"Shadowhunters - Città di ossa" di Harald Zwart, dal (solito) fantasy con amore
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SHADOWHUNTERS – CITTÀ DI OSSA DI HARALD ZWART, LA RECENSIONE - Shadowhunters – Città di ossa di Harald Zwart dimostra che il filone young adult nel dark fantasy non è stato ancora spolpato fino all’osso: ce ne sorbiremo ancora un bel po’, di diabolici innesti di Beautiful su immaginari popolati di licantropi e vampiri, con ragazzine che sfoderano le palle, oltre che gli occhioni, al coming of age, romanticismo melenso a fior di labbra – o di canini – e gadget alla Harry Potter. Questa volta il romanzo di derivazione appartiene alla saga ideata da Cassandra Clare, l’underworld di demoni è a Brooklyn, l’oggetto della contesa – roba vecchia quanto Artù – è una coppa.[MORE]
Clary (Lily Collins) è un’adolescente come tante: orfana di padre, la madre pittrice, l’amico nerd Simon (Robert Sheehan), cottissimo. New York non è sempre raccomandabile, ma le presenze che avverte ed il simbolo che la ossessiona inquietano sopra la media. Dopo una notte in discoteca, con qualche ballerino dai lunghi coltelli presto volatilizzato ed altrettanto presto diventato uno stalker, scopre di non essere del tutto mondana: è in qualche modo legata agli shadowhunters, cacciatori di demoni per metà uomini e per metà angeli. La madre viene rapita da forze oscure, pur di non rivelare dove si trovi una coppa dai poteri magici. Alla giovane spetterà aiutare la cricca dei cacciatori, riscoprendo poteri soprannaturali che erano stati rimossi ed immergendosi in una realtà parallela con creature poco rassicuranti. Le fa da Cicerone prima, e da tentato Romeo poi, un algido e biondo shadowhunter, Jace (Jamie Campbell Bower).
C'ERAVAMO TANTO ARMATI - Esordisce in situazione, Shadowhunters, riempiendo la testa di domande e promettendo intrighi sin dai primi dieci minuti. E per oltre due ore non conosce requie, alternando combattimenti, inseguimenti, pomiciate, lezioni di contro-mitologia e metamorfosi. Privo di senso della misura, il film si lascia andare ai graditi eccessi di una fiction, con reminiscenze che oscillano da Buffy al suo spin-off Angel, con l’aggiunta dell’immancabile pozione d’amore.
Certo, poi, le proporzioni dell’entertainement ruffiano le stabilirà ogni singolo spettatore: eppure, più di una sequenza apre bizzarramente orchestrata o non esattamente calibrata, come il primo scontro fisico con i demoni, risolto a padellate dalla madre di Lily; le più aperte inflessioni da abbecedario del teenage movie, con un bacio in un meta-paradiso (e scroscio di pioggia dal nulla), seguito in quattro e quattr’otto da una bega tra fidanzatini; la ventilata passione omosessuale di uno dei cacciatori, bislacco accenno alla Brockback, o Brooklyn, Mountain; una lotta 5 contro 500, nemmeno fosse La Horde in versione vampiresca; e tante svolte veloci, troppo veloci, che lasciano le domande più che il fiato sospeso (il sequel dipenderà dagli incassi, per ora non lusinghieri negli USA). E tanto per non farsi mancare niente, una spruzzatina d’incesto, qualche costumino laracroftiano (la sexy Jemima West nei panni di Isabelle) e quell’atmosfera macabra, appena irrorata d’ironia, che si è vista in un altro recente film di cacciatori, Hansel e Gretel – Cacciatori di streghe: anche questo made in Norway, del regista Tommy Wirkola, connazionale di Harald Zwart. E poi dicono che i Nordici sono freddi.
SUONO IN UNA BOYBAND, CI DEVE ESSERE UN ERRORE - Spettacolone, insomma, che fa battere i cuori, tremare le vene nei polsi e restare incollati alla poltrona, soprattutto gli under 16. A qualcuno più svezzato d’occhio e disincantato – ma non è sempre bene che si sia così – non potrà invece non apparire ridicola l’occhio da triglia, espressivo quanto il frontman di una boyband, del platinato protagonista maschile, quel Jamie Campbell Bower riciclato da particine in Harry Potter e Twilight, insomma, funzionale; la medium di colore (CCH Pounder), guarda caso vicina di casa, che sembra un’involontaria parodia della Oda Mae Brown\Woopy Goldberg di Ghost; persino il santone-guaritore di fattezze asiatiche, Magnus (Godfrey Gao), la cui prima apparizione è in soprabito alla Matrix e boxer (!). Si fa apprezzare, invece, la brava e giovane protagonista Lily Collins, che in tempi di eroine – vedi Hunger Games e Twilight – si cala con volto pulito e recitazione senza sbavature nei panni della ragazzina cresciuta troppo in fretta, con tanto di trasparente metafora dei travagli dell’adolescenza, allorché si vede il mondo cambiare, ma – come poi si dirà nel film – il mondo è in realtà lo stesso, solo che si finisce per guardarlo con occhi diversi. Al punto che la vestizione della guerriera, tutta femminile, altro non è che l'agghindarsi da donna cresciuta, suscitando persino battute da parte dei protagonisti sull'abbigliamento "da prostituta": piccole donne crescono, piccole minigonne decrescono.
Shadowhunters – Città di ossa sa come dare la caccia alle emozioni a buon mercato, ma i combattimenti poco duri, le storielle d’amore troppo molli, i mostri non abbastanza spaventosi e l’Armata Brancaleone delle Tenebre creano poca magia e gettano non poche ombre sulla credibilità della luccicante fabbrica del videogioco d'amore.
Titolo originale: The Mortal Instruments – City of Bones
Regia: Harald Zwart
Interpreti: Lily Collins, Jamie Campbell, Kevin Zeger, Jonathan Rhys Meyer, Lena Headey, Robert Sheehan
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 129’ Origine: Usa, 2013
Antonio Maiorino
Critico d'arte e di cinema
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