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Salute: annegamenti in Italia pochi incidenti ma elevata mortalità
LECCE, 21 GIUGNO-Con l’inizio della stagione estiva e delle vacanze l’Italia affronta tante storie tragiche in fatto di emergenze in mare strettamente connesse ad incidenti causati dall’imperizia tecnica, quali proprio l’annegamento. Gli annegamenti e i semiannegamenti sono eventi molto gravi che spesso riguardano la fascia di popolazione più giovane, con la più lunga attesa di vita. [MORE]
La consapevolezza che molti dei fattori di rischio siano noti sollecita un loro controllo attraverso l’elaborazione e l’attuazione di programmi nazionali e locali di prevenzione.Si stima che ogni anno nel mondo muoiano per annegamento oltre 380.000 persone, il che colloca l'annegamento al terzo posto tra le cause di morte per incidente dopo gli incidenti stradali e le cadute. Gran parte di questi eventi si registra Africa, Asia del pacifico occidentale e del Sud-Est asiatico e est europeo. i. In Europa, ogni anno si verificano 28.000 annegamenti fatali, con un tasso medio pari a circa 35 morti ogni milione di abitanti/anno. Le aree maggiormente a rischio sono quelle dell’est europeo, in particolare Bielorussia, Lettonia, Lituania, Russia e Ucraina che presentano tassi 15-16 volte superiori a quelli dell’Italia. Per queste nazioni, certamente temperatura fredda delle acque, elevato consumo di alcol e difficoltà nell’approntare rapidi servizi di intervento sono tra i fattori che contribuiscono agli elevati tassi di mortalità.
Gli annegamenti in Italia, se paragonati ad altre tipologie di incidenti, rappresentano un fenomeno a bassa incidenza, ma ad elevata letalità. Nel 2007, il fenomeno è quantificabile in 387 morti e circa 440 ricoveri. Quindi, su poco più di 800 eventi/anno, nella quasi metà dei casi il soggetto coinvolto muore e nel restante 55% delle volte viene ricoverato. Si parla, in questi casi, di semi-annegamento (o quasi-annegamento).
In termini di incidenza, il tasso di mortalità per il 2007 è risultato pari a 11,1 morti per milione/anno nei maschi e 2,2 morti per milione/anno nelle femmine, con un tasso medio di 6,5 morti per milione di abitanti/anno.
Il tasso medio di ricovero ospedaliero relativo ai soli casi con diagnosi principale è di 7,4 casi per milione di abitanti/anno, con un picco per i minori di 14 anni (18,6 casi per milione di ab./anno), per i quali probabilmente le precauzioni e le attenzioni sono particolarmente elevate. L'incidenza dei ricoveri è più alta nei maschi (10,6 vs. 4,4 casi per milione di ab./anno).
Dal 1969 al 2007 risultano decedute per annegamento 27.154 persone, per l'82% maschi. L'annegamento è un fenomeno che riguarda tutte le classi di età anche se appare evidente che è tra i giovani (14-29 anni) che si presenta con la massima incisività in termini assoluti, con circa 1/3 del totale delle morti registrate anche se i tassi di mortalità sono più elevati tra gli anziani (>70 anni).
Osservando gli andamenti della mortalità nel suo complesso è possibile constatare che il fenomeno si è ridotto abbondantemente, passando da circa 1200-1300 morti/anno degli inizi degli anni '70 a poco meno di 400 del biennio 2006-2007. Nel periodo considerato, gli annegamenti hanno mostrato dunque una marcata riduzione in entrambi i generi per tutte le classi di età. Si è arrivati ad una diminuzione del 90% per i bambini al di sotto dei 14 anni, grazie evidentemente all'effetto combinato di vari fattori quali l’informazione, la prevenzione ed una maggior controllo. Negli ultimi 10 anni i dati sugli annegamenti mostrano tuttavia una sostanziale stabilità, sia nel numero dei casi registrati, sia nei corrispondenti tassi di mortalità attestatisi in media attorno ai 6-7 morti per milione di abitanti/anno. Appare evidente di essere di fronte ad una sorta di "zoccolo duro", difficilmente comprimibile se non si mettono in atto strategie mirate ed efficaci.
La distribuzione geografica a livello comunale dei dati di mortalità per annegamenti registrati nel 2007 mostra che i comuni italiani che nel 2007 hanno contato decessi per annegamento sono 264, mentre gli eventi mortali totali ammontano a 385. In 211 comuni (pari al 79,9%) si è verificato un unico caso di annegamento, in 47 comuni ( pari al 17,8%) si sono verificati da 2 a 6 casi, mentre in 6 comuni (pari al 2,3%) si sono verificati da 7 a 17 casi di annegamento. Le località marine litoranee sono 116 (43,9%), quelle interne 141 casi (53,4%).
L’analisi dei dati relativi all’intero periodo temporale, che abbraccia gli ultimi 6 anni di dati mortalità ISTAT ad oggi disponibili, mostra che 1072 comuni hanno registrato decessi per annegamento dei quali: 678 solo 1 decesso, 394 da 2 fino a 17 decessi.
