Societa'

Mons. Vincenzo Bertolone, scrivo a voi, politici e amministratori delle nostre comunità

Lettera dell’arcivescovo di Catanzaro Squillace per il “Giubileo dei politici”.
CATANZARO, 17 MARZO 2016  Carissimi politici e amministratori dei nostri territori,
1. in un anno giubilare straordinario, in cui tutto il popolo di Dio viene sollecitato ad atteggiamenti di riconciliazione, perdono, penitenza, misericordia, mi sembra importante condividere una riflessione anche con voi che, per volontà del popolo, prestate il vostro munus avendo per fine il bene comune. Il vostro ambito, la politica, una volta veniva definita “arte”, con il corollario che chi vi opera deve sentirsi e agire, cioè, da persona di genio, di fantasia. Ma la politica è arte nobile, perché terreno emergente di incoercibili esigenze di progresso, pace, libertà, solidarietà, e, cosa ancora più difficile, (perché le sue regole non sono assolute e imperiture, ma devono intuire e dirigere con mano ferma i cambiamenti socioculturali, assecondando i bisogni, moderando i desideri, aprendo scenari di speranza e di futuro alle persone, soprattutto nelle periferie urbane ed esistenziali: le periferie sono, infatti, il concentrato delle disuguaglianze, delle ingiustizie; in esse la sofferenza è tangibile, la povertà “urla”, come il celebre quadro di Edvard Munch. Al tempo stesso, essa esige che si sappia vivere nella conflittualità dei partiti e dei movimenti, contemperando il rispetto e la lotta, l’accoglimento e il rifiuto, la convergenza e la divaricazione. [MORE]

2. Questo, tuttavia, non deve spaventare, neppure ai giorni nostri, intrisi dell’umore collettivo di un Paese che fatica a venir fuori da una crisi profonda, che ha mortificato aspirazioni ed aspettative, specialmente quelle dei giovani. In quale direzione guardare per non lasciarsi prendere dallo sgomento? Forse bisogna andare oltre la rappresentazione oleografica del Bel Paese per valutare l’Italia concreta, quotidiana, non fatta d’aria o di carta, che non fa notizia, ma vive, lavora e prepara, nel silenzio e nell’impegno, il domani. Questa Italia in carne e ossa, di strade, mattoni e campanili, c’è. È una famiglia che non si spacca e non arretra, ma resiste e combatte tenacemente perché al buio segua l’alba. I segni non mancano: dietro la crisi globale e finanziaria, figlia anche di governance errate, si nasconde una grande richiesta di politica, di un mutamento di rotta rispetto ad un presente in cui il dilagare d’una visione funzionale della realtà a paradigmi spesso errati rendono problematico costruire i necessari ponti tra l’etica, il diritto e la politica.

3. Queste considerazioni portano a soffermarsi sulle qualità che dovrebbero caratterizzare oggi la politica e i politici, l’amministrazione e gli amministratori. Questi ultimi, in particolare, dovrebbero avere sempre nelle proprie corde il ripudio di ogni intemperanza di potere e dell’esercizio smodato dell’autorità, coltivando la convinzione che anche senza di essi il mondo riuscirebbe a sopravvivere trovando il giusto equilibrio nelle parole del Signore: “Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc.17,10). L’invito alla sobrietà, che chiama in causa il comportamento dei singoli, non si esaurisce certo nella sfera personale, ma tocca anche un processo degenerativo comune, più sbrigativamente definito “partitocrazia”: i partiti, secondo la nostra Carta costituzionale, dovrebbero essere dei corpi intermedi, con una funzione paragonabile a quella che il fusto svolge nella pianta. Il compito del fusto è quello di raccogliere e coordinare le istanze vive della base, per tradurle in prassi organica che vada a innervarsi sui rami. Le persone, sia singolarmente, sia associate in raggruppamenti primari, essendo le “radici” del sistema, sono depositarie della sovranità e delegano il potere ai loro rappresentanti affinché lo esercitino nell’interesse comune. Quanto ai partiti ed ai movimenti, essi, come già detto, hanno il compito di raccogliere e incanalare spinte sociali diverse, spesso conflittuali, favorendo e organizzando il consenso. Ecco perché la politica, secondo una splendida espressione dei vescovi francesi, può essere definita “coagulante sociale”, in quanto stringe forze diverse attorno ad un medesimo progetto, che in qualche modo precede tutte le forze in campo e richiede la fine arte del riconoscimento e della traduzione in scelte compatibili con il pluralismo culturale, sociale ed etico.

