Cronaca

Reportage. L'Aquila tre anni dopo: tra militari, campagna elettorale e «cose molto distrutte»

L'Aquila, 7 APRILE 2012 – A tre anni dal sisma, il capoluogo abruzzese è un luogo surreale. Il centro continua ad essere sostanzialmente disabitato, e in buona parte chiuso al pubblico. Molti edifici sono puntellati, altri sono semplicemente abbandonati a se stessi. Dalle voragini aperte nei muri è ancora possibile vedere uno specchio, un armadio, un lampadario. Su alcune porte, cartelli scritti a mano invitano i ladri a girare al largo: “siete già passati, non c'è più niente da rubare”. La zona rossa continua ad essere del tutto inaccessibile. Grate sbarrano il passaggio, e nei punti strategici dei militari un po' annoiati non fanno altro che rimandare indietro i forestieri, ingannati dai navigatori satellitari non aggiornati. Gli aquilani, loro sì, la nuova topografia l'hanno interiorizzata da un pezzo.[MORE]

Le uniche vie ancora trafficate sono quelle che si snodano intorno al centro; e un paio di viali che attraversano la città, come Corso Vittorio Emanuele, che conduce alla piazza del Duomo. Qui si concentrano le poche attività commerciali e si vedono finalmente un po' di persone a spasso, a godersi il sole di aprile. L'atmosfera è meno pesante di quanto ci si aspetterebbe. Gli aquilani sono gente cordiale, si conoscono tutti, hanno voglia di chiacchierare. Una famiglia a passeggio incrocia alcuni soldati in pattuglia, li riconosce. Baci e abbracci, auguri di buona Pasqua. È l'altra faccia della militarizzazione.

Ovviamente, però, la situazione in cui i cittadini si ritrovano, la ricostruzione che non arriva, la sensazione di essere stati abbandonati dallo Stato, si fanno sentire. Un velo di tristezza inevitabilmente aleggia sulle vie e sui volti. In mezzo alla piazza, tre o quattro cani dormono al sole. Uno è sdraiato su un monumento alle vittime del terremoto, ed è tanto immobile da parere morto pure lui. Quello che una volta era il cuore pulsante del centro cittadino ora offre uno spettacolo di degrado, solo i randagi e i visitatori giunti per l'occasione sembrano trovarcisi del tutto a proprio agio.

In questo terzo anniversario, infatti, ancora una volta L'Aquila ha attirato un certo numero di turisti, che si aggirano con macchine fotografiche e diversi livelli di sensibilità. La proprietaria di un bar mi dice che una volta un signore dall'aria posata è entrato a prendere un caffé e a chiedere «dov'è che si possono vedere le cose molto distrutte». Gli aquilani sopportano, divisi tra il fastidio e la voglia di far sapere all'Italia che i loro problemi sono tutt'altro che risolti. Non solo le case perdute, ma anche il lavoro che non c'è, e un trauma psicologico difficilissimo da superare.
In tutto questo, le elezioni amministrative incombono, e alimentano il rimpallo di responsabilità fra istituzioni. I toni del sindaco uscente Cialente contro il commissario Chiodi e la struttura emergenziale sono più duri che mai. La gente, però, sembra sfiduciata a trecentosessanta gradi. «I candidati sindaco sono addirittura otto» continua la barista: «segno che la comunità è sfilacciata, poco coesa». Nel capoluogo le elezioni amministrative sono sempre state particolarmente incerte, e il sisma ha accentuato questo carattere. Gli aquilani dopo tre anni sono sempre meno appagati della innegabile rapidità dei primi interventi per ridare a tutti una sistemazione nell'immediato, e sempre più frustrati dalle inefficienze della fase post-emergenziale. Al tempo stesso, molti elettori guardano con diffidenza a un cambio di amministrazione, che rischierebbe di rallentare ulteriormente il lungo e difficile processo di ricostruzione. Tutto dipenderà dal prevalere dell'uno o dell'altro sentimento.

Michele Barbero


(Fotografia di Giampiero Marcocci)