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SPECIALE OSCAR 2013 - "Flight" di Robert Zemeckis, atterraggi d'emergenza dall'inferno

Pronti, via: partenza. Flight di Robert Zemeckis decolla con la ripresa di un aereo in partenza in un cielo da cartolina, tra le nubi dorate; stacco del montaggio, compare una sveglia che passa dalle 7:13 alle 7:14. Più prosaicamente, siamo in una stanza d’albergo: una donna nuda si alza, un uomo di colore è accartocciato tra lenzuola sfatte. Squilla un cellulare, accanto ad un posacenere stracolmo di cicche circondato da bottiglie di liquore vuote. La storia di William "Whip" Whitaker (Denzel Washington) comincia così, incrociando la rotta temporale di una storia individuale da sbandato con quella di un aereoporto fatale. Dove lo aspetta un aereo non meno a pezzi.[MORE]

Divorziato, alcolizzato e col vizio della cocaina, il capitano Whitaker non solo ha un certo ascendente sull’hostess con cui ha trascorso la notte, prima del volo mattutino ad Atlanta, ma è anche straordinariamente lesto nel rimettere a lucido divisa ed occhiaie dopo le nottate brave. Così pronto, che quando il volo si mette male per un guasto meccanico, nonostante il fiato che sa di Vodka appena scolata, il sangue dal tasso alcolemico elevato resta freddo, e con una manovra esemplare l’aereo effettua un atterraggio di emergenza su di una spianata verde. Danni limitati, ma ci sono 6 morti su 102 e diversi feriti. La National Transportation Safety Board apre un’inchiesta: per stampa ed opinione pubblica Whitaker è un eroe, per gli avvocati difensori è un pericoloso alcolista dalla lingua lunga ed autolesionista, per la famiglia è un ubriacone, per una nuova fiamma tossicodipendente (Nicole, ottima Kelly Reilly) è un brav’uomo da salvare. Chi è Whip Whitaker? Bella domanda.

La strategia della tensione drammatica di Zemeckis in Flight risiede nel fare del film un’indagine, parallela a quella ufficiale della NTSB, ma tutta centrata sul risvolto umano d’un salvatore che non vuol farsi salvare. Il cinema, nella propria costituzionale finitezza temporale, gioca ad armi pari con chi indaga su Whitaker: non può recuperare il tempo passato, vive di ricostruzioni, di lacerti emotivi, di indizi. È un andamento frustrante, nel quale si sarebbe portati a simpatizzare per il capitano – tecnicamente la sua manovra è stata eroica e corretta – ma durante cui bisogna prendere atto della sua “sympathy for the devil, come recita la canzone dei Rolling Stones nella colonna sonora (che include anche Lou Reed, John Lee Hooker e Joe Cocker). Quanto del Whitaker passato si può dedurre, è assumibile solo dalle rughe e dai tic, o al più dalle fotografie, incapaci di riempire del tutto l’ellissi temporale.

L’incrocio delle indagini è gestito in modo che le traiettorie convergano al crocevia del breve e tesissimo processo finale: cosa dica ufficialmente Whitaker, infatti, è subordinato emotivamente al guazzabuglio di ripensamenti, interludi avventurosi, carpiati mortali negli abissi personali, miraggi di redenzione e false piste di cui è disseminato l’intero percorso di Flight. Come a raccogliere un’intera vita, e la sua manovra d’inversione aerea – assai simile a quella spettacolare a testa in giù della prima parte – nell’arco limitato di due ore e passa, Flight si snoda come un film d’irrisolvibile ellissi temporale, di flashback mancato, in cui le cicatrici bruciano di più perché deputate ad accumulare la forza di rottura di un momento di svolta: al bivio della sua vita, Whitaker deve scegliere tra lo stoicismo del naufrago e la simpatia per il diavolo, senza mezze misure. Non è un caso che al processo arrivi con un cerotto in fronte...

Che Denzel Washington assurga ad epicentro del conflitto etico e del collasso del presente tra un passato nascosto ed un futuro da determinarsi per libero arbitrio, non solo responsabilizza l’attore, chiamandolo ad un’interpretazione da Oscar, ma mostra anche come Zemeckis tenga ben saldo il timone di un cinema in cui l’X factor dell’evento fatale ed il fattore umano possono intersecarsi in ogni momento, addensando possibilità di sviluppo e potenzialità narrative. La sequenza di  Whitaker\Washington che fissa il mini-frigo con gli alcolici la sera prima dell’udienza, è emblematica di questo presente diegetico gravido, sospeso: l'identità di un uomo è mobile, il passato può determinare il futuro, l'apocalisse può generare la salvezza.

Nel cast che coadiuva a buon livello, memorabili le incursioni di un John Goodman in versione guru\pusher, a metà tra un problem-solver ed un troublemaker: una simpatica canaglia che contribuisce, peraltro, allo sporco lavoro di alleggerimento di un film che per la durata sarebbe stato altrimenti non di scontata sostenibilità.

Con Flight, il regista Robert Zemeckis mette a punto un dramma potente e dinamico, sublimando un’idea di cinema in cui è la lenta carburazione delle pulsioni umane a far decollare la storia, a fermarla in uno sguardo o a farla accelerare con ardito u-turn.

Titolo originale: id.Regia: Robert Zemeckis
Interpreti: Denzel Washington, Kelly Reilly, Don Cheadle, Bruce Greenwood, John Goodman, Melissa Leo
Origine: Usa, 2012
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 138'

(in foto: il poster di Flight)

Antonio Maiorino