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"Stoker" di Park Chan-wook, simpatia per lo sguardo di Satana
Stoker di Park Chan-wook, la recensione. Il prologo di Stoker se ne va, tra close up sull’ambigua angelicità del viso di India (Mia Wasikowska), prati verdi filo a filo, corolle rosso sangue appena agitate dalla brezza, una verruca su un pollice che la ragazza schiaccia con indolenza. Ma non fa impressione: sembra ne esca resina, o nettare. È questo lo stile, nettato, di Park Chan-wook, che certo alla prima hollywoodiana non si rinnega, tra odor di lavanda ed odor di sangue. [MORE] È il diciottesimo compleanno di India, adolescente introversa e sensibile – da prati verdi, insomma. La torta è gialla e bianca, gli stessi colori di un pacco con incantevoli scarpine lasciatole fuori casa, con un lapidario “happy birthday”: succede da anni, ma questa volta certo non è il papà a recare l’omaggio, visto che proprio nel giorno della maggiore età della figlia l’uomo decede. La madre (Nicole Kidman) è turbata, tanto più per il difficile rapporto con India. Ma uno zio spuntato dal nulla, Charlie (Matthew Goode), proverà a rendere meno inconsolabile la vedova e più donna la ragazzina: fascino da gentleman e non tutte le rotelle a posto. Un triangolo acuminato come una lama.
CHARLIE BE GOOD(E) - Una Carrie con lo sguardo di Satana pronto a fiorire su di un set alla Jane Campion, o alla Ivory: questa sembra Mia Wasikowska, splendidamente inquieta, tra turbamenti ormonali e turbe, proprie e di famiglia. Non così diversa dal disumano, troppo disumano zio – very good, Mr. Goode –, la giovane India, come tanti personaggi parkchanwookiani, sembra al di là del bene e del male, confinata nel limbo della propria pulsione, dei propri desideri intenibili. Esplosione irrefrenabile, come quella del drammatico finale, ma qui anche la polvere da sparo è confusa con la cipria: la violenza è patinata, come un lenzuolo merlettato pronto ad intridersi di sangue; il dramma psicologico è tessuto con la finezza della tela di un ragno, come quello che si muove sulle gambe della ragazza in più di una scena del film; l’urto del reale si attutisce nei numerosi e frastornanti flashback, che lasciano affiorare verità nascoste. È tale, la morbosa grazia, così ben incarnata dal caro zio - sorriso tipo criminal mind - che anche i delitti hanno una leggiadria oscillante tra il bon ton ed il più raffinato kamasutra killeristico: dai convenevoli prima di un assassinio in cabina telefonica, al collo spezzato in sincrono con un orgasmo. L’arma del delitto, non a caso, è un’arma di eleganza: una cintura.
SYMPATHY FOR MR. DEVIL - Gli interni alto borghesi, che annidano sospetti hitchcockiani, sono solcati dalla felpata macchina da presa con la scaltra tappezzeria di carrellate in avanti e indietro, campi e controcampi, piani sequenza. Ma la sensazione predominante, persino a dispetto delle scene che spiano i microrituali, i pensieri e le masturbazioni di India, è che il suoi pensieri restino esotici, lontani fino all’inafferrabilità. La sua perversione è piuttosto una tara genetica, che un problema da approfondire: come in Thirst, l’opera precedente del regista sul vampirismo, il morbo sì dà nello sviluppo inesorabile, più che nell’eziologia, come individuazione del disturbo. Zio Charlie non è tanto l’infiltrato nel nido domestico in stile L’ombra del sospetto, uno stalker venuto con intenzioni vendicative; è piuttosto l’oggetto di una sympathy for Mr. Vengeance che diventa, tout court, sympathy for the devil: è l'iniziatore a strane passioni, anche a suon di calici di vino.
Tutta silenzi, libri e pianoforte, la ragazzina si scopre continuatrice di una ouverture del male, duettante suo malgrado con un raffinato sinfonista dell’efferatezza: così, fisicamente, nella scena della sonata a quattro mani, con tanto d’intreccio di gambe, ed intreccio di linee melodiche, come in una perfetta fuga. Ma fuggire è impossibile.
LA SADICA NELLA DOCCIA - Ed è questa la caratteristica principale di Stoker: è un cinema fisico, pronto a carezzare l’epidermide – sia pure con vellutata empietà, per suscitare brividi indecifrabili tra estasi estetica e raccapriccio; ma è anche strategica rarefazione, fluidità atmosferica, con la levità di un incenso venefico. Il montaggio, in particolare, è disturbante: il climax dell’azione viene evitato con sistematicità, rimescolando i piani temporali e rinviando l’atto, mai attuale. Più clima che climax, insomma: i coiti s’interrompono, i pensieri si sospendono, i delitti si completano nella memoria. È il fascino discreto della ritrosia. La bellissima scena della doccia, in un bagno candido e virginale come una malefatta innocente, in cui di sporco ci sono solo le scarpe infangate, è in questo senso uno Psycho ex post: il set è quello di Hitchcock, ma l’assassinio è tutto mentale; e come nel prologo di Carrie di Brian De Palma, c’è una dimensione erotica nella scoperta del male. Con la differenza che non c’è senso di colpa: la masturbazione di Mia Wasikowska ha preso il posto delle mestruazioni di Sissy Spacek. È sete di sangue, non sangue come perdita: mica anemica, la ragazza.
La genitrice, Nicole Kidman, è fin troppo frigida e paranoica: buon sangue mente – se per parte di madre. Per parte di padre, invece, considerando la cartella clinica di Charlie\Goode, la famiglia è la stessa: ed anche il padre defunto ci aveva messo del suo, educando la giovine a lunghe sedute di caccia agli uccelli. Dal mirino, anche cinematografico, è tutto più conturbante.
Con Stoker, Park Chan-wook fa un cinema di simpatia per gli sguardi satanici, disossato nel soggetto e di tesa raffinatezza visiva, carnale nei desideri e nei dettagli, anche se forse non così carnoso nei contenuti: manca qualcosa, ma forse è solo per intima, irraggiungibile claustrofobia.
Titolo originale: Id.
Interpreti: Mia Wasikowska, Nicole Kidman, Matthew Goode, Dermot Mulroney, Jacki Weaver, Lucas Till, Phyllis Sommerville, Ralph Brown
Origine: UK, USA, 2013
Distribuzione: 20th Century Fox
Durata: 99'
Antonio Maiorino
Critico d'arte e di cinema - follow on Twitter