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Speciale InArt - L'ENIGMA ESCHER, intervista a Marco Bussagli

REGGIO EMILIA (RE), 3 NOVEMBRE 2013 – A Reggio Emilia, fino al prossimo 23 febbraio 2014, è ospitata una retrospettiva senza precedenti dedicata al genio creativo di Maurits Cornelis Escher (1898-1972), “L’ENIGMA ESCHER – Paradossi grafici tra arte e geometria”. Un percorso espositivo originale arricchito da 130 opere provenienti da prestigiose istituzioni e collezioni private ci introduce nel mondo fantastico dell’artista olandese, lungo i sentieri delle metamorfosi geometriche, dei procedimenti grafici che indagano sulle ambiguità della percezione visiva, tra simmetrie, traslazioni e giochi intellettuali, “visioni interiori” che fioriscono dall’arte del torchio per diramarsi nell’immaginario collettivo fino ad esplorare il concetto di infinito.

In mostra, xilografie, acqueforti, litografie, mezzetinte, capolavori come “Nastro di Möbius II” (1963), “Buccia” (1955), “Relatività” (1953), “Mani che disegnano” (1948), paesaggi del Sud Italia, “oggetti impossibili”, disegni, filmati, documenti e studi vari, magari per una scatola di cioccolatini, icosaedri decorati con conchiglie e stelle marine, incisioni che diventano biglietti d’auguri, un francobollo o la cover di un 33giri. Questo e altro ancora nell’antologica promossa dalla Fondazione Palazzo Magnani e curata da Marco Bussagli, Federico Giudiceandrea, Luigi Grasselli, con la coordinazione scientifica di Piergiorgio Odifreddi - saggista, logico e  matematico di calibro internazionale.

Alle domande di infooggi.it ha risposto il curatore Marco Bussagli - già saggista di fama e storico dell’arte, nonché titolare della cattedra di Anatomia Artistica presso l’Accademia di Belle Arti di Roma - a cui va il nostro più sentito ringraziamento per il dono di una lezione magistrale più che di un’intervista.

