Entra nel nostro Canale Telegram!
Ricevi tutte le notizie in tempo reale direttamente sul tuo smartphone!
ROMA, 17 GIUGNO 2012 – Secondo il rapporto dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro pubblicato in occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile (che si celebra il 12 giugno) sono 215 i milioni di bambini costretti a lavorare per sopravvivere. Tra questi, almeno 5 milioni di essi sono costretti ai lavori forzati, nei quali sono comprese le nuove forme di schiavitù minorile come lo sfruttamento sessuale, la schiavitù per debiti o l'uso dei bambini nei conflitti armati. La cifra, evidenziano dall'organizzazione, è senza dubbio sottostimata.
La distanza maggiore tra le promesse derivanti dalle varie Convenzioni redatte in questi anni si ha nei settori dell'economia cosiddetta informale, nella quale rientrano ad esempio i minori utilizzati nelle zone rurali e agricole, dove fin da subito bambini e bambine vengono utilizzati dalle famiglie in chiave economica privilegiando il lavoro piuttosto che l'istruzione scolastica.
Pochissimi poi, denuncia il rapporto, i casi di lavoro minorile che arrivano davanti ai Tribunali nazionali.[MORE]
«Lavoro dignitoso per i genitori e istruzione per i bambini e le bambine sono elementi indispensabili per lo sradicamento del lavoro minorile» dice Juan Somavia, direttore generale dell'Ilo, per il quale bisogna continuare «sulla strada tracciata nella road map adottata a L'Aia nel 2010 che prevedeva l'eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile entro il 2016».
Non bisogna, però, commettere l'errore di credere che questo tipo di problema riguardi solo paesi poveri o in fase di sviluppo.
Se in questi paesi, infatti, vige ancora l'idea secondo la quale bambini e bambine “rendano di più” a lavorare i campi piuttosto che a stare dietro a libri e compiti a casa per l'intera giornata, in un paese che si ritiene sviluppato come l'Italia il nostro sistema scolastico, attaccato negli anni da entrambe le parti politiche, governo dei professori incluso, sta tornando ad essere di élite, dove bambini con disagi e i tantissimi figli di migranti – ai quali si aggiungono bambine e bambine di famiglie colpite dalla crisi economica – rappresentano oggi quel sottoproletariato a cui una volta la scuola era preclusa.
Espulsi dal sistema scolastico (facendo in molte zone del mondo un enorme favore alla criminalità organizzata, sempre disponibile ad accogliere manovalanza giovane) ed impossibilitati dunque a formarsi nella loro maturazione culturale né in quella materialmente spendibile una volta entrati in un mondo del lavoro diventato anch'esso un “lusso per pochi”, tra i 15 ed i 24 anni – come evidenziava Lorella Zanardo su “Il corpo delle donne” due giorni fa – vanno ad incrementare le fila di quell'esercito di ragazze e ragazzi che non studia e non lavora (detti NEET, acronimo di Not in Employment, Education or Training). Nel nostro paese, dove la percentuale è la più alta d'Europa ed in aumento proprio per effetto della crisi economica, sono oltre due milioni, come denuncia Sofia Basso in un articolo pubblicato sull'ultimo numero del settimanale Left.
Quello dei NEET rappresenta un problema sociale con il quale sarà bene iniziare a fare i conti al più presto, in Italia come nel resto del mondo, considerando che questo fenomeno è – allo stesso tempo – effetto e causa di tutta una serie di altri problemi sociali che società che vogliono essere realmente democratiche non possono permettersi. Sono effetto – come abbiamo visto – di dinamiche di esclusione (scolastica e lavorativa) che ricadono poi sull'intera comunità di appartenenza ma sono anche causa stessa della crisi essendo spesso costretti a fare affidamento solo su aiuti economici derivanti dai familiari (la vecchia “paghetta” di mamma e papà, per intendersi) in un sistema dove il fulcro di tutto sono, ancora una volta, le politiche che ruotano intorno all'idea che la società ha della scuola, intesa nel suo ruolo di educatrice sociale prima ancora che culturale.
Più che di tanti Don Milani – come chiede “disperatamente” Lorella Zanardo – io credo, c'è bisogno che un Don Milani venga fatto ministro dell'Istruzione (per ora, con Marco Rossi Doria, ci siamo fermati al sottosegretariato).
(foto: ilcorpodelledonne.net)
Andrea Intonti [http://senorbabylon.blogspot.it/senorbabylon.blogspot.it/]