Cultura e Spettacolo
Sanremo tecnico. Anche al Festival è tempo di crisi
SANREMO, 15 Febbraio 2012 - “Sanremo. Un programma di Federico Moccia”,
compare all'improvviso sullo schermo come quei cartelli che mettono in guardia i viaggiatori su un imminente pericolo.
Così, più o meno consapevoli, ci prepariamo a quell'avventura tutta italiana che è Sanremo. Un viaggio che assomiglia più ad una discesa negli Inferi e il fatto che il nostro Caronte sia Gianni Morandi, non rende le cose più semplici.[MORE]
Smessa la giacca fluorescente dell'anno scorso, di esagerato gli restano soltanto le mani e l'immotivato ottimismo, reso meglio tollerabile dal più sobrio Papaleo che, al vecchio “Stiamo uniti”, sostituisce un montiano “Stiamo tecnici”.
E, a ben guardare, mai scelta fu più appropriata. Quello che scorre sotto i nostri occhi annoiati già dopo venti minuti di trasmissione, è un Festival decisamente tecnico: senza fiori, senza Ivana, senza belle canzoni, senza senso.
La partenza è affidata alla bella e brava Nina Zilli, a cui succede l'esibizione di Arisa che, abbandonati gli abiti eccentrici e le montature da cartone animato giapponese, sembra quasi una persona normale. La canzone scorre via senza eccessivi drammi, ma di certo non lascia il segno.
A distruggere impietosamente il livello di sobrietà stranamente raggiunto in questi primi momenti di trasmissione ci pensa la coppia più geniale del Festival, quella formata da Loredana Bertè e Gigi D'Alessio. È stato detto di tutto sulla povera Lori: che assomiglia a Gene Simmons, a Richard Benson, un po' a Pino Scotto. Ma perché non soffermarsi su quello sforzo immane di cantautorato che è il ritornello? “Re-re-re-spirare”, “Ci sei ma non ci sei” appartengono già alla memoria storica di questa edizione.
Se c'è una cosa che riesce benissimo al Festival è distruggere in pochi secondi i propri miti musicali d'infanzia, mi dico, mentre alla coppia Lori/Giggino ne segue un'altra sui generis: quella formata da Lucio Dalla e Pierdavide Carone. Questo tizio, che si sappia!, oltre a fatto di essere venuto alla ribalta grazie a quel genio del male che è Maria De Filippi, è lo stesso che ha firmato il pezzo sanremese che fu di Valerio Scanu, altro ectoplasma generato da “Amici”. “A far l'amore in tutti i modi, in tutti i luoghi, in tutti i laghi”, ve lo ricordate?
Ecco, non c'è nient'altro da aggiungere.
Peccato, perché Nanì non sarebbe stata così male cantata solo da Lucio.
Sostengo da anni che, in assoluto, il momento più brutto di Sanremo si raggiunge durante l'esibizione dei “giovani”. Ottantenni intrappolati in corpi mai cresciuti che pontificano sul senso della musica, dispensano consigli e pillole di saggezza, patetici come solo un Bacio perugina regalato a San Valentino sa essere.
Così, ecco un quindicenne che presenta un pezzo “scritto dai fratelli Bassi” (?), in perfetto stile Sanremese, cioè insulso; e poi Giordana che, a Morandi che le chiede come nascono i suoi pezzi, risponde “Dal nulla”. Non credo serva dire altro.
I Matia Bazar rappresentano il perfetto mostro sanremese. Figura mitologica soggetta nel tempo a molteplici variazioni e trasformazioni, si evolve in stadi fino a diventare una massa inorganica mummificata.
Viene conservata in sarcofaghi che vengono aperti eccezionalmente una volta all'anno, cioè durante il Festival di Sanremo. Ecco perché sono ancora lì e quasi rimpiangiamo Albano.
La Canalis rovina quello che potrebbe essere l'unico momento bello del Festival, quando presenta Finardi come “Ugenio”, perdendo la “E”, il senso del suo stare di nuovo su quel palco e tante altre cose. Insopportabile (C)Analis.
Di nuovo il momento giovani, così ne approfitto per stendere il bucato, preferendo di gran lunga le temperature polari a testi del calibro di “Carlo, Carlo, vorrei ti chiamassi Carlo, ho sempre pensato che fosse un bel nome,
ma adesso io cambio opinione” di una tale Celeste Gaia.
Poi appare come una visione divina, dopo tante preghiere e invocazioni, la sfigatissima Ivanka Mrazova, colpita da una cervicalgia (termine medico che maschera quello che nel gergo volgare è definito come “seccia”) che le ha impedito di partecipare alla prima serata del Festival.
In due secondi dimostra di parlare meglio della Canalis e di Belen messe insieme, così le rivali meditano subito vendetta.
Ci pensa Belen che si cimenta in quello che le riesce meglio: aprire le gambe o i vestiti, a seconda dell'occasione. Stasera opta per la seconda e allora sù lo spacco: s'intravede una farfalla (il tatuaggio), ma non gli slip ed è subito tormentone sui social network. La foto dello spacco incriminato rimbalza prima su Twitter, poi su Facebook, fino a ritornare all'Ariston, al punto che Belen si sente obbligata a rassicurarci sul fatto che portasse le mutande, “cucite al vestito”.
Scandalizzarsi per questa scena (già vista), è inutile quanto chiedersi perché la Carfagna sia diventata ministro.
Dopo quello della fede, c'è solo un altro Mistero così grande: il successo de I Soliti Idioti. Prego chiunque l'abbia capito di scrivermi e illuminarmi. Mi risparmiereste altre interminabili notti insonni.
I Marlene Kuntz sul palco di Sanremo sono l'ennesimo attentato al mio immaginario musicale, in cui fino a ieri il loro nome era esclusivamente associato ad album quali “Catartica”, “Il Vile”, “Che cosa vedi”. Quello che vedo sullo schermo, invece, è solo un insieme di vecchietti stanchi che Morandi definisce “l'unico gruppo rock italiano”.
Se i Marlene, ora come ora, sono rock, mia nonna è la reincarnazione di Janis Joplin.
Poi arriva Irene Fornaciari che scambia l'Ariston per un palco di un festival hippie, e si sbatte fastidiosamente neanche si trovasse davanti ad una platea di vivi.
Bersani è simpatico, mai al di sopra delle righe, sempre composto e professionale. Gli si vuol bene a prescindere.
Di nuovo i giovani, con Erica Mou che riscatta quanto di brutto è stato visto fino ad ora.
Di Renga apprezziamo il fatto che il pezzo gliel'abbia scritto il bravo Diego Mancino e di Dolcenera il fatto che sia l'ultima esibizione. Questo vuol dire che, dopo quattro ore di puro nulla, questa puntata si avvicina alla fine.
Quattro estenuanti ore (ricordiamo per dovere di cronaca che i Grammy durano molto meno) per apprendere che Lori/Giggino, Marlene, la creatura di “Amici” e Irene Fornaciari sono stati eliminati dalla gara.
In fondo un po' ci dispiace per la coppia Berté/D'Alessio, ma confidiamo nel pubblico neomelodico che sicuramente riscatterà Gigi in fase di ripescaggio.
Siamo sopravvissuti anche a questa serata. Un calvario a cui, forse masochisticamente, nessuno sa rinunciare, poi alla fine.
Diffidate da chi non segue il Festival. Chi non guarda Sanremo ha qualcosa da nascondere.
Lidia Tagnesi