò, invece, a Francesco Ciavatta. Lo studente diciottenne, pur essendo ferito, tentò di fuggire attraversando, disperatamente, la scalinata situata al lato dell'ingresso della sezione ma, braccato dagli aggressori, fu colpito alla schiena. Spirò in ambulanza durante il trasporto in ospedale.

Un massacro. Due morti e un ferito. Una ferocia inaudita. La notizia fece il giro di Roma in pochi minuti. Militanti e simpatizzanti di destra accorsero da tutta la città. Una strage politica: questa fu l’inevitabile considerazione degli astanti. Freddo pungente di una sera di gennaio, tanta gente, tensione crescente e il sangue raggrumato di due giovani uccisi senza pietà: questo potrebbe essere l’immagine-quadro del 7 gennaio 1978 ad Acca Larentia. Tuttavia la violenza non aveva esaurito il suo impeto quella notte. Secondo alcune testimonianze, un giornalista mai identificato, accorso sul luogo della strage, gettò il mozzicone della sua sigaretta in una pozza del sangue di una delle vittime. Difficile stabilire se sia trattato di una colpevole sbadataggine o di un gesto volontario e provocatorio. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Urla, spintoni e botte. Scoppiarono tafferugli che provocarono l'intervento delle forze dell'ordine con cariche e lancio di lacrimogeni. Durante gli scontri, il capitano dell'Arma dei Carabinieri Edoardo Sivori sparò ad altezza d'uomo, colpendo alla fronte il diciannovenne Stefano Recchioni, militante missino della sezione di Colle Oppio e chitarrista del gruppo di musica alternativa Janus. Il giovane morirà in ospedale dopo due giorni di agonia.

Alcuni giorni dopo arrivò l’agghiacciante e delirante rivendicazione dell’agguato da parte dei Nuclei Armati di Contropotere territoriale, tramite una cassetta audio : « Un nucleo armato, dopo un'accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l'ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga. » Il padre di Francesco Ciavatta, pochi mesi dopo l’assassinio del figlio, disperato, si suicidò ingerendo una bottiglia di acido muriatico. Un autentico dramma nel dramma.

Dopo 10 anni di indagini infruttuose furono accusati alcuni ex militanti di Lotta Continua: Mario Scrocca, Fulvio Turrini, Cesare Cavallari, Francesco de Martiis e Daniela Dolce. Quest'ultima riuscì a sfuggire alla cattura, mentre Scrocca fu arrestato e si tolse la vita in cella il giorno dopo essere stato interrogato dai giudici.
Gli altri tre imputati, furono assolti in primo grado per insufficienza di prove. La mitraglietta Skorpion usata nell'azione fu la stessa adoperata in altri tre omicidi firmati dalle Brigate rosse negli anni 80, ossia quelli dell’economista Ezio Tarantelli, dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti e del senatore Roberto Ruffilli. 

La strage di Acca Larentia ha rappresentato uno dei più terribili episodi di odio politico di quei tormentati anni. Un’eredità dolorosa che, malgrado il tempo trascorso, fa ancora male e spinge a una riflessione sugli eventi che segnarono un’epoca. 

A distanza di 34 anni restano le vite spezzate di tre ragazzi, la disperazione sfociata in suicidio di un padre e nessun colpevole.

Davide Scaglione
 

Foto tratta da "IL TEMPO.it"