1) Prof. Bussagli, ogni mostra su Escher diventa un cult, un singolare fenomeno di massa che unisce culture tra loro agli antipodi, dagli inaccessibili ambienti dei matematici ai più comuni altari della musica pop. Provi a spiegarci le ragioni del suo successo.
È vero! Questi sono stati i due grandi amori di Escher, ma uno – quello con i matematici – pare trafitto dalla freccia dorata di Eros perché l’attrazione fu reciproca; al contrario, l’altro – quello con il mondo della musica pop – sembra colpito dalla freccia di piombo di Anteros perché Escher non sopportava quella gente che, invece, amava profondamente le sue opere. Come spiega bene Federico Giudiceandrea (il collezionista cui si deve la gran parte delle opere esposte in mostra), in un interessante contributo al catalogo (edito da Skira), non ci fu feeling fra Mick Jagger, voce solista dei Rolling Stones, e l’incisore olandese. Jagger scrisse ad Escher scongiurandolo di autorizzare l’impiego della splendida incisione “Verbum” per il long playng, come si chiamava allora, intitolato Through the Past, Darkly, ossia «Attraverso il passato, cupamente», che sarebbe uscito nel 1969. La lettera iniziava con «Caro Maurits» e assicurava lauti guadagni per i diritti d’autore della copertina, oltre a profondersi in una serie di lodi sperticate per l’arte di Escher. L’artista rispose all’agente di Jagger, Peter Swales, e, con tono piuttosto piccato, non solo negò qualsiasi autorizzazione, ma suggerì a Swales «…di dire al signor Jagger che non sono Maurits per lui…». Il disco, poi, fu pubblicato con una copertina del tutto banale. Il fatto è questo: il mondo della musica pop vedeva nelle opere di Escher immagini allucinate dei trip provocati dagli stupefacenti; al contrario le opere dell’artista olandese, erano il risultato di una ricerca profonda, basata sullo studio della geometria, della matematica, della cristallografia, dei linguaggi artistici a lui contemporanei, combinati con una sensibilità fuori del comune sostenuta da una volontà, da una capacità di lavoro e di applicazione che non lasciavano spazio ad eccessi di nessun tipo. Esattamente il contrario di quello che facevano gli adepti della musica pop, per i quali, l’eccesso corrispondeva a uno stile di vita. Il che non toglie che i fan della pop music continuarono ad amare le opere di Escher riproducendole, magari di straforo, sulle copertine degli “ellepi”, sulle magliette e sui poster. Con matematici e cristallografi, invece, fu amore a prima vista. Al di là di sporadici contatti, l’incontro “ufficiale” fra l’artista olandese e gli studiosi dei numeri, avvenne nel 1954 ad Amsterdam in occasione dell’International Mathematical Conference, dove era allestita una mostra delle incisioni di Escher. Da allora, ci furono scambi intellettuali che s’intrecciarono con veri rapporti di amicizia, a cominciare da quello con Hans de Rijk (pron.: Reik) che, con lo pseudonimo di Bruno Ernst, dedicò molti libri all’opera di Escher. Non solo, anche cristallografi come Doris J. Schattschneider, s’interessarono all’opera dell’incisore olandese e la utilizzarono per spiegare i modi della divisione regolare del piano e le strutture dei cristalli. Anche Louis Penrose, psicologo e matematico, inventore di quell’oggetto impossibile che è la “scala senza fine” o “scala di Penrose”, fu influenzato da Escher, giacché la sua invenzione fu suggerita all’autore da un’opera come Belvedere, macroscopico oggetto impossibile. Leggendo l’articolo di Penrose, poi, Escher realizzò “Ascendente e discendente”, che ne è la trasposizione artistica. Si capisce, allora, perché Escher fu invitato a tenere nel 1960 una serie di conferenze al MIT (Massachusetts Institute of Technology) e perché le sue opere hanno ispirato altri artisti il cui interesse si è avvicinato al mondo della geometria e della matematica, come il nostro Lucio Saffaro, i cui quadri sono presenti in mostra. Le ragioni del successo delle mostre di Escher, perciò, possono essere rintracciate proprio nei motivi di attrazione delle due schiere di fan che lo seguono con grande interesse e che, messe insieme, compongono quasi l’unità della popolazione. Da una parte, quelli che ritengono che le opere dell’artista olandese siano l’immagine stessa dell’insolito, della fantasia e del mistero, per non dire della trasgressione. Dall’altra, quelli che vi vedono l’applicazione visiva delle leggi della matematica e della geometria, quasi al limite della capacità di comprensione della mente umana (la geometria non-euclidea affrontata con opere come “Limite del cerchio I”), che finisce per misurarsi con i concetti di tempo, d’infinito e di eternità che sono i temi che, da sempre, sono al centro della speculazione del genere umano.