In base al numero totale dei decessi registrati e alla frequenza con cui si sono manifestati gli annegamenti negli anni è stato calcolato l’indice di rischio di annegamento (IRA), che ha permesso di suddividere i comuni in: A) comuni che presentano bassa mortalità per annegamento (<7 decessi); B) comuni con alta mortalità per annegamento( ≥ 7 decessi); C) comuni con bassa frequenza annuale (<4 anni); D) comuni con alta frequenza annuale (≥ 4 anni). I gruppi più importanti sono quelli con IRA 3 e 4. I 36 comuni con indice IRA=3, pari allo 0,44% dei comuni italiani, possono essere considerati a medio rischio di annegamento, con decessi ogni anno in media non superiori a 2. Il gruppo con IRA 4 annovera 49 comuni con rischio particolarmente elevato pari allo 0,61% del totale dei comuni italiani, nei quali ogni anno si verifica un numero anche consistente di casi di annegamento mortali.
Il fenomeno degli annegamenti appare particolarmente evidente lungo la costa adriatica centro settentrionale (da San Benedetto del Tronto a Trieste); in alcune aree della costa sud della Puglia, lungo la costa tirrenica in Liguria (tra San Remo e Savona), in Toscana (tra Carrara e Piombino), nel Lazio (tra Fiumicino e Terracina), in Campania (tra Castel Volturno e Acropoli); in Sicilia nella costa sud-orientale e a Palermo); in Sardegna (lungo la costa occidentale, nella zona di Cagliari e in quella di Olbia).
Nelle aree interne alcuni comuni mostrano valori elevati di IRA, soprattutto nel Veneto, tra quelli situati lungo i fiumi Adige e Po, e in Lombardia, con particolare riferimento ai laghi maggiori (lago di Como, lago Maggiore e lago di Garda).
Ovviamente la grande concentrazione di casi che è dato osservare nelle aree densamente popolate della Lombardia (173 comuni), del Veneto (136 comuni) e del Piemonte (106 comuni), induce a ribadire che la probabilità di annegamento è anche fortemente correlata al numero di persone che risiedono, vivono e si spostano all'interno di un determinato territorio e non solo all'occasionale esposizione a determinati fattori di rischio.
I dati pubblicati dalla stampa ovviamente non possono essere confrontati con i dati ISTAT ma sono stati utilizzati sperimentalmente per acquisire informazioni sui singoli casi di annegamento ed in particolare sulle cause degli eventi mortali, ambito nel quale le casistiche ufficiali sono oltremodo carenti.
L'analisi dei dati pubblicati dalla stampa negli anni 2008-2010 ha permesso di studiare complessivamente 422 casi di annegamento, soprattutto accaduti in: Lombardia (61 casi), Emilia Romagna (58), Toscana (42); Sardegna (39) e Veneto (37). Gran parte degli annegamenti si è verificata durante la stagione balneare, in particolare a luglio (113) e ad agosto (110), giugno (60), settembre (45) e Maggio (29). Complessivamente nella stagione balneare sono stati riportati 328 annegamenti, rispetto ai 422 totali (cioè il 77.7%).
Le cause principali degli annegamenti sono risultate l’imperizia (107), il malore (95), le cadute accidentali (57), la pesca subacquea (36), le cadute da imbarcazioni e la mancata sorveglianza (35).
La mancata sorveglianza dei bambini merita un’attenzione particolare. Ovviamente la necessità di una sorveglianza adeguata da parte dei familiari o degli adulti che hanno il compito di seguirli è fuori discussione e rientra nell’ambito di responsabilità soggettive. Ma al di là di alcune situazioni, come ad esempio le piscine private, si pone il problema della sorveglianza da parte di personale appositamente addestrato. E’ altamente improbabile che questi incidenti si possano verificare in acque sorvegliate dai bagnini. La sorveglianza da parte dei bagnini avrebbe vantaggi chiaramente individuabili ed eviterebbe salvataggi improvvisati da parte di persone non in grado di effettuarli, che a volte si concludono con esiti fatali anche per i soccorritori. Di qui l'importanza di estendere il più possibile la presenza di un servizio di salvataggio alle acque di balneazione costiere ed interne, soprattutto nelle aree a maggiore rischio di annegamenti.
Riguardo alla tipologia del corpo idrico, in considerazione dell’estensione della costa italiana e del grande numero di turisti che frequentano le località marittime, l’elevato numero di decessi accaduti in mare rispetto ad altre tipologie di acque non rappresenta una sorpresa (239, cioè il 56.6% degli annegamenti totali). Tuttavia gli annegamenti nei fiumi (78) non sono certo pochi e rappresentano, in considerazione del numero certamente esiguo di fruitori, una sorpresa. Superano quasi del doppio quelli riportati nei laghi (42). Molti annegamenti in particolare in questi corpi idrici hanno riguardato cittadini stranieri. Probabilmente in questa tipologia di eventi rientrano due problematiche riguardanti da un lato la impossibilità per barriere linguistiche ad accedere ad informazioni adeguate sui pericoli dei corpi idrici e dall’altro lato abitudini diverse ( ad esempio uso di queste acque per l’igiene personale). quelli dei paesi ricchi.
Secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” non resta che rivolgere un appello ricordando di seguito alcune regole da tenere a mente per evitare inutili rischi
• Non entrare in acqua a stomaco pieno o durante la digestione (attendere almeno 3 ore);
• Non entrare in acqua quando non ci si sente bene o si accusano malesseri;
• Quando si sono consumate bevande alcoliche evitare di entrare in acqua, andare in barca o fare altri sport acquatici. Si ricordi che l'alcol può rendere meno vigili in circostanze in cui si richiede capacità di controllo, ad esempio nel prestare attenzione al bambino vicino l'acqua*;
• Non entrare in acqua bruscamente dopo una lunga esposizione al sole o se si è accaldati, perché la notevole differenza di temperatura tra il corpo e l'acqua può determinare delle alterazioni, anche gravi, della funzione cardiorespiratoria, con perdita della conoscenza ed arresto cardiaco;
• Addestrarsi a praticare la rianimazione cardiopolmonare (CPR), perché nel tempo in attesa dell'arrivo del personale sanitario, le capacità di primo soccorso possono fare la differenza per salvare la vita*;
• Non improvvisarsi subacquei, in quanto l'immersione richiede una forma fisica adeguata, raggiunta dopo una preparazione specifica;
• Evitare di fare il bagno quando il mare è agitato;
• Evitare, se possibile, di fare il bagno da soli, perché anche un banale crampo potrebbe mettere in serie difficoltà; possibilmente scegliere luoghi per nuotare sorvegliati da bagnini;
• Evitare di tuffarsi se non si conosce la profondità dell'acqua; si rischia di urtare contro il fondo o contro gli scogli con conseguente morte per trauma cranico o postumi invalidanti per lesioni alla testa ed al collo;
• Informarsi sulle condizioni del vento e del mare e le relative previsioni prima di andare in acqua. Vento forte e temporali con fulmini possono costituire un serio pericolo*;
• Indossare il giubbotto di salvataggio omologato quando si naviga, a prescindere dalla distanza di viaggio, dal tipo di imbarcazione o dall'abilità a nuotare di coloro che vanno in barca*;
• Fare attenzione alle bandiere colorate di avviso di pericolo in spiaggia*;
• Fare attenzione alle onde pericolose e ai segni di corrente di riflusso (es, acqua che cambia colore e stranamente mossa, schiumosa, o piena di detriti). Se si finisce in una corrente che porta al largo, non cercare di contrastarla subito nel tentativo di guadagnare immediatamente la riva. E' meglio cercare piuttosto di uscire dal flusso della corrente, nuotando parallelamente alla spiaggia. Una volta fuori dalla corrente, nuotare verso la riva*;
• Usare molta prudenza in acque dolci (fiumi e laghi) sia per le correnti presenti, sia per la temperatura dell'acqua, spesso assai fredda;
• Prestare la massima attenzione ai bambini, raccomandazione che vale in generale ma soprattutto nelle piscine, ambienti che apparentemente sembrano più sicuri e inducono a minore prudenza.
• In particolare, se si possiede una piscina interrata*:
• la piscina dovrebbe essere circondata da un recinto adeguatamente alto (almeno 120 cm);
• l'accesso alla piscina dovrebbe essere consentito tramite cancelli con chiusura con dispositivo di richiamo e meccanismo di apertura fuori dalla portata dei bambini. Considerare l'eventualità di dotare la piscina interrata di ulteriori protezioni aggiuntive come sistemi di allarme perimetrale per prevenire l'accesso ai bambini piccoli;
• tenere sempre a mente che braccioli o ciambelle gonfiabili sono giocattoli e non sono realizzati per salvare le persone in acqua. Per questo scopo esistono appositi giubbini di salvataggio;
• i giochi dovrebbero essere rimossi dalla piscina subito dopo l'uso. Barchette, palle, ed altri giochi possono incoraggiare il bambino ad entrare in piscina, o a sporgersi su di essa e potenzialmente a caderci dentro.
• Per quanto riguarda piccole piscine in particolare quelle gonfiabili, acquistabili anche nei supermercati, è buona norma vuotarle dopo l'uso oppure dotarle di una copertura solida a prova di bambino.
Queste regole di buona condotta sono in gran parte riprese da quanto emerso dal progetto SISI (Studio Italiano Sugli Incidenti), condotto dall'ISS in Liguria, Marche e Molise all'inizio degli anni '90. E sono state integrate con altre (contrassegnate con l'asterisco), riprese e adattate da quelle emanate dal Centers for Disease Control and Prevention.
(notizia segnalata da giovanni d'agata)