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Sconnessi, il regista Christian Marazziti: "l'era digitale in una commedia corale e sincera"
Sconnessi di Christian Marazziti arriva nelle sale cinematografiche per raccontare una storia e insieme, se vogliamo, un spaccato di Storia: attraverso le vicende di una famiglia che si ritrova isolata in uno chalet di montagna - e per isolata, oggi s'intende "senza connessione Internet" - la commedia diverte con garbo ed affronta le conseguenze, talora paradossali, della cosiddetta rivoluzione digitale, tra gli indubbi tratti caratterizzanti del nostro tempo. Di qui siamo partiti per discuterne col regista.
ANTONIO MAIORINO: in sede di presentazione di Sconnessi, hai parlato di “effetti devastanti della rivoluzione digitale”. Quali sono questi effetti e come li inquadri nel tuo film?
CHRISTIAN MARAZZITI: effetti devastanti perché i ragazzi di oggi sono totalmente lobotomizzati, vivono in queste chat-base nel loro mondo protetto, sicuro, trincerandosi dietro un avatar. Quando sono vittime di nomofobia – la paura di rimanere sconnessi – ed escono da questo mondo, hanno una difficoltà incredibile a relazionarsi, fanno fatica a comunicare, ad interagire, a guardarsi negli occhi. È quello che capita a due dei protagonisti del film, Lorenzo Zurzolo e Benedetta Porcaroli, due adolescenti dipendenti dai social. Solo dopo un po’ riescono a parlare e comunicare, ma oggi come oggi le generazioni alle prese con lo smartphone nell’era tecnologica trovano difficoltà nell’interazione. I giovani d’oggi non hanno nemmeno più quella difficoltà che una volta potevo avere io, preso dall’imbarazzo, nel corteggiare. Ormai è tutto digital, anche gli incontri sono digital. Per farti un esempio, lo stesso Lorenzo mi ha detto qualche giorno fa: “Non è che io corteggio le ragazze, io da un like tattico capisco se posso interessare o meno ad una ragazza”. Un like tattico?! Io vengo dal giurassico, gli ho chiesto cosa fosse. Praticamente i ragazzi oggi mettono un mi piace a delle foto recenti di una ragazza, ma se lo mettono ad una foto del passato, danno ad intendere che già da un po’ la seguono, quindi è considerato un like tattico. Ormai i giovani non comunicano più!
Tema diffuso, ma tu ci tieni a rivendicare un “plot innovativo”. Perché?
Perché ero curioso di veder la reazione di una famiglia allargata – e non di un gruppo qualsiasi di persone – in un posto isolato, in questo caso uno chalet di montagna, e vedere i personaggi costretti a confrontarsi. Nel momento in cui via la connessione, i nostri personaggi sono costretti a mettersi a nudo: questo m’interessava. Devono mettersi in discussione e far uscire fragilità, debolezze e quant’altro. La famiglia nel film è suddivisa con Fabrizio Bentivoglio, intellettuale e scrittore radical chic, Eugenio Franceschini giocatore di poker online e Zurzolo liceale nerd introverso; poi c’è la fidanzata di Franceschini (Giulia Elettra Gorietti) che ha una doppia personalità perché dice di non amare internet ma gestisce un blog segreto con cui fa business. Dall’altra parte c’è la Crescentini, dipendente compulsiva dallo shopping, il fratello dipendente dalle macchine (Ricky Memphis), appena cacciato di casa, il terzo fratello (Stefano Fresi) cacciato da una casa di cura e sofferente di bipolarismo. [MORE]
Era stimolante vedere il confronto generazionale nel momento in cui non esiste più la distinzione radical\naif: sono tutti in estrema difficoltà, il problema è quello della sopravvivenza, le situazioni diventano rocambolesche. Il bipolare va fuori di testa, la Crescentini sta per partorire, Bentivoglio cerca di dimostrare che la Rete ci manipola e, senza anticipare troppo, basti sapere che s’inventa degli stratagemmi… Il confronto tra padre e figlio è comunque quello che m’interessava di più, e d’altronde il protagonista decide di andare in montagna proprio per ritrovare lo spirito familiare. Il problema è che genitori e figli non si parlano più, finiranno per parlarsi dentro casa attraverso le chat. Normale che nel momento in cui i personaggi devono sopravvivere, si riesce a creare una sinergia, anche passando per discussioni, com’è nella vita normale. Volevo metterli in difficoltà.
