Cultura e Spettacolo

Sanremo 2016, parte seconda: Clementino la meglio gioventù. Elio, ecco a voi l'Arte

 “[...]ma è da rilevare quanto l’impatto con la gioventù canora della prima serata all’Ariston, è quantomeno glaciale ed avaro[...]”. Le ultime parole famose di chi vi scrive. Come volevasi dimostrare, smentite. Almeno in parte. La vorace ricerca di nuove leve nostrane, all’altezza degli autori che hanno fatto la storia della musica italiana, è di difficile appagamento ma, nella seconda serata sanremese, una stella ha brillato. Chi dice che la tradizione italica della musica impegnata non possa conciliare con le vie moderne, può esser considerato battuto (il redattore che vi scrive, in primis). Lo stesso, però, potrebbe rispondere che, vista l’eccezionalità dell’accaduto, forse ha ragione sulla regola. Chiedo lumi agli eminenti critici.

Tant’è che ieri, un testo profondamente impegnato è stato cantato sul palco dell’Ariston: Clementino s’è fatto carico di attirare l’attenzione della platea su un racconto d’emigrazione. Ancor oggi, piaga di cui è vittima la zona più depressa della nostra penisola. Che si svuota delle eccellenze umane seppur ne avrebbe fortemente bisogno, costretta a cedere i suoi figli perché incapace di dar loro un’opportunità, un senso compiuto. Valigia piena di sogni e via, portando con sé tutto. Eccetto il cuore. Banalità, luoghi retorici? No, è emigrazione forzata. È un dramma. Sono famiglie spezzate. È vedere la propria terra spegnersi lentamente. È dolore. Il testo, profondo e commovente, è scritto da una mano eccelsa. Arrangiamento semplice, per giungere diretta all’ascoltatore. La musica orecchiabile, gradevole, dà il tono giusto della drammaticità del percorso narrato, ma non è malinconica, perché chi guarda indietro alla terra natìa, a cuor pesante, non vuol certo nascondere la fierezza d’esser terrone. Perché noi siamo Vivi, ancora. Il tutto sullo sfondo di musicalità rap inusuali per l'Ariston. E le strofe in napoletano, sebbene potranno far storcere il naso a qualcuno, specie dal Po in su, mettono l’accento sul senso dell’appartenenza. L’interpretazione è appassionata, forse un po' col freno a mano tirato (Rocco Hunt ha mostrato approccio opposto, irriverente): Clementino s’è presentato con un brano antitetico alla logica sanremese. Ad una platea che non è certo il suo approdo tipico. Lontano da ogni cliché rivierasco, è riuscito a non mostrare superficialità, difetto che i critici additano ai rapper, troppo spesso. 

Io che sto qui a guardare il mondo da più sfumature\ lontano da mamma e papà dove sono le cure?\
Circondato dal disordine, scappato come rondine \ se guardo il mare fra’ mi sento un vortice.\
E quann stong luntan, ricordo qualche anno fa\ Guagliun miez a na via, na luce ind’a sta città\ E mo ca song emigrante, e voglio o ciel a’guardà\ Penso ca’ si stat a primma, tu si tutt a vita mia.

Poesia.

Nota tipica: neppure ora, come nel precedente articolo su Sanremo parte prima, il redattore è imparziale. Stava pensando a chi, nella sua famiglia, ha cercato lidi migliori. A loro che s’emozionano per ogni ripartenza, a loro che conoscono la felicità del ritorno.

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Per non allontanarci troppo dalla serie ‘aridateci li vecchi’, doveroso spendere due parole su Elio e le storie tese. Il pubblico in platea, visto l’andamento soporifero e smielato della canzone ital-sanremese, s’è svegliato già dopo qualche verso, riconoscendo scroscianti applausi. Una ventata di aria fresca. Contraddizione vista la non giovane età: eppur continuano a stupire. Il loro brano, cinque ritornelli, cambi di direzione continui tipici di Elio&friends, mai banali: ‘sguardarsi’ per amarsi, la conversione di San Paolo (Saulo in giudaico) che perseguitava i cristiani, la donna burbera che ama. Creativi. Geniali. Divertenti. Magistrali. Oltre che musica esprimono arte. In una parola: Artisti. Clonateli.

Nota finale: Premio della Critica fra Stadio, Clementino ed Elio e le storie tese. Magari lo scrivente potrà scoprir di possedere doti di veggenza. Chissà.

Nota finalissima emozionale. Ieri l’Italia ha avuto l’onore di apprezzare il maestro Ezio Bosso. La tenacia eleva l’Uomo, che pretende non d’esser vivo, ma di vivere. Ed è magia. Grazie.

Salvatore Remorgida