Estero
Rivolte anti-regime: è la volta della Libia
TRIPOLI, 16 FEBBRAIO - In questo inverno riscaldato da un vento di giustizia e democrazia, non accenna a fermarsi il grido di protesta di quei popoli che da troppi anni vivono non liberi.
Tra ieri e oggi anche la Libia sembra aver risvegliato la propria coscienza popolare, portando in piazza il proprio dissenso nei confronti del leader libico Gheddafi.[MORE]
Il primo sit-in è stato organizzato a Bengasi, dai familiari delle vittime della strage avvenuta nel 1996 nella prigione di Abu Slim, a Tripoli: circa 1200 detenuti uccisi dalle forze dell’ordine in circostanze mai chiarite. Le famiglie, che da anni lottano per conoscere la verità, si sono radunate ieri di fronte al commissariato in cui era imprigionato il loro coordinatore, l’avvocato Fethi Tarbel.
Tuttavia, ottenuta la scarcerazione dell’uomo, la manifestazione è andata avanti, con altre persone che si sono aggiunte al corteo. A questo punto è intervenuta la polizia, che ha disperso la folla con lanci di lacrimogeni e con l’infiltrazione di agenti in borghese.
Intanto, la televisione di Stato documenta come in altre aree del Paese oggi molti cittadini si siano radunati nelle strade per testimoniare il loro supporto incondizionato al Colonnello Gheddafi. Ma evidentemente il governo non si sente del tutto tranquillo e così si prepara a rilasciare 110 attivisti islamici del Gruppo combattente islamico libero (che da un anno hanno abiurato la violenza come mezzo per far valere le proprie idee), una mossa a orolegeria pensata molto probabilmente per placare gli animi rovente della piazza.
Eppure gli oppositori del regime non sembrano intenerirsi, e attraverso facebook lanciano appelli a organizzare “la prima giornata della collera in Libia”, per “mettere da parte Gheddafi e tutti i membri della sua famiglia e avviare le riforme”.
Nel frattempo bruciano ancora i focolari nel Medio Oriente: terzo giorno di protesta oggi in Barhein, dove la maggioranza sciita mette pressione al governo sunnita affinché ci sia un reale cambiamento nel governo del paese, con vere elezioni, minori discriminazioni, maggiore offerta di lavoro e di case e la sostituzione del primo ministro Sheik Khalifa bin Salman Al Khalifa. È facile prevedere che presto la richiesta accorata si trasformi in qualcosa di più viscerale e tumultuoso.
In Iran, invece, le due fazioni pro e contro Ahmadinejad si contendono i morti per strada: per i mezzi d’informazione ufficiali, il giovane morto lunedì durante gli scontri, Saneh Jaleh, apparteneva alla milizia dei volontari islamici Basiji (filogovernativi); al contrario, il sito dell’opposizione Kaleme rivendica con sdegno l’adesione dello studente alla propria causa: “Non lasceremo che si approprino del sangue di questo martire, ucciso da questi assassini”.
Ennesima anomalia di un conflitto fondato sul cinismo.