Criminologia

Stasi condannato: un verdetto che scontenta colpevolisti e innocentisti

BOLOGNA, 18 DICEMBRE 2014 - Prima innocente, poi ancora innocente, adesso colpevole. Alberto Stasi è stato condannato a 16 anni per l’omicidio dell’allora fidanzata Chiara Poggi, nel processo d’appello-bis del cosiddetto delitto di Garlasco, avvenuto il 13 agosto 2007. Un processo che, come altri, ha diviso l’opinione pubblica italiana fra innocentisti e colpevolisti.[MORE]

E adesso? I colpevolisti non possono certo cantar vittoria, perché i legali di Stasi hanno immediatamente annunciato il ricorso in Cassazione dove ancora una volta - e non sarebbe certo la prima - il verdetto potrebbe essere ribaltato. Mentre gli innocentisti gridano allo scandalo. Una sentenza che scontenta tutti, insomma, perché invece di sgombrare il campo da dubbi, semmai li aumenta.
Vediamo perché.

La condanna a 16 anni. Il verdetto pronunciato nei confronti di Alberto Stasi è subito stato accostato, sia secondo alcuni esperti, sia nei numerosissimi commenti sul web, ad altri due della stessa entità: quello nei confronti di Annamaria Franzoni condannata per l’omicidio del figlio, e di Rudy Guede, in carcere per il delitto Meredith Kercher. La domanda ricorrente è: ma se questi davvero si sono macchiati del più orrendo dei crimini - aver tolto la vita a un essere umano - non dovrebbero rimanere in galera per il resto della loro esistenza? Ben poco convincenti risultano le spiegazioni tecniche a suon di codici per illustrare come si è arrivati al conto. La perplessità resta, tanto che da più parti si parla di “sentenza salomonica che vuole accontentare tutti”. E, a quanto si vede, non accontenta nessuno.

Le prove. Prima non c’erano, adesso sì. Ma è proprio vero? Sono sette anni che si parla di camminate sul sangue, si disserta di suole e numeri di scarpe, si cercano pedali di biciclette, si discute di graffi sulle braccia di Stasi che c’erano ma non sono mai stati fotografati, si va a caccia inutilmente di armi del delitto. Di fatto l’impressione di un lettore che cerca di mantenere il giudizio obiettivo, è che il castello di prove sia fatto più di “non poteva non…” che di prove vere e proprie. Prove che magari c’erano, ma non sono state trovate.
Ancora: ma Stasi all’ora del delitto non stava lavorando al computer, come sarebbe provato dalle analisi del computer stesso? Allora perché quell’alibi prima era vero e adesso no? Misteri delle perizie e dei periti in aggiunta al fatto che, subito dopo l’omicidio, un investigatore non chiuse il computer come doveva. Quindi c’è il rischio che alcuni dati siano andati persi.

Il movente. Dovrebbe essere questo: il rapporto di coppia fra Alberto e Chiara era ormai logoro, in crisi. La notte prima dell’omicidio, Chiara aprì il computer di Alberto e verificò da alcune foto che certe inclinazioni sessuali del fidanzato erano inaccettabili, così la mattina dopo scoppiò la lite e Alberto in un impeto d’ira la uccise. In estrema sintesi questa è la convinzione della corte che ha emesso la condanna. Perfetto, ma quali prove sostengono questa ipotesi? Anche nel delitto Kercher la teoria dell’accusa parlava di un gioco erotico di gruppo finito a coltellate per il rifiuto di Meredith a sottostare. La teoria è stata poi cambiata in corso d’opera: non valeva più nell’ultimo processo che, dopo una condanna e un’assoluzione, si è concluso con un’altra condanna e un altro ricorso in Cassazione. Risultato: Amanda Knox è tornata negli Stati Uniti e ha detto chiaro e tondo che l’Italia la rivedrà al massimo in cartolina, Guede ha preso i 16 anni di cui sopra e anche Raffaele Sollecito rischia di rimanere incastrato nell’ingranaggio. Per sapere come sono state fatte (e pasticciate) le indagini, basta leggere “Il processo imperfetto”, il libro sul caso scritto dall’ex comandante del Ris Luciano Garofano.

Il risultato. Scontenta tutti, persino quelli che sono fermamente convinti della colpevolezza di Stasi. E la fine processuale della vicenda è ancora di là da venire. Eppure, nel delitto di Garlasco come nell’omicidio di Meredith, i giudizi non cambiano perché, in corso d’opera, esce una prova nuova, un elemento che effettivamente aggiunge qualcosa di essenziale per l’accusa o per la difesa. Tutto si gioca invece su perizie, ipotesi, orari spostati quasi a piacimento. Sulla discrezionalità, insomma. Ma una condanna non dovrebbe essere “oltre ogni ragionevole dubbio”?
Ecco perché assieme agli interrogativi resta una considerazione amara: comunque vada a finire, una persona assolta due volte e condannata una, è comunque un errore giudiziario. Da qualsiasi parte lo si voglia vedere.

Paola Bergonzoni