4. Purtroppo è successo che il fusto sia degenerato con grave danno sia delle radici, sia dei rami. In altri termini i partiti e le loro attuali riconfigurazioni, si siano “ubriacati”: verso il basso hanno espropriato i cittadini di alcune loro prerogative (l’informazione, l’editoria, la cultura, lo spettacolo, spesso condizionando la vita di gruppi e associazioni), verso l’alto hanno fagocitato quasi tutte le Istituzioni, non solo lottizzando gli Enti pubblici secondo criteri di appartenenza, ma anche depotenziando la sovranità del Parlamento subordinandola ad altri interessi e ad altre logiche di potere, addirittura di occupazione della cosa pubblica. Le conseguenze di questa degenerazione sono drammatiche: da una parte i problemi ristagnano e non trovano soluzioni vere, gli intoppi burocratici si infittiscono e perfino certe provvidenze di legge si incagliano sui fondali della sclerosi amministrativa, si usurano negli intrighi delle clientele, naufragano nel gioco delle correnti, alimentano tanti rivoli carsici, a volte oscuri; dall’altra diminuisce la fiducia della gente (e degli elettori) nella politica, ridotta a “solvente” sociale, anziché “coagulo”. L’opinione pubblica si rifugia sempre più nella tendenza a sovrastimare la società e a detrimento dello Stato, a preferire il prepolitico (sociale, ricreativo, culturale) al politico (normativo e capace di governare i cambiamenti). Così mentre i giovani (o parte di essi), pur sentendo una vivissima vocazione alla solidarietà, preferiscono riversare il loro impegno nel volontariato, spesso si tirano indietro anche gli adulti, che alle prese con meccanismi perversi di inoccupazione, sottoccupazione e disoccupazione, e che disgustati dallo spettacolo dei partiti o movimenti gettano la spugna.

5. Per questo, allora, il cristiano che fa politica deve avere non solo la compassione delle mani e del cuore, ma anche la compassione del cervello. Compassione è uno dei sinonimi della misericordia: aver pietà, avere misericordia. Se detto di Dio, significa anche aver compassione, mentre riferito ad un politico, significa analizzare in profondità le situazioni di malessere in vista di possibili soluzioni; apportare rimedi sostanziali sottratti alla fosforescenza del precariato; non fare delle sofferenze della gente (anche quelle legate alla salute e al benessere) l'occasione per gestire i bisogni a scopo di potere, pagare di persona il prezzo di una solidarietà che diventa passione per l'essere umano; additare, coraggiosamente i focolai da cui partono le ingiustizie, le violenze, le guerre, le oppressioni, le violazioni dei diritti umani, l’economia degli “scartati”. L’uomo e la donna di governo debbono essere umili, cioè possedere quella virtù che permette di essere liberi e dare se stessi “con grande sollecitudine” e con “affettuoso amore”, come diceva santa Caterina da Siena. L’ispirazione cristiana in politica, insomma, non può ridursi a uno slogan o ad un comodo lasciapassare per ottenere appoggi dalla gerarchia cattolica, ma esige un di più di coerenza e di servizio, che si misura nella concreta disponibilità a favorire un rinnovamento profondo dei metodi e dei contenuti della politica, a cominciare dalle candidature e dalla individuazione dei candidati. Sono gli elementi essenziali per la crescita di un popolo: nella seconda metà del Novecento questi impulsi di novità sono nati da profonde ferite, quali le due guerre mondiali, che hanno avuto l’effetto indiretto di veder giungere al governo delle nazioni persone competenti e di alta qualità morale perché forgiate dal sacrificio e, pertanto, non disponibili alla violenza e alla sopraffazione per far prevalere il proprio punto di vista. Ai giorni nostri i temi protagonisti di quella nobile esperienza, dai partiti ai sindacati, ai luoghi della cultura, si presentano come ridotti a schermo d’una continua e frammentata richiesta di singoli e di gruppi di interesse, incapaci di interrogarsi sulle proprie degenerazioni e di aprirsi ai fermenti di rinnovamento, anche cattolici, che fioriscono nella società italiana ed il cui capitale più importante è costituito dalle persone e dai loro carismi. Da parte sua, Papa Francesco, sulla scia dei suoi immediati predecessori, ci incoraggia a restituire respiro progettuale all’opera educativa e formativa, proprio in presenza della crescente difficoltà di proporre ai più giovani (e di trasmettere di generazione in generazione) qualcosa di valido e di certo, cioè delle regole di vita condivise, autentici significati e convincenti obiettivi per l'umana esistenza, sia come persone, sia come comunità. Un Paese, una Regione, un Comune per diventare “migliori” hanno bisogno di abbinare la fedeltà ad un patrimonio condiviso di virtù e di valori, al coraggio di riforme organiche, innovative, come esigono i tempi. Hanno bisogno di una politica aperta a tutti, gli aventi diritto, ispirata al principio del bene comune, guidata da una logica di solidarietà, capace di contribuire allo sviluppo di un ordine civile, fondato sul rispetto della dignità della persona umana e dei suoi diritti inalienabili.