2) Le opere del celebre artista olandese sono oggetto di differenti speculazioni. A loro modo sovvertono ogni certezza, come le regole dello spazio e del tempo, attirandoci in una sorta di labirinto mentale. La bussola per non perdersi in questo caos, per accostarsi alla risoluzione – ammesso che sia possibile - del suo “enigma”?
La bussola per non perdersi in questo caos è capire che non si tratta di caos, ma dello straordinario, riuscito sforzo razionale e poetico insieme, di dimostrare ai distratti che la confusione del mondo nasconde un mistero, quello dell’armonia delle cose, specchio di quell’ordine razionale che si cela dietro l’apparente scompiglio. Se si osserva un albero di olivo, con il suo tronco ritorto, la sua chioma scomposta e il suo colore argentato, mai uguale a se stesso, ci sembrerà l’immagine stessa della casualità. Al contrario, se mutiamo punto di vista, potremo capire che il tronco, così tormentato, segue uno schema assi prossimo a quello della geometria dei frattali, mentre le foglie sono posizionate su ciascun rametto secondo lo schema geometrico della giro-riflessione e che il rapporto fra il verde scuro e il chiaro della chioma, è 1:1 perché il chiaro è il sotto di ogni foglia scura sull’altra faccia. Le opere di Escher si pongono come immagini-limite che, proprio perché tali, finiscono per svelare come dietro le apparenze di una forma più o meno caotica, si occulti uno schema geometrico estremamente razionale. Un’impressione, questa che si ricava, per esempio, già in un’incisione xilografica come “Il secondo giorno della Creazione” del 1925. Qui, Dio separa le acque di sopra da quelle di sotto e le onde che cozzano fragorosamente, mentre scrosci di pioggia cadono senza posa. Una scena che sembra proprio l’immagine del caos; ma a ben vedere, si tratta di linee curve che si dispongono sul foglio con un assoluto, ordinato rigore, ripartendo lo spazio e la superficie in parti uguali e regolari. Escher indagò in varie maniere questo concetto, offrendo soluzioni geniali e diverse, come in “Cielo e Acqua” del 1938, dove si passa dalla forma di un pesce che nuota a quella di un uccello che vola senza quasi accorgersene. Allo stesso modo, tutta la produzione di “Metamorfosi”, nelle varie versioni (I, II e III), introduce il concetto di ciclo, di circolarità per cui, partendo dalla parola che dà il titolo all’opera, si affronta un viaggio straordinario che ci farà passare fra forme così diverse che parranno distanti ed inconciliabili fra loro pur essendo strettamente concatenate. Si succede, infatti, una teoria di cubi, di rettili, di api, di pesci, di uccelli, di cavalli, di città. Eppure, nonostante questa immensa varietà, alla fine del percorso ci ritroveremo esattamente al punto di partenza. Sono concetti logici che saranno sviluppati anche in matematica con Gödel, in musica con Bach e che, uno scienziato genetista, filosofo e matematico geniale come Douglas Richard Hofstadter, ha messo insieme passando proprio per l’arte di Escher e pubblicando la sua “Eterna ghirlanda brillante” che nel 1979 vinse il Premio Pulitzer. Del resto, non è un caso che Escher si sia interessato all’antica passione per i solidi platonici che, per la loro fascinosa regolarità sono stati considerati dal filosofo greco come simbolo dei quattro elementi e dell’universo stesso. Così, il cubo è la terra, l’acqua l’icosaedro, l’ottaedro l’aria e il tetraedro il fuoco (“Timeo”, 53D-55C), mentre il cosmo è rappresentato dal dodecaedro (“Fedone”, 109). Tuttavia, Escher sa bene che nel mondo si annida anche il germe dell’apparente irrazionalità, del paradosso, dell’impossibile. Per questo motivo, allora, nascono opere come “Nastro di Möbius”, “Mani che disegnano”, oppure “Altro mondo II”, dove l’immagine risulta paradossale, inspiegabile con il metro dell’apparente raziocinio. Il nastro di Möbius, dal nome del matematico e astronomo tedesco che ne scrisse per la prima volta, è una striscia che possiamo anche realizzare a casa con la carta: basta incollarne un capo in modo che il margine inferiore coincida con quello superiore e viceversa. Le proprietà di questa figura geometrica sono che non c’è soluzione di continuità fra la faccia esterna e quella interna, tanto che se facciamo correre una trottola sul nastro, alla fine del percorso ce la ritroveremo con il moto di rotazione invertito. Le “Mani che disegnano”, che sono quelle di Escher, pongono un problema logico, ovvero quello insolubile di capire chi per prima ha iniziato a disegnare l’altra, il che assomiglia molto al teorema della incompletezza enunciato da Gödel. Infine, “Altro Mondo II”, stravolge del tutto l’impostazione unitaria dello spazio propria della prospettiva scientifica, postulando per ciascun piano della finestra prospettica un punto di vista diverso. C’è poi il grande tema degli oggetti impossibili al quale Escher dedica incisioni come “Belvedere”, “Ascendente e discendente” e “Cascate”. Queste sono rispettivamente l’interpretazione originale e artistica di figure impossibili come il cubo di Necker, la scala di Penrose e la tribarra di Reutersvärd. Questi oggetti, impossibili da costruire nella realtà se non a patto di osservarli da un solo particolare punto di vista, le cui leggi prospettiche temperano le aberrazioni strutturali, paiono invece del tutto verosimili in un disegno. Segno evidente che nell’arte si annida quel mistero che Escher vuol fare affiorare dal caos apparente del mondo.