Da come lo presenti e si presenta, Sconnessi è dunque, quasi inevitabilmente, un film “corale”. Questo tratto di coralità è stato seguito in maniera integrale fino in fondo, o tutto sommato c’è qualche capobanda nascosto, un personaggio che faccia da equilibratore o aggregante?
La mia intenzione a livello di scrittura registica era quella di raccontare ognuno con la propria dipendenza e rispettare ogni personaggio, ma creando una omogeneità già durante la scrittura, le prove in teatro e poi le riprese sul set. Volevo che tutti fossero omogenei ed accordati perché è facile scivolare nella macchietta, mentre io volevo personaggi credibili, veri e sinceri, sia pure con i propri segreti. L’eroe del film, comunque, per certi versi è l’acerrimo nemico della Rete, Bentivoglio, ma il film è molto corale. Lui è un po’ il manipolatore della situazione… ma ancora una volta, non farmi svelare in che senso. Il film è una commedia che fa ridere ed emozionare, ma non è scontata: ci tenevo a non essere banale, ho tentato di scardinare ogni personaggio sempre mantenendo una coralità.
Un regista non è solo colui che amalgama gli ingredienti, ma anche che sa quali escluderne. Cosa volevi che non fosse il tuo film, cosa hai cercato di scansare ed evitare nella realizzazione di Sconnessi?
Quando si parla di commedie, non amo markette, macchiette e volgarità gratuita. Ci tengo che tutto dall’inizio alla fine sia credibile e che la gente si possa rispecchiare. Non amo la falsità, non amo la risata forzata, tutto deve avvenire con spontaneità. Nemmeno amo il pianto gratuito: se c’è un apice di commozione deve arrivare al momento giusto della struttura del film. L’apice emozionale di Sconnessi è riuscito molto bene perché c’è un anno di scrittura alle spalle. Il personaggio di Antonia Liskova, Olga, è su una linea estremamente sottile, quella della credibilità: andando oltre, diventa una macchietta, ma se succede con uno, poi capita per tutti. Un altro esempio: nel film c’è la neve, ma abbiamo girato a maggio. Io ho ricostruito la neve frame dopo frame, e non era facile: non abbiamo le potenzialità degli Americani sugli effetti speciali. Cinque mesi di postproduzione solo per la neve ed i fiocchi intorno! Ma è come quando vedi un horror: se vedi un mostro in cui non credi, ti crolla tutto il film. Se c’è una cosa non credibile, è tutta la poesia, la magia, la qualità del film a svanire.
Finora abbiamo parlato di un’ispirazione “sociologica” del film, cioè del tema della rivoluzione digitale. Tanto è vero, tra l’altro, che alla sceneggiatura con Michela Andreozzi e Max Vado hai cominciato a lavorare traendo spunto da una vignetta che ti aveva colpito. Ma c’è anche una ispirazione cinematografica? Si potrebbe pensare ad un filone recente che annovera film come Beata ignoranza o…
Aspetta, già so dove vuoi andare a parare. Ti dico subito: sono amico di Paolo Genovese. Questo soggetto lo scrissi prima di Perfetti sconosciuti a partire dalla vignetta che citavi. Era ottobre, andai alle giornate professionali del cinema di Sorrento e vidi gli spezzoni del film di Paolo. Lo chiamai e gli spiegai l’idea pazzesca che avevo trovato e che trovavo essere l’opposto di quanto avevo appena visto del suo film: per lui, la dinamica dei rapporti umani con la connessione, per me la stessa dinamica ma con la sconnessione. Intendiamoci, è un pour parler: Paolo è mio mentore e fonte d’ispirazione, ho una grande stima verso di lui, uno dei più grandi registi che abbiamo al momento in Italia. La vignetta che mi aveva ispirato, piuttosto, diceva: “sono rimasto per qualche ora senza internet a casa. Ho conosciuto delle persone stupende: dicono di essere la mia famiglia”. Questa cosa mi ha fatto morire dal ridere e mi ha fatto pensare “ma dove siamo finiti?”. A quel punto sono andato a casa ed ho buttato giù un’idea. Dopo tre settimane mi mancava però ancora il titolo ed ho rammentato un fatto successo al mio compleanno. Tutti mi avevano fatto gli auguri e sentivo la mia energia positiva al settimo cielo. Mentre rispondevo, mi si era bloccato il telefonino. Non potendo rispondere, ero entrato nel panico. Per tre giorni ho dovuto usare solo il telefono. Ero vittima di nomofobia, la paura di essere sconnessi. Ripensando a questo “dramma”, ho pensato di chiamare Sconnessi il film.