6. L’Anno santo della misericordia, dunque, con i suoi appelli a ciascuno di noi a farsi prossimo di chi attende vicinanza nel corpo e nello spirito, non può che parlare particolarmente a voi, ai vostri cuori, alla vostra intelligenza. Ascoltate con attenzione le richieste che provengono oggi dalla comunità ecclesiale, la quale indica dove stia il vero tesoro delle persone umane, singole e associate. La Bolla Misericordiae vultus, con cui il Santo Padre ha indetto il Giubileo straordinario, ci ricorda con la Gaudium et spes che «solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo». Il senso dell’essere umano - che servite, al quale vi dedicate, a favore del quale operate - è comunque illuminato dal Signore misericordioso! Quest’anno sia anche per voi un propizio tempo di riflessione sul senso stesso della nostra esistenza e del vostro impegno politico o amministrativo. Lasciatevi provocare da Cristo per la conversione personale nel modo di svolgere i vostri compiti e, soprattutto, ponetevi con fiducia lungo la strada della riconciliazione, della riparazione di eventuali errori commessi, del sacrificio come stile di vita, ai fini dell’incontro gioioso con la misericordia divina. La vostra sensibilità si lasci illuminare dallo spirito cristiano della misericordia e della solidarietà, specialmente per i più deboli, gli emarginati, gli scartati dalla società. Due sono le sfide: la prima, come ammoniva già sant’Agostino, consiste nel non ridurre «il Vangelo a verità privata per non esserne privati»; la seconda, nell’affrontare agli aspetti deteriori della globalizzazione, così condizionati dalla componente economica e mercantile da avvilire la parte spirituale della gente e la trascendenza verso Dio. Di fronte a questo scenario, per dirla con papa Paolo VI, «è indispensabile raggiungere con la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la parola di Dio». Nitida e sempre più forte, sottolinea dal canto suo Papa Benedetto XVI, s’avverte l’urgenza «della formazione evangelica d’una nuova generazione di cattolici impegnati in politica che siano coerenti con la fede professata, che abbiano rigore morale, capacità di giudizio culturale, competenza professionale e passione di servizio per il bene comune». Chiaro l’invito: occorre ritornare al Vangelo, la migliore scuola di laicità possibile per l’umanità, perché nessuno più e meglio di Gesù ha insegnato agli esseri umani l’arte di vivere esprimendo con i fatti l’amore e scegliendo di stare dalla parte della gente, soprattutto dei più deboli e di chi, per svariati motivi, è rimasto indietro.

