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Still Alice, la Moore delle meraviglie più forte dell'Alzheimer
STILL ALICE DI R. GLATZER E W. WESTMORELAND, LA RECENSIONE. In un film che punta all’onesto compito, più che all’orizzonte del capolavoro, l’interpretazione della protagonista è capitale, e Julianne Moore – solida, vitale, carismatica – regge il peso drammatico di una sentenza capitale.
Quando un regista mette il camice e prova a raccontare la malattia, gli effetti collaterali sono sempre in agguato: dal facile ricatto emotivo, alla lacrimevole pellicola da flebo, fino all’apologia del malato in versione eroica, specie se è più o meno celebre (La teoria del tutto). Still Alice, dal romanzo best-seller di Lisa Genova (in Italia edito da Piemme), taglia corto con calvari e pietismi, tratteggia – grazie soprattutto a Julianne Moore – un credibile ritratto emotivo, attinge ad una rimarchevole profondità sentimentale nonostante le semplificazioni: di cui, peraltro, si giova in asciuttezza senza ricadere nella didascalia.
Alice Howland insegna linguistica alla Columbia University di New York. È sposata, sta per diventare nonna ed ha tanti bei ricordi – che l’Alzheimer, una rara forma precoce, si appresta a portar via. Dai primi sintomi, alle dolorose accelerazioni del morbo, la donna prova a lottare, con coraggio e col sostegno dei familiari, in una tenace e tenera difesa della propria identità. [MORE]
PADRI E FIGLI - Nel racconto che fila scorrevole, con piccoli salti temporali a bucare il tempo della storia come lapsus della memoria, il film scritto e diretto da Richard Glatzer e Wash Westmoreland vive sul filo d’un labile equilibrio, come d’un ricordo pronto alla dissolvenza, cesellando i dettagli relazionali dell’ambiente domestico in cui è immersa Alice\Julianne Moore senza caricare gli affetti né le frizioni. Alec Baldwin, ad esempio, è un marito sospeso tra il raffreddamento del disattento coniuge super-impegnato e l’amorevole premura del partner pronto a recuperare il rapporto quando si avvicina al punto di rottura. Kristen Stewart, chiamata ancora a recitare il ruolo dell’attrice dilettante dopo il pregevole Sils Maria di Assayas, è una convincente figlia difficile, che tra introversione e slancio d’avvicinamento passa dal generico patimento dell’incomprensione al latente senso di colpa per un rapporto mai decollato con la genitrice.
SENTENZA CAPITALE - In un film che punta all’onesto compito, più che all’orizzonte del capolavoro, l’interpretazione della protagonista è capitale, e Julianne Moore – solida, vitale, carismatica – regge il peso drammatico di una sentenza capitale, di tanto in tanto assecondata da qualche zampata della regia (il fuori fuoco dei secondi piani, al primo “annebbiamento” di Alice durante il footing, è una dimostrazione di mestiere). A cui, peraltro, non ci si sente nemmeno di chiedere tanto di più: in fin dei conti, nonostante la minestrina della digeribile oretta e mezza, basterebbe tutta la concentrazione degli ultimi 5 minuti, ispirati da un brano di Tony Kushner, per condensare il saporoso afflato vitale di Still Alice. Questo cinema è sanissimo.
DATA USCITA: 22 gennaio 2015
GENERE: Drammatico
ANNO: 2014
REGIA: Richard Glatzer, Wash Westmoreland
SCENEGGIATURA: Wash Westmoreland, Richard Glatzer
ATTORI: Julianne Moore, Kristen Stewart, Kate Bosworth, Shane McRae, Alec Baldwin, Seth Gilliam, Hunter Parrish, Daniel Gerroll
MUSICHE: Ilan Eshkeri
PRODUZIONE: BSM Studio, Backup Media, Big Indie Pictures, Killer Films
DISTRIBUZIONE: Good Films
PAESE: USA
DURATA: 99 Min
(in foto: dettaglio d'un poster di Still Alice)
Antonio Maiorino