Politica
Renzi-Grillo, scintille da referendum. Undici giorni al voto
MILANO, 23 NOVEMBRE - Ad undici giorni dal voto le tensioni tra i sostenitori del Sì e del No continuano ad acuirsi. I toni sono elevatissimi, come rilevato anche dalla recente polemica tra il premier Matteo Renzi e il garante M5S, Beppe Grillo. Le polemiche sono tante e muovono da diversi fili conduttori.[MORE]
Il primo è quello meno datato, ovvero le dichiarazioni del comitato del No: «Se il voto degli italiani all’estero si rivelerà determinante per la vittoria del Sì al referendum, il comitato per il No è pronto a fare ricorso». L’annuncio è arrivato dai professori contrari alla riforma Boschi-Renzi. Dichiarazioni che scaldano senza dubbio i toni e forse rivelano i primi timori di una possibile sconfitta, nonostante l’ultimo sondaggio favorevole.
Ci mette del suo anche il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, secondo il quale Mediaset sarebbe per il Sì a causa del timore di eventuali ritorsioni governative. E’ pur vero che l’ex premier si è reso protagonista negli scorsi giorni di dichiarazioni confusionarie e contraddittorie, che nell’analisi sulla figura di Renzi sono passati dal termine leader a dittatore. Simbolo di un centrodestra profondamente spaccato, il cui stesso elettorato non offre la certezza di un No compatto.
E si arriva così al botta e risposta immancabile M5S-Pd: dall’accozzaglia del No, definizione renziana che ha ‘costretto’ il premier al dietrofront, alle durissime parole di Grillo sui sostenitori del Sì e sullo stesso premier: «Renzi ha una paura fottuta del voto e si comporta come una scrofa ferita che attacca chiunque veda» - aveva dichiarato il comico genovese. Dall’altra parte i timori di una sconfitta non sono certo minori, nonostante il Premier cerchi di predicare calma tra i suoi: «Loro insultano? Noi sorridiamo».
Pare essere questa dunque la strategia: mantenere nervi saldi e toni bassi. Toni che potrebbero ingolosire l’elettorato moderato, generalmente (ancora) confuso da una campagna reciproca tutt’altro che concentrata sul merito. E che rischia di fatto di travisare le ragioni ed il significato della stessa riforma.
Con il voto ormai imminente, risulta inevitabile guardare agli scenari futuri e a quel fatidico 5 dicembre. Se vince il No «trarremo le conseguenze» - è il pensiero del presidente Pd, Matteo Orfini –. In un’intervista a Bloomberg, è invece il vice segretario Guerini a delineare più schiettamente la situazione. Dovesse vincere il Sì avanti fino a fine legislatura (febbraio 2018). Se vince il No «se c’è la volontà politica si può lavorare su una nuova legge elettorale in breve tempo e andare alle elezioni entro l’estate del 2017». Parole tuttavia travisate dalla testata americana, a detta dello stesso Guerini perchè la palla passerebbe comunque al Capo dello Stato.
In caso di vittoria del No, il Pd avrebbe due partite delicate da affrontare: quella dell’esecutivo e quella del partito. Quale sarebbe il futuro di Matteo Renzi? Probabilmente il premier resterebbe segretario, ma proseguirebbe la propria attività politica lontano da Palazzo Chigi, da premier dimissionario. In questo scenario, moltissimo dipenderebbe dalle dimensioni della sconfitta (o della vittoria).
In quel caso potrebbero aprirsi così numerosi e svariati scenari: da un governo di scopo sino a fine legislatura (a guida Padoan o Franceschini?), sino ad un esecutivo ‘istituzionale’ nelle mani del presidente di Palazzo Madama, Piero Grasso. Ma è ancora presto: il futuro dell’Italia passa da questi delicatissimi undici giorni.
foto da: malitalia.it
Cosimo Cataleta