7. Ai cristiani, non solo quelli impegnati negli agoni politico e amministrativo, il compito di trasformare in realtà, in risposte concrete per la gente con l’esempio e con l’azione ciò che spesso resta confinato nel limbo di una mera aspirazione. Rosario Livatino, giovane magistrato assassinato dalla mafia, annotava nel suo diario: «Alla fine della vita non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili». È il Vangelo: non basta invocarlo, ma bisogna rimboccarsi le maniche per fare ciascuno la propria parte perché, come ricordava don Pino Puglisi, «se ognuno fa qualcosa, insieme si può fare molto». Il Giubileo trasmette un messaggio che deve essere concretizzato “facendo misericordia”, attuando cioè le quattordici opere di misericordia (corporale e spirituale). Probabilmente, molti di quanti passeranno per le porte sante aperte nelle chiese non arriveranno neppure a pensare che potrebbero aprire o tenere aperta la porta del proprio cuore per un atto di fede-fiducia nei confronti di altri in ragione del valore della fraternità, per il quale pochi oggi combattono, ma senza il quale anche la libertà e l’uguaglianza diventano valori fragili, difficilmente realizzabili. In una scena del dramma di Silone “Ed egli si nascose”, Pietro Spina, perseguitato dai fascisti e rientrato clandestinamente in Abruzzo, cerca di animare i suoi compagni (i “cafoni”) a battersi per la giustizia e la libertà: «Nel nostro paese questa è ora una verità proibita: l’ordine che ci è imposto si basa sul disprezzo dell’uomo. Ma l’uomo mutilato della sua fraternità è un albero senza radici e senza rami, una pianta sterile. Un popolo di uomini diffidenti, umiliati, disprezzati una palude in putrefazione. Per non morire bisogna riscoprire la fraternità». Donato, uno degli astanti, gli risponde: «In quei tempi strani anch’io come gli altri, sognavo ad occhi aperti. Cantavo e sognavo impiegati non ladri, preti credenti veramente in Dio. Per questi sogni sacrileghi i padroni ci fecero bastonare e purgare con olio di ricino».

8. Giustizia, misericordia e fraternità: sono queste, allora, le tre parole, umane e cristiane, che vi consegno in questo speciale momento giubilare. Parole da ripetere e realizzare in questo nostro contesto che, oggi, mi appare carente di grandi ideali, e perciò – forse perché condizionato da esigenze primarie – troppo ancorato a mete e orizzonti che poco spazio lasciano alla compassione e alla misericordia, perpetuando le disuguaglianze o, a volerle chiamare come Papa Francesco, “inequità”. La cultura nella quale viviamo, pur essendo cresciuta negli ideali di liberté, égalité, fraternité, conserva nelle nascoste pieghe della sua identità, continue suggestioni e tentazioni di egemonia, d’ingiustizia, di assolutismo, di dittatura, di sopraffazione del più debole, di chiusura al diverso e allo straniero, di occupazione del potere, di interesse privato, di collusione con forze talvolta oscure, che perseguono altri interessi che il bene comune e la valorizzazione di ciò che è pulito e bello, anche paesaggisticamente. Sono, questi, tutti veri e propri cancri di una struttura mentale, ormai sedotta da troppo tempo dal fascino dell’omologazione e, perciò, dall’incapacità di comprendere il valore della diversità, dello stare accanto all’altro, della solidarietà col più debole, del rispetto della dignità della persona, della valorizzazione delle risorse umane, ambientali, culturali e turistiche.

9. Come essere pienamente al servizio di chi ha fame di lavoro e di beni, ha sete di giustizia e legalità, è privo dei minimi essenziali per sopravvivere, è straniero, è profugo, è disagiato, è in attesa di servizi e di cultura, di sport e di salute? Quali diritti riconoscere a tutti costoro indipendentemente dalle differenze di età, etnia, sesso e condizione sociale? E come sostenere tali diritti attraverso le forme che la democrazia rende disponibili? Tutti riconosciamo lo stretto rapporto tra bene comune sociale e bene comune politico. Mi permetto di aggiungere che lo stesso valore universale dell’essere-in-relazione è un bene fondamentale, cui deve mirare una società che voglia dirsi civile, solidale e misericordiosa. La pratica dell’essere-in-relazione, infatti, è produttiva di beni, in specie relazionali, indispensabili per l’identità dei soggetti. Ogni vostra azione politica e amministrativa deve poter conciliare giustizia, verità, solidarietà e soprattutto misericordia, se consideriamo che questa virtù viene ostacolata da alcuni in quanto minaccia per gli interessi ed il benessere dei cittadini, oppure contraria alle leggi del mercato. Intendendo politica e amministrazione con il linguaggio giubilare della misericordia, le vedremo diventare giuste e secondo giustizia, da voi animate, cioè con il diritto, la legalità, la giustizia, la gratuità, l’amore.

