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Spiare il vicino alcune volte è consentito
REGGIO CALABRIA, 15 GENNAIO - Se per tutelare la propria sicurezza personale è necessario ed indispensabile inquadrare con la propria telecamera anche parti non strettamente private (o parti comuni) altrui, tale attività deve essere a tutti gli effetti (sia civilistici che penali) considerata perfettamente lecita. Perché si possa parlare di violazione della privacy è necessario che ci si riferisca a parti private non facilmente accessibili da chiunque. Questo è quanto stabilito dal Tribunale di Avellino, sez. I, sentenza del 30 ottobre 2017. [MORE]
Il caso. I ricorrenti avevano proposto ricorso per provvedimento d’urgenza (ex art. 700 c.p.c.) nei confronti del vicino di casa lamentando che questi aveva installato all’esterno del suo cancello una telecamera puntata sulla proprietà esclusiva dei ricorrenti e tale situazione causava gravi danni anche di natura psicologica a tutta la loro famiglia che si sentiva costantemente spiata. Si vedevano contrapposti, così, due interessi ben distinti: quello alla privacy del ricorrente e quello alla sicurezza personale del resistente.
Innanzitutto i giudici di prime cure escludevano l’astratta rilevanza penale della condotta di apposizione della telecamera posta in essere dal resistente, perché: “L'art. 615 bis c.p. è funzionale alla tutela della sfera privata della persona che trova estrinsecazione nei luoghi indicati nell'art. 614 c.p.; vale a dire, nell'abitazione e nei luoghi di privata dimora, oltre nelle "appartenenze" di essi. Si tratta di nozioni che individuano una particolare relazione del soggetto con l'ambiente ove egli svolge la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza. Peraltro, proprio l'oggetto giuridico della tutela presuppone uno spazio fisico sottratto alle interferenze altrui, sia nel senso che altri non possano accedervi senza il consenso del titolare del diritto, sia nel senso che sia destinato a rimanere riservato ciò che avviene in quello spazio. Le scale di un condominio e i pianerottoli delle scale condominiali non assolvono alla funzione di consentire l'esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti, perché sono, in realtà, destinati all'uso di un numero indeterminato di soggetti e di conseguenza la tutela penalistica di cui all'art. 615 bis c.p. non si estende alle immagini eventualmente ivi riprese (si vedano: Cass. 10-11-06 n. 5591, la quale ha escluso che comportino interferenze illecite nella vita privata le videoriprese del "pianerottolo" di un'abitazione privata, oltre che dell'area antistante l'ingresso di un garage condominiale; Cass., n. 37530 del 25-10-06, con riguardo alle videoregistrazioni dell'ingresso e del piazzale di accesso a un edificio sede dell'attività di una società commerciale; Cass., n. 44701 del 29/10/2008, ancora una volta con riguardo alle riprese di un'area condominiale destinata a parcheggio e del relativo ingresso)” (v. Cass. pen., Sez. V, 30 maggio 2017, n° 34151). Veniva, quindi giudicata lecita, da questo punto di vista, la condotta posta in essere dal resistente.
Successivamente il Tribunale passava agli aspetti civilistici della questione, per individuare possibili violazioni da imputare al resistente. Anche sotto tale aspetto il ricorso veniva respinto. Il Tribunale, infatti, osservava come nella presente fattispecie non si applicava il D. Lgs. 196/2003, perché il trattamento era stato eseguito dal resistente per finalità esclusivamente personali, relative alla tutela dell’incolumità della sua famiglia e della sua proprietà, e non risultava alcuna prova che il segnale video ripreso dalla telecamera oggetto del contendere fosse stato comunicato a terzi oppure diffuso in altro modo.
Ancora, il decidente si occupava poi di confutare l’affermazione del Garante per la Protezione dei Dati Personali in base alla quale “Benché non trovi applicazione la disciplina del Codice, al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), l'angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza (ad esempio antistanti l'accesso alla propria abitazione) escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) ovvero ad ambiti antistanti l'abitazione di altri condomini”. A tal proposito, il Tribunale osservava come, a contrario di quanto affermato dal Garante, la Suprema Corte avesse da tempo affermato che le aree comuni non rientrassero nei concetti di domicilio e dimora privata. Nozioni queste ultime che individuavano una particolare relazione del soggetto con l’ambiente in cui viveva, la sua vita privata in modo da sottrarla da ingerenze esterne. Proseguendo il Tribunale affermava ancora che, contrariamente alle opinioni espresse in alcune decisioni del Garante, ad escludere un comportamento illecito era sufficiente che l’azione ripresa (ad esempio da telecamere) potesse essere liberamente osservata da terzi senza ricorrere a particolari accorgimenti. Il discrimen, in sostanza, tra quello che era consentito e quello che era vietato secondo il Decidente consisteva nel rilevare se l’oggetto inquadrato dalle camere meritasse la tutela che veniva garantita ai luoghi di privata dimora. Tale tutela, infatti, non veniva accordata qualora ci si riferisse a parti comuni dell’edificio, che per loro natura ben potevano essere oggetto di sorveglianza video.
Ancora il giudice di prime cure, per meglio chiarire che non ogni intrusione “televisiva” nel domicilio altrui era da considerarsi di per sé vietata, osservava che affinché scattasse la protezione dell'art. 14 Cost., non bastava che un certo comportamento venisse tenuto in luoghi di privata dimora, ma occorreva, altresì, che esso avvenisse in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile ai terzi. Per contro, se l'azione – pur svolgendosi in luoghi di privata dimora – poteva essere liberamente osservata dagli estranei, senza ricorrere a particolari accorgimenti (paradigmatico il caso di chi si ponesse su un balcone prospiciente la pubblica via), il titolare del domicilio non poteva evidentemente accampare una pretesa alla riservatezza. Perché ci fosse un reato o un illecito civile, in sostanza, occorreva che chi compiva il comportamento illecito per eseguire i filmati all’interno del domicilio altrui avesse dovuto - tramite opportune manovre o avvalendosi di particolari strumenti – superare una barriera che si frapponesse fra la generalità dei consociati e l’attività filmata.
Nel caso di esame, pertanto, il Giudice decideva in modo favorevole al resistente valutando come il suo diritto alla sicurezza (già in passato aveva subito delle rapine a mano armata nel proprio domicilio) dovesse prevalere su un inesistente violazione del diritto alla privacy altrui. Inesistente in quando il vialetto oggetto di inquadratura era agevolmente visibile da chiunque passasse di li ad occhio nudo, e quindi non era tale da meritare particolare tutela. Sostanzialmente secondo il Tribunale se per tutelare la propria sicurezza personale era necessario ed indispensabile (per non vanificare del tutto tale attività di sorveglianza) inquadrare con la propria telecamera anche parti non strettamente private (o parti comuni) altrui, tale attività doveva essere a tutti gli effetti (sia civilistici che penali) considerata perfettamente lecita.
Per tali motivi il Tribunale rigettava la domanda di tutela cautelare proposta dai ricorrenti e li condannava
in solido tra loro, al pagamento, in favore del resistente, delle spese di giudizio.
Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express