"Sacro GRA" di Gianfranco Rosi, uno spazio senz'anima ricco di umanità
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Leone d’oro alla 70esima edizione della Mostra del cinema di Venezia, Sacro GRA è il frutto di un lavoro di esplorazione, durato oltre due anni, compiuto da Gianfranco Rosi a bordo di un minivan lungo l’autostrada urbana più estesa d’Italia. Il film-documentario è stato proposto al regista dal paesaggista-urbanista Nicolò Bassetti ed ha tratto ispirazione dal saggio Una macchina celibe dell’architetto Renato Nicolini.
Gigantesco serpente cinetico, figlio del boom economico e della motorizzazione di massa, moderna muraglia che dal dopoguerra cinge la città eterna. Il GRA non produce alcuna organizzazione, non supporta nessuna struttura, esiste solo in funzione del suo inventore, delle sue entrate e delle sue uscite. E' un'opera eccentrica, totalmente fine a se stessa, che maschera e nasconde le contraddizioni della città. Renato Nicolini.
È un anello caleidoscopico di vite quotidiane quello costruito da Gianfranco Rosi attorno al filo di un non luogo, quasi metafisico, il Grande Raccordo Anulare, totalmente privo d’identità ma popolato da un’eterogenea e invisibile umanità. Il ritmo interno del film è dato dal punto d’osservazione: l’asfalto che ne definisce i margini e ne costituisce metaforicamente uno sguardo dall’esterno, come fosse il carrello virtuale su cui si muove la macchina da presa. Se in un passato glorioso le mura aureliane circondavano grandezza e splendore della città eterna, oggi dal Raccordo Anulare si accede a squallore e degrado, in direzione centrifuga, di una città che assiste, con rassegnazione e silenzio, alla sua rovina.[MORE]
Accomunati dallo sfondo del Grande Raccordo Anulare - grigio scenario per fiumi di automobili e incidenti stradali - i frammenti di storie che si alternano nel film sono tratti dalle vite quotidiane di personaggi molto diversi fra loro: un nobile piemontese decaduto che vive con la figlia in un monolocale, un dj indiano, un botanico che combatte per la sopravvivenza delle palme, un pescatore di anguille che vive sulla sponda del Tevere, un attore di fotoromanzi, un infermiere che lavora sull’ambulanza e ha una madre affetta da demenza senile, un nobile che affitta il suo castello per qualunque cosa, prostitute transessuali in un camper e ragazze immagine in un bar, fedeli che osservano un’eclisse al Divino Amore attribuendola alla Madonna.
Lo sguardo che Rosi dirige attorno a questa silenziosa alienazione si mantiene ad una grande distanza dai protagonisti ma poi, attraverso il montaggio, diviene poetico e partecipe del dramma di un’umanità che assiste, inerme, al compiersi della sua inevitabile rassegnazione. La vita della periferia è scandita dal traffico sul Grande Raccordo Anulare, spazio senz’anima che accoglie una popolazione senza identità, in cui il senso di vuoto è riempito dai rumori delle automobili e dall’immaginazione che, pur da abitazioni simili a celle di alveari, attraverso la vista della cupola di San Pietro, arriva fin dentro al cuore della città e riesce a sentire di farne parte. È un mondo che si dibatte senza lacrime, che consegna all’ironia la sua stanchezza e la sua paura. Sebbene i personaggi siano ripiegati su se stessi e incapaci di concepire qualunque forma di riscatto esistenziale, se ne avverte l’inalienabile forza di sopravvivenza e sopportazione, che consente loro di trasformare quello che potrebbe essere un lamento funereo in una filastrocca da canticchiare a mezza voce per farsi compagnia.
I personaggi del Sacro GRA sono posti volontariamente al confine fra realtà e finzione ed il racconto diviene surreale - avvicinandosi più allo scopo della finzione cinematografica che a quello del documentario - quando va a delineare un’umanità assurda e paradossale. Focalizzando l’attenzione sulle parole e sull’attività di un palmologo, impegnato in una maniacale battaglia contro i coleotteri, che divorano il cuore della palma, si giunge a simboleggiare il cuore della metropoli alla deriva, per la cui salvezza nessuno sente il desiderio di combattere.
Come il coleottero rosso che divora le palme e le consuma dall’interno, portandole alla morte, un morbo funesto degenera la vita della città e ne distrugge il grande potenziale umano.
La palma non sa come difendersi, l’hanno attaccata al cuore. Come l’uomo.
Sacro GRA potrebbe apparire come l’altra faccia della medaglia, rispetto a La grande bellezza di Paolo Sorrentino, è invece, maggiormente, visione complementare, uguale ed opposta, di un malessere sotterraneo che attraversa il nostro Paese, portando la pesantezza e il torpore della decadenza. Questa non s’identifica tanto in una crisi economica o sociale quanto nella mancanza di speranza verso quei futuri possibili, come li definisce Nicolini, che non vengono riconosciuti e valorizzati in una città immobile che trova più comodo considerarli marginali, sommergerli e relegarli all’invisibilità nel degrado delle periferie.
Titolo orignale: id.
Genere: Documentario
Regia: Gianfranco Rosi
Montaggio: Jacopo Quadri
Origine: Italia
Durata: 93’
Distribuzione: Officine UBU
(In foto il manifesto del film)
Gisella Rotiroti