Ti avranno chiesto della tua “social-ità” (il tuo rapporto coi social), ed io personalmente già ti ho interpellato sul tema della rivoluzione digitale. Ma sul rapporto tra cinema e nuove tecnologie c’è ancora da dire. Con le nuove modalità di fruizione del prodotto filmico, esiste secondo te una sconnessione dello spettatore dalla sala?
Sarebbe un peccato di Dio se lo spettatore si sconnettesse dalla sala. Io sono cresciuto col grande cinema. Le serie tv hanno un po’ fuorviato e portato via dalla sala. Vengono realizzati prodotti di altissima qualità, grande scrittura, grandi effetti speciali grandi attori… allora perché andare al cinema? Dal telefonino e dallo smartphone puoi vedere Netflix o qualsiasi cosa… di nuovo: perché andare al cinema? Ci stiamo allontanando dalla grande sala. Personalmente le emozioni del cinema non me le darà mai il telefonino, ma effettivamente le giovani generazioni si stanno un po’ allontanando. Spero ci sia un ritorno perché i prodotti ci sono, la qualità c’è. La magia del cinema non sarà mai surclassata. È un viaggio che ti fa sconnettere veramente, quando ci vado infatti stacco per due ore il telefonino e faccio i miei viaggi interplanetari. Il rischio, però, c’è, e bisogna metterlo in conto.
Provando a ragionare sul futuro della commedia italiana, un film come Sconnessi non sarebbe stato pensabile 30 anni fa, per l'ovvia ragione dell'assenza di questo tratto storico: la rivoluzione digitale. Alla commedia italiana, secondo te, per sapersi rinnovare basterà fare questo - aggiornarsi sui contenuti - oppure dovranno cambiare forme e linguaggi?
La commedia italiana ha successo nel momento in cui racconta la quotidianità. Bisogna avere quello spirito di osservazione per raccontare in maniera divertente e riflessiva quello che sta accadendo in un momento storico. Oggi si parla di cyberbullismo, nomofobia, internet addiction, ed io stesso ho sofferto della paura della sconnessione. Lo tocchi con mano, lo vivi, i tuoi amici sono supertecnologici, la gente non si parla più. Bisogna avere quello spirito di osservazione che consente di far risaltare pregi e difetti della società. È normale che trent’anni fa non lo si potesse fare; oggi lo puoi fare, mentre domani magari avrai i robot in casa che ti faranno la colazione e racconteremo il rapporto tra uomo e macchine come mai è stato fatto. Se vuoi far ridere devi mantenere questo spirito di osservazione ma in maniera goliardica e raccontare quello che ci circonda. Così film come Il sorpasso o La grande guerra, ma ancora di più Carlo Verdone, che dopo Alberto Sordi è riuscito ad avere uno spirito di questo tipo e si è messo in gioco ogni volta in base a quello che vive realmente. I suoi sono personaggi reali in cui potersi immedesimare. Similmente, io ho voluto fare in modo che il mio pubblico si immedesimasse in questi personaggi di tutti i giorni.
USCITA: 22 febbraio 2018
GENERE: Commedia
REGIA: Christian Marazziti
CAST: Fabrizio Bentivoglio, Ricky Memphis, Carolina Crescentini, Stefano Fresi, Eugenio Franceschini, Antonia Liskova, Benedetta Porcaroli, Giulia Elettra Gorietti, Maurizio Mattioli, Lorenzo Zurzolo, Daniela Poggi
PAESE: Italia
DURATA: 90 Min
DISTRIBUZIONE: Vision Distribution
(FOTO: in alto e all'interno, dettagli di fotogrammi del film Sconnessi. Si ringrazia lo studio Manzo & Piccirillo)
Antonio Maiorino