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Sicurezza sul lavoro e obblighi del datore di lavoro
REGGIO CALABRIA, 6 MARZO 2017 - In tema di sicurezza sul lavoro, la diligenza richiesta è esclusivamente quella esigibile per essere l’infortunio ricollegabile ad un comportamento colpevole del datore di lavoro, alla violazione di un obbligo di sicurezza e alla mancata predisposizione di misure idonee a prevenire ragioni di danno per i propri dipendenti. Pertanto, non si possono pretendere altre cautele quando di per sé il rischio di una particolare operazione non sia eliminabile e non sia possibile l’adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche ragionevolmente impensabili. Ciò è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile-L, ordinanza n. 4970/2017, depositata il 27 febbraio. [MORE]
Il caso. Un lavoratore, a seguito della caduta da un altezza di circa 10 metri mentre stava effettuando opere di disboscamento di una parete rocciosa nello svolgimento delle proprie mansioni, proponeva ricorso, innanzi al Tribunale competente, chiedendo la condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni subiti.
I giudici di primo grado rigettavano tale richiesta.
Il lavoratore decideva, pertanto, di impugnare tale sentenza. La competente Corte d’Appello, confermava la sentenza di primo grado e, pertanto, rigettava tale domanda, essendo stato accertato positivamente che il lavoratore era in concreto munito di tutti i necessari presidi di sicurezza, che era stato adeguatamente istruito e che aveva avuto il necessario addestramento per adempiere alle sue specifiche mansioni di operaio specializzato. Per tali motivi, il verificarsi dell’incidente, qualunque fossero le concrete modalità, non poteva essere imputato alla responsabilità del datore di lavoro.
Avverso tale sentenza, il lavoratore proponeva ricorso per cassazione.
In primis, la Suprema Corte ricordava che l’obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro in favore del lavoratore era previsto, in generale, con contenuto atipico e residuale, dall’art. 2087 c.c. ed in particolare, con contenuto tipico, dalla dettagliata disciplina di settore riguardante gli infortuni sul lavoro e le misure di prevenzione. Detto ciò, il lavoratore che agiva nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento del danno subito a seguito di infortunio sul lavoro, anche se non doveva provare la colpa del datore di lavoro, nei cui confronti operava la presunzione dettata dall’art. 1218 c.c., era pur sempre onerato alla prova del fatto costituente l’inadempimento e al nesso di causalità materiale tra l’inadempimento e il danno. Infatti, una volta provato l’inadempimento consistente nell’inesatta esecuzione della prestazione di sicurezza nonché la correlazione fra tale inadempimento ed il danno, la prova che tutto era stato approntato ai fini dell’osservanza di quanto indicato dall’art. 2087 c.c. e che gli esiti dannosi erano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile doveva essere fornita dal datore di lavoro. Inoltre, la prova liberatoria a carico del datore di lavoro andava generalmente correlata alla quantificazione della diligenza ritenuta esigibile, nella predisposizione delle misure di sicurezza, imponendosi, di norma, allo stesso l’onere di provare l’adozione di comportamenti specifici i quali, ancorché non risultassero dettati dalla legge o da altra fonte equiparata, fossero suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli “standard” di sicurezza normalmente osservati o trovassero riferimento in altre fonti analoghe. I giudici di legittimità, poi, sottolineavano che il datore di lavoro non era tenuto ad approntare misure e cautele diverse da quelle prescritte e a cui lo stesso era contrattualmente tenuto in ragione della peculiarità delle attività svolte dal dipendente. Quindi, il limite della diligenza esigibile dal datore di lavoro e della responsabilità gravante sullo stesso risiedeva nel rispetto delle regole e delle misure di sicurezza specifiche, mentre non si potevano pretendere altre cautele quando di per sé il rischio di una particolare operazione non fosse eliminabile e non fosse possibile l’adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche ragionevolmente impensabili.
Per tali motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità.
Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express