3) Quali riflessioni si propone si suscitare la presente antologica nelle intenzioni dei curatori?
L’intento dei curatori, ossia Federico Giudiceandrea, il collezionista di cui si è già parlato (l’altro è l’americano Rock Walker), Luigi Grasselli (professore di Matematica all’Università di Reggio Emilia) e mio, con il coordinamento di Piergiorgio Odifreddi che ha avuto l’idea di organizzare questa mostra con l’appoggio e l’entusiastica condivisione della Fondazione di Palazzo Magnani e del suo Presidente Iris Giglioli, può riassumersi in una semplice frase: dimostrare che quella di Escher è grande arte e che l’incisore olandese, merita l’appellativo di genio, al pari dei grandi dell’arte italiana come Michelangelo o Raffaello. Non sembri un obiettivo di poco conto perché, al di là del successo e della diffusione dell’opera di Escher, c’è sempre chi è pronto a dire che la sua è un’arte di serie B, dedita più ai giochetti ottici e di percezione visiva, che, perciò, non può essere considerata vero e proprio linguaggio artistico. Non è un caso che nel 2008, a Vienna, si sia svolta una mostra dedicata al rapporto fra matematica e arte, da Dürer a Sol LeWit, dove non comparivano opere di Escher. Proprio per questo, ho voluto che in mostra fossero presenti non solo opere di Escher, ma anche quelle che appartengono al suo mondo culturale, da Dürer a Jan Vredeman de Vires, da Piranesi (le cui incisioni Escher teneva appese in salotto) a Balla, Depero, Magritte e Dalì. Escher aveva una profonda cultura artistica, costruita anche a Roma, con la frequentazione degli ambienti dell’Istituto Olandese di Cultura, del Circolo Romano degli Incisori di Federico Hermanin, dove tenne una mostra, e dell’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università “La Sapienza”, con Adolfo Venturi. Naturalmente, l’intento non è solo questo, ma quello di avvicinare il grande pubblico al mondo di Escher illustrandone la complessità ed i riferimenti. Per questo, in mostra, sono esposte le incisioni del suo maestro, Samuel Jessurun de Mesquita, le litografie di Kolo Moser che rappresentano il mondo liberty da cui prese le mosse, i manifesti italiani che potevano essere stati un punto di riferimento per lui, ma si trovano anche approfondimenti sulle tecniche incisorie da lui utilizzate, gli schemi di costruzione della divisione regolare del piano ed il relativo logaritmo, nonché una succinta esposizione delle leggi di percezione visiva della Gestalttheorie, con tanto di banco sperimentale. La nostra presunzione è che, alla fine del percorso espositivo, il visitatore abbia penetrato in profondità l’arte di Escher comprendendone gli aspetti principali, quelli culturologici, artistici e matematici.