10. Pur avendo subito catastrofi naturali e radicali trasformazioni urbanistiche, la nostra Catanzaro trova testimonianza della sua storia in un ricco patrimonio artistico civile e religioso, che un po’ alla volta comincia a essere adeguatamente apprezzato per il suo valore.
La centralità geografica rispetto alla Calabria è un punto di forza della città, sia pure con non lievi difficoltà di accesso, cui si sta in qualche modo provvedendo.
Catanzaro è dotata di notevoli strutture: Università Magna Graecia; Istituto Scienze Religiose Pio X; Istituti scolastici superiori; Biblioteca comunale; Associazioni culturali; Teatro Politeama e altri teatri e cinematografi; Musei; Parchi; Stadio; Uffici statali, civili e militari; Uffici regionali e Provinciali; Ospedale regionale; zona balneare estiva; vicinanza alla Sila…La collocazione in pianura dell’Università e della sede regionale pone alla città problemi di collegamenti, ma è anche una grande occasione per ripensare alla funzione del centro storico. Non mancano, in questo, luoghi e situazioni d’inquietudine o degrado, che coinvolgono anche i giovani, come mostrato da alcuni gravi episodi. Occorrono nuovi spazi morali e fisici di aggregazione e socialità e spirito comunitario. È il momento, per Catanzaro, di riguadagnare la sua natura di propulsione spirituale e culturale al servizio della Calabria, di cui è capoluogo, al fine di non ridurre tale dignità a mero rapporto burocratico e politico. Le potenziali risorse morali della città sono tali da consentirle tale compito, ma occorre saperle riscoprire ed esaltare nel senso di una vivace e attiva comunità. La Chiesa catanzarese si dichiara disponibile con tutte le sue energie spirituali e culturali e con tutte le sue strutture.
Quanto a Squillace, l’antica colonia ateniese, essa appare come la “bella addormentata” della celebre fiaba. Ricca di storia e di bellezza, come pure di tradizioni ed edifici, essa appare come in letargo sotto il profilo economico, ormai l’agricoltura è marginale, non vi sono industrie e l’unica attività è quella terziaria. Il ceto prevalente è impiegatizio. Turismo: poco e stagionale. L’Arcidiocesi è impegnata, in quanto è possibile, a rivitalizzare -e non solo sotto il profilo religioso. Ma da sola non può farcela.
11. Alla luce delle tante emergenze presenti, dei fenomeni di immigrazione, della inadeguatezza di servizi primari, dell’insufficienza di offerte di lavoro e dell’aumento delle situazioni di povertà e marginalità, non possiamo non chiedervi un impegno operoso per garantire una sostenibilità piena del nostro sistema sociale, dando risposte in termini di protezione sociale ai più deboli e aiutando gli stranieri a trovare vie percorribili perché non vengano respinti dalle nostre comunità. Non possiamo chiudere gli occhi sul degrado umano procurato dal business della droga, dalla delinquenza minorile, dai tanti fenomeni di malcostume e delinquenza organizzata; e neppure possiamo ammettere che i processi di crescente disuguaglianza tra cittadini, o gruppi o categorie, finiscano col favorire sempre chi è in grado di organizzare meglio la domanda, trasformando così la politica in commessa degli interessi dei più forti. E se, da un verso, siamo invitati a guardare alla comunità nel suo insieme, dall’altro assistiamo sempre più ad una separazione fra sfera pubblica e sfera privata, come dicevo nell’incipit. In questo quadro è decisiva una politica attenta alla famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna e alla genitorialità. Tale sostegno si esprime prima di tutto nel riconoscimento della soggettività giuridica di ogni essere umano, dal concepimento al suo termine naturale e poi si attiva con una politica sanitaria capace di garantire interventi fondamentali, quali il diritto alla salute-benessere e il sostegno alle famiglie con persone disabili o anziani non autosufficienti; favorendo una maggiore tutela della maternità nel mondo del lavoro, una forte politica per la casa, adeguate misure fiscali e la valorizzazione delle risorse di cui la nostra terra già dispone, ad esempio l’agricoltura ed il turismo; ricercando, ed infine trovando le risorse per finanziare, le politiche sociali dei Comuni; considerando i modelli da imitare gli esempi di concreta solidarietà che già operano nelle nostre realtà, tra i quali per tutti ricordo l’Oasi di Misericordia. Progettare il futuro significa promuovere inclusione sociale e integrazione culturale: che il lavoro sia davvero un diritto costituzionale, con al centro la dignità dell’essere umano, ma anche la responsabilità di chi lavora e il rapporto tra lavoro e sviluppo. Una dignità è calpestata se - come ci ricorda Papa Francesco - di lavoro ancora si muore e se di lavoro non sempre si riesce a vivere; una dignità è calpestata se il lavoro non offre prospettive di sicurezza, legalità, crescita personale e professionale.

