Estero
Rifugiati Siria, i rapporti dell'UNHCR nei Paesi limitrofi (Turchia, Iraq e Libano)
ISTANBUL, 20 SETTEMBRE 2013 - Più di 2 milioni e mezzo di persone hanno abbandonato il proprio Paese dall’inizio della guerra civile siriana, esplosa nel marzo del 2011. Un’emorragia incontenibile, che altera giorno per giorno i parametri statistici, e di certo lascia solo la certezza che ogni dato è intriso di “stima possibile”. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) tenta continuamente di aggiornare i dati, per dare una visione completa della situazione e comprendere quali possano essere le conseguenze, immediate o a lungo termine, di questa migrazione senza precedenti.
L’emorragia va a dilagare soprattutto nei Paesi confinanti, e in particolare tocca il Libano, la Turchia e l’Iraq, oltre alla Giordania, l’Egitto, e l’Unione Europea. E in ogni Paese, specie quelli più prossimi, i delicati equilibri che sorreggono il Medio Oriente possono aggravare o complicare l’emergenza.
L’UNHCR sta sin dall’inizio investigando sul tema, stilando rapporti dall’aggiornamento repentino. Di seguito, riportiamo stralci delle relazioni compiute nei vari Paesi, siglati all’inizio di quest’anno dello stesso Commissariato, che vedono, al di là dei numeri, le condizioni o le ripercussioni a cui sono esposti, anche politicamente, i siriani in fuga dal loro territorio.
Turchia. In tutto, la Turchia ha messo a disposizione finora quindici campi profughi, ai quali, però, è difficile accedere, per testimoniarne le condizioni.
In generale, l’afflusso di immigrati siriani in numero abnorme, ha riportato a galla, nel Paese, sentimenti anti-immigrazione e anti-arabi, che si sono diffusi presto nella società civile. A causa delle posizioni dichiaratamente ostili del governo turco nei confronti del regime di Assad, l’immigrazione in Anatolia non può esimersi dal fare i conti con la politica interna e le direzioni di quella estera. La Turchia è inoltre firmataria della Convenzione di Ginevra del 1951 sulle condizioni degli immigrati, ma l’asilo politico presenta delle “limitazioni geografiche”, ovverosia, è garantito a chi scappi da Paesi europei, mentre per gli altri, l’asilo politico è garantito solo grazie alla collaborazione dell’UNHCR.
Più che rifugiati, il governo turco li definisce “ospiti” nel proprio territorio: nonostante si tengano, per emergenza, le frontiere aperte, e non si effettuino rimpatri forzati, chi avesse intenzione, nel caso specifico, di richiedere asilo politico, dovrà rivolgersi a un Paese terzo. In genere, è lo stesso UNHCR a garantire il trasferimento altrove. La Turchia ha comunque esteso la permanenza (ai siriani che entrano in territorio turco muniti di passaporto, e registrati) per un anno, aiuti umanitari all’interno dei campi, e le assistenze mediche necessarie. Il ministro delle Finanze turche ha fatto sapere che sono stati stanziati circa 533 milioni di lire turche per far fronte all’emergenza.
I numeri prevedono 463.885 immigrati “ufficiali”, ma in Turchia sono tantissimi che hanno preso in affitto case nelle grandi città (specie a Istanbul, Bursa e Ankara), con un numero che varia dalle 60.000 alle 70.000 unità.
Iraq. L’area immediatamente prossima al confine est siriano è il Kurdistan iracheno, dove è presente l’enorme campo di Dohuk. Il campo ha fatto fronte all’emergenza, ospitando il triplo della sua disponibilità. I siriani intervistati hanno espresso pareri positivi in generale, riguardo le condizioni, ma la situazione potrebbe peggiorare di giorno in giorno.
Da un punto di vista politico, le decisioni sono affidate al Partito Democratico Curdo, che rappresenta la principale forza politica della provincia. La regione ha accolto in maniera impeccabile i rifugiati (storicamente, un ritorno, dato che non molti anni fa la situazione era praticamente inversa), ma dalla comunità internazionale è giunto solo un immateriale plauso. La maggior parte degli aiuti umanitari e le somme elargite nell’emergenza, sono andati in maniera sproporzionata principalmente ai vari Libano, Turchia e Giordania.
La stima (aggiornata dalla foto, fonte: Internazionale) del numero dei rifugiati presenti in Iraq è di 186.541. Molti di loro vorrebbero far ritorno in patria, ma sono piuttosto pessimisti sugli esiti della crisi a breve tempo; altri avrebbero intenzione di rimanere in Iraq; altri ancora ambiscono a raggiungere un terzo Paese.
Libano. Il fronte ovest dell’immigrazione siriana è quello più contorto. I 36 km di confine che dividono i due Paesi hanno visto ondate di migranti in diverse aree, in tempi diversi, acuendo l’emergenza. Inoltre, a differenza della Turchia, della Giordania e dell’Iraq, in Libano non esistono veri e propri campi profughi. Molti dei rifugiati si sono garantiti un tetto affittando una casa, ma la maggioranza vive in campi nomadi.
Anche la situazione politica confusa del Libano si riflette sulla situazione: c’è un’assistenza limitata per i profughi, e la percentuale degli aiuti proviene dalle famiglie e da associazioni locali, oltre al lavoro combinato e assiduo dell’UNHCR e l’HRC (Human Rights Committee).
I dati parlano di un più che sommario numero di 742.346 rifugiati, ma si deve tener conto del fatto che soltanto nel 2013 si è deciso di cominciare a registrare i siriani in arrivo. Molti di loro, inoltre, temono che, registrandosi, i loro nomi potrebbero essere comunicati alle autorità libanesi, e di conseguenza a quelle siriane, allargando quindi il cerchio della clandestinità. E gli aiuti umanitari sono destinati solo ai “registrati”.
Il caos che già caratterizza il Libano potrebbe portare a ulteriori disordini interni, con l’arrivo dei rifugiati di diversi gruppi religiosi o politici, che andrebbero a gettare benzina su un fuoco acceso nell'area già da tempo, senza considerare le posizioni anti- e pro-Assad che spaccano ulteriormente il Paese.
Politicamente, se è vero che il Libano ha ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951, relativa allo stato dei rifugiati, ed ha firmato un patto internazionale sui diritti politici e civili e una convenzione contro la tortura e altre pene crudeli, non ha però preso in considerazione le convenzioni che riguardano i diritti dei bambini. Da questo punto di vista, il Libano si è assolto dalle responsabilità nei confronti di questo gruppo vulnerabile, senza stabilire distinzioni nette tra richiedenti asilo e militanti. Inoltre, se le autorità libanesi preferiscono usare il termine “sfollati” invece di “rifugiati”, il primo non ha rilevanza legale in Libano. Esiste invece lo stato di richiedente asilo, di competenza dell’UNHCR. Il Libano si è però impegnato a rispettare i principi dell’assistenza umanitaria, escludendo il rimpatrio, e lasciando le frontiere aperte.
(fonte: syrianrefugees.eu)
foto: www.internazionale.it
Dino Buonaiuto (corrispondente dalla Turchia)
[MORE]