Politica

Referendum costituzionale, la vittoria del No e le dimissioni di Renzi. Cosa accadrà?

ROMA – 5 DICEMBRE. Gli elettori italiani hanno mandato un chiaro segnale al Governo Renzi, più profondo di una decisione sulle sorti della Riforma costituzionale proposta nel quesito referendario.

Il testo di modifica della Costituzione è stato bocciato in modo netto dagli italiani (59,1% i No, 41,9% i Sì), con un risultato addirittura più pesante di quello che si prospettava osservando i sondaggi degli ultimi mesi.
La decisività dei voti all’estero, prevista da molti analisti, è stata smentita. Determinante, invece, potrebbe essere stata l’affluenza complessiva in Italia, che si è attestata al 68,48%, facendo registrare dei dati non molto inferiori a quella che è l’affluenza media alle elezioni politiche. Questo dimostra sia quanto ancora sia rilevante l’attenzione dei cittadini italiani alle questioni legate alla Carta costituzionale – solitamente la partecipazione referendaria in Italia non è molto elevata, come nel giugno 2011, quando gli elettori alle urne non avevano raggiunto neanche il 55% o nello scorso aprile quando l’affluenza era stata di poco superiore al 30% - sia quanto questo referendum e, in particolare, la campagna referendaria dei protagonisti, avessero dotato questa domenica di un grande valore simbolico e politico, a cui era legato anche il futuro del Governo dimissionario.

L’alta partecipazione non è stata omogenea lungo il territorio nazionale. Veneto ed Emilia Romagna e Lombardia emergono come le Regioni con la maggiore percentuale di elettori alle urne, rispettivamente 76,6%, 75,8% e 74,5%. Nelle Regioni meridionali, invece, il contesto è l’opposto, con Calabria, Campania e Sicilia che si fermano a 54,4%, 58,9% e 56,9%. 

La vittoria del No è stata schiacciante soprattutto se si osservano i dati disaggregati per Regione e per Provincia. Delle 93 Province complessive, solamente 13 sono state terreno fertile per il Sì e, in particolare, si concentrano in Trentino- Alto Adige e nella zona che i politologi definiscono “rossa”, ovvero quella a cavallo tra Emilia-Romagna, Toscana e Umbria.

Un risultato di questo tipo non poteva che produrre gli effetti che, in realtà, aveva già delineato Matteo Renzi all’inizio della campagna referendaria in caso di esito negativo per il Sì, ovvero le dimissioni volontarie di fronte al Presidente della Repubblica. Lo scenario che si è appena aperto è di grande incertezza, legata soprattutto alla forte eterogeneità che caratterizza il campo delle forze politiche che hanno sostenuto il No.


Ma quali sono i possibili scenari che si aprono in questo momento? Prima di tutto, questo pomeriggio Renzi riunirà l’ultimo Consiglio dei ministri della sua esperienza di Governo, per poi salire al Colle e rimettere il suo mandato nelle mani di Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica, a quel punto, non potrà che accettare le sue dimissioni, chiedendogli però, come da prassi istituzionale, di restare in carica per occuparsi degli “affari correnti” fino alla creazione di un nuovo governo. In seguito Mattarella avvierà le consultazioni con le forze politiche per comprendere se vi siano le condizioni in Parlamento per una maggioranza di sostegno di un nuovo governo e, eventualmente, decidere a chi affidarlo. I nomi che sembrano circolare con più decisione sono Pier Carlo Padoan, Graziano Delrio e Pietro Grasso. A questo proposito, vale la pena ricordare, come ha fatto Renato Brunetta, che il Partito Democratico sarà ancora dotato della maggioranza assoluta alla Camera, mentre al Senato la maggioranza dipenderà ancora dall’area centrista, quindi saranno ancora queste forze ad avere il principale ruolo contrattuale in questa delicata fase.

Non si è ancora in grado di prevedere se l’eventuale governo “di transizione” abbia le condizioni per operare fino alla scadenza naturale della legislatura, nel 2018, oppure se si provvederà, in tempi a brevi, a disegnare una nuova legge elettorale, in vista di una tornata elettorale già nel corso del 2017, con dei leggeri correttivi al sistema totalmente proporzionale dell’attuale Consultellum. Quest’ultima ipotesi sembra la preferita soprattutto per le forze più galvanizzate dalla vittoria del No: la Lega di Matteo Salvini e il Movimento 5 Stelle.[MORE]

 

Carlo Giontella

 

Immagine da Repubblica.it