12. Siete allora chiamati, carissimi, ad essere integralmente misericordiosi, cioè dediti al servizio della comunità che vi ha espresso! Una chiamata, una vocazione forte, tipica del cristianesimo, che vi chiedo di riconoscere e diffondere col vostro stile di vita. Scrisse Michel Novak nell’ambito delle attività di una Commissione pontificia per il Giubileo del terzo millennio: “È vero che virtualmente tutti i popoli si preoccupano di coloro che sono nel bisogno. Tuttavia, nella maggior parte delle tradizioni religiose, questi movimenti del cuore sono limitati a qualcuno della propria famiglia, stirpe o nazione. In principio (sebbene non sempre nella pratica) il Cristianesimo contrastò queste limitazioni, incoraggiando l'impulso di protendersi verso gli altri, in particolare verso il più vulnerabile, verso il povero, l'affamato, lo sventurato, verso coloro che sono in prigione, disperati, malati, e tutti quelli che soffrono. Insegnò agli uomini ad amare i propri nemici”. Aldo Moro disse: “Se fosse possibile dire saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a domani, credo che tutti accetteremmo di farlo. Ma non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte le sue difficoltà”. È vero: viviamo esaltanti tempi di sfide, non di certo per lasciarci guidare dall’irresponsabilità. Non possiamo ridurci ad essere dei consumatori o degli spettatori della storia. Abbiamo davanti un mare aperto: la propria famiglia, il campo di lavoro e della comunicazione, le attività sociali e politiche. Lo so, è difficile parlare di bene comune, ma dobbiamo anche superare quella malcelata tentazione di non parlarne per paura di dividerci. Ricordo le parole di Paolo VI: “La politica è una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri”. E quella di Adorno per il quale l’arte della politica dovesse essere “liberata dalla menzogna di essere verità”. Oggi più che mai, come credenti, come persone di buona volontà, dobbiamo accettare questo rischio, anche sottoponendoci alla lacerazione di scelte difficili, alla fatica di decisioni non da tutti comprese, allo stillicidio di contraddizioni e conflittualità sistematiche, al margine sempre più largo dell’errore costantemente in agguato. Nella Sollicitudo rei socialis, Giovanni Paolo II, ci ricorda che “tutti siamo responsabili di tutti”, a costo dell’impopolarità. È un’impresa difficile, non c’è dubbio, non solo perché richiede la coscienza dell’autonomia della politica da ogni ipoteca confessionale e il riconoscimento della sua laicità, ma anche perché deve vincere la tentazione, sempre in agguato, dell’integralismo: diversamente si ridurrebbe il messaggio cristiano solo ad un’ideologia sociale. Bisogna persuadersi che, essendo partecipi della vita sociale, siamo tutti responsabili delle iniquità di cui essa è intessuta; e che di questa responsabilità saremo liberati quando, dopo aver preso coscienza di tali iniquità e sentendo la responsabilità di tanta povertà e causa delle sofferenze di tanti esseri umani, ci adopreremo per eliminarle con un’opera di riforma e di miglioramento delle strutture giuridiche, finanziarie, economiche e politiche che poi sono il tessuto profondo della relazione sociale.

13. Sono sfide quelle di oggi di fronte alle quali il cristiano non può restare indifferente, ma deve avere il coraggio di gridare “a me interessa”, e interessa tutto ciò che sa di sapore umano. Perché si chiede questo al cristiano? Perché il cristiano è, in virtù del suo Battesimo, un profeta, dunque la sua visione e percezione del mondo e della realtà è come quella dell’aquila: vede lontano e in profondità. Vedere lontano significa avere speranza e leggere in profondità significa cogliere ciò che l’apparenza nasconde.

