Editoriale
Stefania Noce, vittima di femminicidio
LICODEA EUBEA (CATANIA), 27 DICEMBRE 2011 - «Duplice omicidio per motivi passionali a Licodia Eubea, in provincia di Catania, dove un giovane di 24 anni, Loris Gagliano, che non si rassegnava alla fine della relazione sentimentale, avrebbe ucciso a coltellate l'ex fidanzata, Stefania Noce, di 24 anni, il nonno della ragazza, Paolo Miano, di 71, e ferito al torace la moglie della vittima, una donna di 60 anni, ricoverata con ferite da taglio al torace ma non in pericolo di vita». Questo riportava l'agenzia Ansa alle 14:38 di due giorni fa per raccontare l'ennesimo femminicidio. Dietro a quelle poche righe, però, c'è – ci sarebbe – molto altro da dire. [MORE]
C'è, ci sarebbe, come prima cosa, da chiedersi quanto durerà il cordoglio per Stefania, vittima di chi con troppa faciloneria viene definito “pazzo” ma che pazzo non lo è, così come non lo era Gianluca Casseri, il militante di Casapound che due settimane fa, a Firenze, ha ucciso Samb Modou e Diop Mor, la cui unica colpa è stata quella di essere migrati in uno dei paesi più ignoranti e retrogradi dell'intero globo.
Ma lo sappiamo, “pazzia” - espressione-contenitore che può voler dire tutto come può voler dire assolutamente niente – è un ottimo appellativo da affibbiare quando non si vuole, o non si può, addentrarsi in approfondimenti che richiedono un livello minimo di studio e comprensione. Non esattamente quello che richiede chi ti vende “Il Grande Fratello” ed altre dabbenaggini simili.
137(in aumento), il numero della bestia. Un'altra delle parole più utilizzate in questi casi è “bestia”, che forse è anche più pericolosa del classico “pazzo” o del “raptus”. Perché la “bestia” rimanda ad una cosa giocoforza diversa da chi quella parola l'ha usata, qualcosa di “diversamente umano”, “disumano”. È per compensare le “bestie” – perché in ogni storia che si rispetti, se c'è il “cattivo” deve esserci anche il “buono” che lo sconfigge – che si è allora creata la figura dell'”eroe”, quel soggetto grazie al quale ci “sgraviamo” le coscienze, «nel momento in cui ci abbandoniamo all'idea che ci sia l'eroe che con la sua parola cambierà il mondo abbiamo creato un fatto di specie ma commesso un errore enorme», come disse il magistrato Raffaele Cantone in un'intervista di un paio di anni fa.
Mentre a Catania “la passione” uccideva Stefania, a Chieti quella stessa cosa che qualcuno ha definito in questi termini (ma “passione” e “amore” sono cose ben diverse) uccideva Silvia Elena, 20 anni, rumena. Il suo assassino, Luca D'Alessandro, di anni ne ha 18. L'ha uccisa per un bacio negato, forte del fatto che Silvia Elena si prostituisse per professione (o forse per costrizione professionale, che è un'altra cosa anch'essa) e che quindi, nell'ottica del “maschio”, certe cose non c'era nemmeno bisogno di chiederle.
La “bestia”, in entrambi i casi, si chiama femminicidio, e quest'anno ha fatto 137 vittime. Quante sono passate dalle poche righe del lancio di agenzia all'articolo di commiato sul giornale? Poche, pochissime. E se non fosse per il bollettino di guerra in perenne aggiornamento da parte di Femminismo a Sud probabilmente di quelle storie non rimarrebbe traccia alcuna.
La punizione esemplare. Per Loris Gagliano si invoca il carcere, quando non direttamente la pena di morte o, cordialmente, gli si chiede di auto-eliminarsi dal mondo (ci ha anche provato, ma i carabinieri sono arrivati prima). Si invoca, insomma, una “punizione esemplare”. Solo il partito dei giustizialisti, però – quelli che parlano di carcere senza conoscerne nient'altro che il nome – potrebbe considerare quei luoghi come “punizione esemplare”. Perché, checché ne possano pensare gli appartenenti a questa corrente, il carcere non è una “discarica” nella quale gettare tutto ciò che non è conforme ad un determinato dettame, tanto meno svolge quella funzione ri-educatrice (rimanendo in tema di parole “pericolose”) per la quale è stato pensato.
Perché, semplicemente, Loris e Luca sono due individui, due esempi specifici di un fenomeno che non ha niente di individuale e che, dunque, dietro ai Loris e ai Luca di oggi ne nasconde tanti altri per domani, per il mese o per l'anno prossimo. Perché siamo di fronte, è quasi un'ovvietà specificarlo, ad un fenomeno culturale. E, come tale, non si può pretendere di eliminarlo rinchiudendone tutti i sostenitori dietro le sbarre.
“Siamo la cultura nella quale cresciamo”, per dirla con Herskovits, E quindi è necessario metterla su un piano diverso, rispondendo ad una cultura (sbagliata, violenta e retrograda quanto si vuole ma che sempre “cultura” rimane) con un'altra cultura, de-costruendo la prima attraverso la seconda, “de-colonizzando l'immaginario” di chi crede – a destra come a sinistra, maschio come femmina – che quando una donna viene picchiata, stuprata o uccisa “è anche perché, sotto sotto, se l'è cercata”.
Di modi in cui farlo ce ne sono tantissimi, dalla lotta per evitare la chiusura dei centri anti-violenza alla nuova lotta per ripristinare il diritto alla scelta di abortire in Italia (che non è “diritto all'aborto”, sia ben chiaro), reso sempre più difficile da quei tanti ginecologi che, per mero opportunismo professionale, decidono di fare “obiezione” nelle strutture pubbliche ma non in quelle private. Su questi aspetti, però, torneremo a parlarne in futuro.
«Vorrei che tu fossi una donna. Vorrei che tu provassi un giorno ciò che provo io: non sono affatto d'accordo con la mia mamma la quale pensa che nascere donna sia una disgrazia. La mia mamma, quando è molto infelice, sospira: «Ah, se fossi nata uomo!». Lo so: il nostro è un mondo fabbricato dagli uomini per gli uomini, la loro dittatura è cos' antica che si estende perfino al linguaggio. Si dice uomo per dire uomo e donna, si dice bambino per dire bambino e bambina, si dice figlio per dire figlio e figlia, si dice omicidio per indicar l'assassinio di un uomo e di una donna. Nelle leggende che i maschi hanno inventato per spiegare la vita, la prima creatura non è una donna: è un uomo chiamato Adamo, Eva arriva dopo, per divertirlo e combinare guai. Nei dipinti che adornano le loro chiese, Dio è un vecchio con la barba bianca mai una vecchia coi capelli bianchi. E tutti i loro eroi sono maschi: da quel Prometeo che scoprì il fuoco a quell'Icaro che tentò di volare, su fino a quel Gesù che dichiarano figlio del Padre e dello Spirito Santo: quasi che la donna da cui fu partorito fosse un'incubatrice o una balia.»
[Oriana Fallaci, “Lettera ad un bambino mai nato”]
In conclusione, mi corre l'obbligo di rimandarvi ad un ricordo che di Stefania Noce viene fatto dai suoi colleghi universitari catanesi. A scriverlo è Greta Caruso, lo trovate cliccando qui.
Andrea Intonti