4) Ora, in qualità di artista, dal momento che – tra le altre cose - ha esposto alla Biennale di Venezia del 1986, qual è la sua opinione sull’arte contemporanea italiana?
La mia opinione è che l’arte di oggi rispecchi l’incertezza del periodo che stiamo vivendo, frastornata dalla tecnologia e dal rapporto con il mercato. Questo non toglie che ci siano in Italia, personalità di grande rilievo come Maurizio Cattelan che conferma, però, le mie osservazioni precedenti. Il 25 ottobre scorso ha mandato al suo posto il duo de “I soliti idioti” vestiti da preti, a ritirare il premio che l’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove ha studiato, gli aveva tributato. Accanto agli applausi e alle risate dei presenti, si è registrata, però, l’indignazione del critico Renato Barilli che aveva perorato la scelta del nome di Cattelan. Il fatto è che tutti i Governi che si sono succeduti dal 1999 ad oggi, quando hanno varato la legge 508, si sono impegnati per non applicare la legge da loro stessi approvata e, così, hanno voluto “smontare” – con cinica metodica – il percorso artistico italiano. Prima hanno cercato di livellare verso il basso il profilo delle Accademie di Belle Arti (riuscendoci solo in parte), impedendo loro di entrare nel comparto universitario a tutti gli effetti, come accade in tutto il resto del mondo, da Boston a Pechino, da Berlino a Il Cairo; poi hanno (riforma Gelmini) soppresso la classe di concorso A025 eliminando il Disegno dai Licei Scientifici indirizzo Sportivo, da quelli Linguistici e Scienze Umane ( ex Pedagogici), dagli Istituti Professionali e Tecnici, indirizzi Moda e Grafica; riducendo il monte ore di studio dai Licei Artistici; soppressi gli Istituti d’Arte, cancellati posti di lavoro, cacciando i precari e, soprattutto, infliggendo un colpo mortale al nostro sistema di formazione artistica, salvo poi riempirsi la bocca delle solite frasi fatte sull’importanza dell’arte italiana nel mondo. Cattelan non ha fatto altro che registrare una situazione. “I soliti idioti”, perciò, erano indirizzati al Ministero, non all’Accademia. Tuttavia, il risultato non è stato dei più felici perché, di fatto, Cattelan si è messo dalla parte del torto, visto che il premio è intitolato a Francesca Alinovi e Roberto Daolio due docenti di Bologna scomparsi, la prima in maniera tragica (è stata uccisa trent’anni or sono) e l’altro è deceduto pochi mesi fa. Non accettare di ritirare il premio, cosa che – al contrario – fece quando il 30 marzo 2004 l’Università di Torino gli conferì la laurea honoris causa, è stato un atto di scortesia e di mancanza di rispetto nei confronti dei dedicatari del premio e dell’istituzione, come ha sottolineato Renato Barilli. Ho citato questo episodio perché è emblematico del disagio vissuto dal nostro Paese anche in questo campo. La classe politica non ha saputo né tutelare né valorizzare le potenzialità creative della nostra cultura e delle nostre intelligenze. Non solo non c’è alcun sostegno nei confronti dei singoli, intendendo per tali gli studenti, i professori e gli artisti, ma le azioni che si sono susseguite, hanno seriamente danneggiato il sistema artistico italiano, togliendogli smalto e competitività internazionale. La posizione di rilievo che ancora l’Italia riesce ad occupare con i fenomeni della Transavanguardia, oppure grazie a personaggi come Luigi Ontani, Omar Galliani o Stefano Di Stasio, si devono all’iniziativa personale, anche se Galliani insegna all’Accademia di Carrara. Non c’è un sistema dell’arte in Italia e pensare che Michelangelo sia potuto nascere senza l’organizzazione delle botteghe fiorentine, è pura utopia. Dal punto di vista espressivo, gli artisti citati, sono la testimonianza della necessità di recuperare il linguaggio figurativo, sia pure rivisto in termini nuovi ed originali che vanno dalla romantica grandiosità di Galliani al decorativismo di Ontani, al simbolismo onirico di Di Stasio, fino al metodo neo-duchampiano di Cattelan che, però, è comune anche a Luca Patella e Gianfranco Baruchello. Nel percorso espressivo del Novecento, infatti, esistono “binari morti” come quello del taglio di Fontana o l’estetica cubista che non ha dato gli esiti previsti da Frankastel. Per questo, l’arte è andata verso l’immagine e la figura, magari utilizzando i media offerti dalla tecnologia più recente, come la fotografia digitale, la computer-art, l’impiego di stampi in vetroresina, senza disdegnare però, neppure le tecniche tradizionali come l’olio o il mosaico.