14. Grazie alle norme sulle quote rosa e ad una sensibilizzazione dei cittadini-elettori, in mezzo a voi c’è ormai un bel drappello di donne impegnate per il bene comune delle nostre città e comunità. Dalle donne in politica l’Anno giubilare straordinario si attende molto. La richiesta pubblica di perdono, pronunciata per ben sette volte nell’anno giubilare del Duemila, portò la Chiesa cattolica a confessare pubblicamente «sette categorie di peccati: i peccati in generale, le colpe nel servizio della verità, i peccati che hanno compromesso l’unità del Corpo di Cristo, le colpe nei rapporti con Israele, i comportamenti contro l’amore, la pace, i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle religioni, i peccati che hanno ferito la dignità della donna e l’unità del genere umano, e i peccati nel campo dei diritti fondamentali». In questo clima giubilare non possiamo dimenticare che uno dei significati del termine biblico che usiamo, evoca letteralmente la visceralità di una donna, l’unica il cui corpo appare conformato per portare nel proprio grembo il cucciolo d’uomo. In questo senso, “avere misericordia”, se riferito a Dio, indica esprimere la carnalità dell’amore di una madre nei confronti del frutto del proprio ventre: “Benedetto il frutto del tuo grembo!” (cf Lc 1,42). Il Cristo misericordioso consente di pensare la persona umana, in termini davvero nuovi, non soltanto in astratto, ma in concreto. Come pure l’uguaglianza tra le persone umane, con particolare attenzione a quelle situazioni in cui, più che altrove, si consumano ancora dei gesti disumani offensivi della dignità. In un’umanità rinnovata dalla misericordia non si può che riconoscere, il genio femminile. Puntuali le parole di Papa Francesco: “Nell’arco di questi ultimi decenni, accanto ad altre trasformazioni culturali e sociali, anche l’identità e il ruolo della donna, nella famiglia, nella società e nella Chiesa, hanno conosciuto mutamenti notevoli, e in genere la partecipazione e la responsabilità delle donne è andata crescendo… è nel dialogo con Dio, illuminato dalla sua Parola, irrigato dalla grazia dei Sacramenti, che la donna cristiana cerca sempre nuovamente di rispondere alla chiamata del Signore, nel concreto della sua condizione. Una preghiera, questa, sempre sostenuta dalla presenza materna di Maria. Lei, che ha custodito il suo Figlio divino, che ha propiziato il suo primo miracolo alle nozze di Cana, che era presente sul Calvario ed alla Pentecoste, vi indichi la strada da percorrere per approfondire il significato e il ruolo della donna nella società e per essere pienamente fedeli al Signore Gesù Cristo e alla vostra missione nel mondo”.

15. Cari politici e amministratori o, come preferisco chiamarvi, “cari servitori del bene comune”, nel chiudere questa lettera vi auguro di essere «sempre stanchi!». Si, mi piace congedarmi da voi con le parole che il Santo Padre ha rivolto agli amministratori di tutta Italia, da lui definiti spesso l'ultimo baluardo per le difficoltà e i bisogni quotidiani della comunità che governate e rappresentate. L’essere stanchi diventi, allora, il buon segnale, che state lavorando bene per i vostri concittadini! Là dove vi è anche un solo uomo che soffre di meno, la città è più bella! Ripartiamo dalla politica, dunque, per amare la nostra polis! Vi auguro - e mi auguro – con don Tonino Bello, “che nelle vostre mani i dispositivi di legge si umanizzino, le rigide norme istituzionali si scaldino di passione, e i gelidi rigori del sabato si sciolgano sotto il fiato di un volto che soffre. Benedite le vostre città. Tracciate su di esse un segno di croce prima di addormentarvi la notte. Per chi crede sia un’impetrazione di grazie; per chi non crede sarà una carezza dolcissima”. Iddio Padre vi conceda la grazia della conversione del cuore e la mozione dello Spirito Santo dia fantasia e coraggio alle vostre scelte politiche e amministrative. Vi abbraccio e vi benedico uno ad uno.


Vincenzo Bertolone