Cultura e Spettacolo
Soveria Simeri ricorda Cecilia Faragò, l'ultima strega che sconfisse il pregiudizio
SOVERIA SIMERI, 11 APRILE 2014 - “I giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi”, parole di Sandro Pertini, che lasciava ai ragazzi e alle ragazze un'iniezione di speranza, perchè chi è nel giusto, prima o poi, riesca a trionfar sempre. E dove può trarre questa forza una terra che ai più appare immorale, se non dalla propria prospera e fiorente civiltà, dal racconto di miti passati e di vite vissute oltre le ingiustizie. Di vite che le ingiustizie le hanno sconfitte. Esempi, come ci suggeriva il Presidente più amato dagli italiani, che devono servire a ricreare quel senso di affidamento al diritto, alla morale, e alla lotta per essi, che troppo spesso mancano soprattutto nella nostra terra, arresi come siamo ad un destino assegnatoci e da non mutare, che riesce a disinnescare anche l'ultimo anelito d'amor proprio. La magnificenza conosciuta e scomparsa del Meridione della penisola italica passa anche, ed inevitabilmente, da personalità che hanno segnato punti di svolta, da tanti Davide vittoriosi su altrettanti Golia, da storie da affidare al ricordo ma, onorando Pertini, soprattutto all'esempio.
[MORE]Anche Soveria Simeri, e soprattutto le donne soveritane, hanno un Davide di cui fregiarsi: Cecilia Faragò, l'ultima strega. Strega ed eretica perchè eresia era andare contro uno status quo senza diritto, ultima perchè Cecilia riuscì a salvare il suo onore insieme a quello di tutte le donne che avrebbero vissuto negli anni successivi nell'enorme feudo borbonico.
Teatro della vicenda il borgo della Calabria cirenaica, attori co-protagonisti due canonici, uno dei quali spirato per colpa di chissà quale magheggio della magara Cecilia, impegnata nella battaglia per affermare il diritto ad avere, diritto negato al gentil sesso di allora. Perchè i canonici avevano cercato, in ogni modo ed appellandosi ad uno status di non diritto che assegnava al clero il dominus su gran parte dei beni terreni, oltre che su quelli spirituali, di appropriarsi dei possedimenti di Cecilia, personificazione della resistenza.
Donna irregolare, sui generis forse per i tempi di allora, che ha trovato coraggio e persistenza nella propria personalissima guerra, ispirata e condotta dal giurista catanzarese Raffaelli. Sullo sfondo l'epoca illuministica del tardo XVIII secolo, il barlume della ragione che irradiò i sovrani illuminati: l'imputata Cecilia fu assolta dalla Gran Corte di Napoli. Nessun magheggio e nessun assassinio. Correva l'anno 1770, il reato di Maleficium nel Regno delle Due Sicilie, dopo quell'ultimo processo, fu bandito da Re Ferdinando: l'avvocato Raffaelli dimostrò, nella sua perfetta arringa, che la stregoneria non aveva ragion d'esistere. Con buona pace di tutte quelle donne al rogo, sacrificate sull'altare di una giustizia pregiudizievole e di comodo, ma non divina.
Dedicato alla narrazione della vita della magara è stato l'incontro avvenuto proprio a Soveria Simeri ieri, continuazione della campagna 'conoscitiva' su Cecilia iniziata nell'incontro svoltosi a Zagarise (paese natìo della stessa donna), nel mese di gennaio. Un incontro utile per ribadire quanto importante siano la lotta contro le ingiustizie e contro il pregiudizio, appello ad una presa di coscienza del proprio essere che, ancor prima di essere tutelato da un valore giuridico, deve essere insito nell'animo combattivo di ognuno. E, soprattutto, di 'ognuna', come ricorda Donata Chiricò, scrittrice e docente universitaria: “Le donne vinceranno il pregiudizio, ancor prima che con le quote rosa, con la cultura”. La magara Cecilia Faragò, irregolare o forse no, come sottolinea Marcello Barberio, storico intervenuto all'incontro: “Cecilia Faragò non era un'irregolare: lottare per un proprio giusto diritto doveva, deve e dovrà essere la regolarità. Sempre”.
Sono intervenuti, inoltre, i sindaci di Soveria Simeri e Zagarise, Aldo Olivo e Domenico Gallelli, che ancora una volta hanno ribadito la necessità di un percorso di valorizzazione del fattore cultura nei borghi presilani, gli studiosi Francesco Graceffa e Mauro Minervino, e l'avvocato Natalina Raffaelli, discendente del giurista che difese Cecilia.
A chiudere la rappresentazione il monologo interpretato da Maria Faragò, musica e parole per l'unica voce che manca a questo racconto: la voce di Cecilia.
Salvatore Remorgida