5) Prof. Bussagli, lei vanta numerose pubblicazioni scientifiche, voci enciclopediche, collabora con Avvenire e Art e Dossier (ha dedicato un dossier proprio ad Escher), approfondendo su più fronti le problematiche iconografiche. Mi ha incuriosito il suo interesse per la rappresentazione degli angeli nell’arte (un tema trattato in “Storia degli Angeli” 1991, 1995 e 2003), confluito in una mostra di altissimo contenuto culturale promossa dalla Regione Puglia per il Giubileo del Duemila (“Le ali di Dio”, Bari-Caen, 2000). Dal grande al piccolo schermo, passando per il teatro d’autore, la narrativa e la pubblicità, da qualche tempo si assiste a un ritorno della figura dell’Angelo, sia pure attraverso modalità distorte agli occhi della fede, smentendo chi vi aveva colto i segni di una moda passeggera. Un possibile bisogno inconfessato di spiritualità della nostra epoca?
Non «incoffessato», io direi ampiamente «confessato», quasi senza pudore, ammesso che ci sia bisogno di pudore per dichiararsi attratti verso i temi della religiosità. Ora, senza voler fare psicologia spicciola, non sarà difficile constatare che l’Uomo è un essere profondamente insicuro, la cui esistenza è minata dalla malattia e dalla morte. La religione offre un appoggio che, però, non è gratuito, nel senso che non nasce solo da un bisogno interiore del genere umano, ma anche dalla constatazione che la natura circostante segue delle leggi, mostra un’organizzazione, una struttura razionale che è stata interpretata come riflesso di una mente superiore identificata con Dio, Allah, Jahweh, per rimanere alle religioni del Libro. A questo, poi, bisogna aggiungere le esperienze oniriche, la percezione di una realtà diversa alla quale l’individuo può accedere in particolari condizioni, come quando dorme, oppure negli stati di allucinazione indotti o spontanei. Tutto questo costituisce, quello che mi piace chiamare “Sacro concreto” perché connesso strettamente ad esperienze e a concezioni derivate dalla condizione umana. Tuttavia, l’idea di una divinità distante, che ha costruito il mondo, creato l’uomo e poi se ne è disinteressato, come il Primo Mobile di Aristotele, non interessa nessuno. Ogni religione, in un senso o nell’altro, ha una catena di esseri intermedi che non solo costituiscono la corte celeste che fa ala e rende omaggio alla divinità o alle trimurti creatrici, ma costituisce una sorta di “scala” che mette in relazione i superni con gli uomini. Gli angeli appartengono a questa categoria, ma non possono essere confusi con le altre figure che ricoprono questo ruolo nelle altre religioni, come le “Apsaras” dell’Induismo o le “Fravashi” dello Zoroastrismo o, ancora, il Mercurio del Paganesimo occidentale. La figura dell’angelo appartiene solo alle religioni del Libro, l’ebraica, la cristiana e l’islamica. La sua origine, però, è pre-biblica: sono i “bene-ha-elohim”, letteralmente i «figli di Dio», probabilmente, le stelle. La loro concezione si è evoluta presentandosi dapprima solo come «Angelo di Jahweh», l’angelo inviato da Dio che nella religiosità islamica diviene l’«Angelo del volto», quello che permette di guardare Dio attraverso la sua mediazione (perché altrimenti non sarebbe possibile) e come «cherubini», gli esseri che sono a protezione del Paradiso Terrestre e dell’Arca dell’Alleanza. Questo nucleo iniziale, presente sostanzialmente nei libri del Pentateuco, che, com’è noto, corrisponde alla “Torah” ebraica, si è poi arricchito delle visioni di Ezechiele (Cherubini) e di Isaia (Serafini). Un ruolo importante, poi, hanno avuto il “Libro di Tobia” nel quale compare Raffaele, prototipo dell’angelo custode, il Vangelo di Luca che narra dell’Annunciazione con la presenza dell’Arcangelo Gabriele, l’Apocalisse di San Giovanni nella quale compare l’Arcangelo Michele e le lettere di San Paolo che nomina altri cori della Gerarchia Celeste come Virtù, Potestà e Dominazioni. La sistematizzazione del mondo angelico, fu opera dello pseudo-Dionigi Areopagita che scrisse diversi testi fra cui il celebre “De coelesti hierarchia”. Siamo, ormai, al V-VI secolo. Tuttavia, la figura dell’angelo assume ulteriori ruoli. La letteratura collaterale, soprattutto quella dell’enciclopedistica medievale che attinge alla patristica latina e greca, descriverà gli angeli come i motori delle stelle, un concetto ampiamente ripreso e sviluppato da Dante nella “Divina Commedia”, come protettori delle città, governatori dei venti, delle piante, della terra, delle acque, ossia degli elementi in genere. In altri termini, gli Angeli si configurano come le essenze spirituali del cosmo, ossia quegli esseri la cui natura garantisce il passaggio dalla dimensione materiale a quella spirituale del mondo creato. Questo, diciamo così, doppio ruolo permette alla volontà di Dio di penetrare nel mondo e, all’uomo, di giungere a Dio amando e rispettando le cose del mondo. Inoltre, la loro presenza garantisce che l’universo è santo. Nella fisica odierna, possono essere avvicinati alle forze del cosmo, come la gravità, la forza debole, l’elettromagnetica e la forza forte che costituiscono le interazioni fondamentali grazie alle quali l’universo materiale resta insieme e non si trasforma in energia pura nella quale si potrebbe vedere l’essenza di Dio. Gli uomini di oggi, intuendo tutto questo, si rivolgono alla figura dell’angelo per non sentirsi sperduti nell’universo e non pensare alla terra come ad una pallina azzurra sparata nel cosmo impazzito.

6) Mai senza…
La mia penna!

«Solo coloro che tentano l’assurdo
raggiungeranno l’impossibile
».
(Cit. M. C. Escher)

(Immagine: su gentile concessione di Palazzo Magnani, un particolare della locandina della mostra “L’ENIGMA ESCHER”) [MORE]

Domenico Carelli