Politica
Referendum 2011. Il voto come esercizio di democrazia
Domenica 12 e lunedì 13 giugno il corpo elettorale è chiamato a scegliere tra un sì e un no su quattro quesiti referendari. Due riguardano l’acqua e i servizi di pubblica utenza, uno interessa il legittimo impedimento e l’altro il ritorno all’energia nucleare.
Se le ragioni del sì sembrano prevalere, la battaglia si gioca tutta sul quorum. [MORE]
Non a caso il governo ha evitato l’accorpamento con le recenti amministrative che per l’attuale maggioranza parlamentare sono state un ceffone in pieno viso. Vista l’affluenza, il quorum sarebbe stato garantito e, su temi quali il legittimo impedimento e il nucleare, il governo di Berlusconi si gioca il suo futuro.
Intanto vediamo cosa ci chiedono i quesiti. Eviteremo il burocratese a ragion veduta. La prima e la seconda scheda riguardano le pubbliche utenze, in particolare l’acqua. Il decreto Ronchi, dal nome dell’ex ministro che l’ha proposto, prevede che i servizi di pubblica utenza (acqua, gas, ecc...) possano essere a compartecipazione privata. Il nodo è che il decreto dice che, il privato può comunque trarre profitto. Viene meno il concetto di rischio d’impresa. In altre parole, sono questi i veri comunisti che fanno gli imprenditori con il denaro degli altri, in primis quello pubblico, rischiando poco di loro. È un dato di fatto che dove il servizio è pubblico le perdite sono enormi, ma è anche vero che dove sono intervenuti i privati, le tariffe sono esplose, appunto perché il privato deve trarre profitto sempre e comunque. Se il sì vince, il decreto viene abrogato, mentre se vince il no si prosegue con l’ingresso dei capitali privati nella gestione dei servizi pubblici.
Altro tema delicato è il ritorno all’energia nucleare. Qui ha contribuito sensibilmente il disastro di Fukushima dopo il sisma in Giappone dello scoro 11 marzo. Il governo, con un colpo di reni all’ultimo minuto, ha sospeso il decreto cercando di evitare le urne. Intanto la corte costituzionale ha ribadito la validità del quesito, con il quale si chiede di abrogare il piano Scajola, ministro dimessosi in seguito allo scandalo della sua casa vista Colosseo a Roma.
Caso singolare: due quesiti portano il nome di due ex ministri. Rochi fatto fuori per la sua fedeltà a Fini, Scajola per il suo super attico.
Il decreto Scajola prevedeva la costruzione di 4 centrali con 2 reattori ciascuna per un totale di 8 reattori. È bene ricordare che 24 anni fa, nel 1987, gli Italiani furono chiamati alle urne ancora per il nucleare e la stragrande maggioranza, dopo l’incidente di Chernobyl, disse il suo fermo no al nucleare. A distanza di 5 lustri, si sta parlando ancora di queste cose. Esiste anche la questione sicurezza, poiché al momento nessuno garantisce sulla tenuta dei reattori che eventualmente si installerebbero in Italia che, sempre in tema di sicurezza, è la nazione meno adatta al nucleare, vista la sua sismicità. Le poche zone sicure sono la Sardegna, che con il 97% delle preferenze ha detto no al nucleare, il Veneto, governato da Luca Zaia della Lega che già da tempo non vuole le centrali, e la Lombardia, governata da Formigoni, da sempre contrario al nucleare. Altro problema: le scorie. Dove le mettiamo? Cosa ne facciamo? Esistono problemi oggettivi nello smaltire rifiuti normali, figurarsi cosa succederebbe se si avesse a che fare con le scorie nucleari. E oltretutto, al contrario di eolico e solare, l’uranio è un fossile, costa tantissimo estrarlo e, come fossile, è destinato all’esaurimento. Se passa il sì, le centrali nucleari saranno solo un ricordo. Se vince il no, è probabile un loro ritorno.
Ultimo quesito riguarda il legittimo impedimento. Il decreto prevede che il presidente del consiglio e i ministri non possano comparire davanti al giudice in udienza penale per il solo fatto di essere ministri. Alcuni di essi, in anni non sospetti, si sono battuti per eliminare l’immunità parlamentare e ora la ripropongono solo per i ministri andando, di fatto, contro l’articolo 3 della Costituzione Italiana, che sancisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Se vince il sì. Il capo del governo e i ministri dovranno comparire in udienza penale. Se il no ottiene più preferenze, i membri del governo potranno evitare la loro presenza a palazzo di giustizia.
Lo stesso Berlusconi ha definito i referendum inutili e demagogici. Il suo pensiero non è molto distante dai ministri che compongono l’esecutivo, come Maurizio Sacconi, Altero Matteoli, Giorgia Meloni e Claudio Scajola che spiegano invece che non andranno alle urne proprio per far fallire le consultazioni.
Di parere opposto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che farà il suo dovere di cittadino esprimendo il suo parere. Prima di lui, un altro presidente si era speso per la partecipazione. Carlo Azeglio Ciampi dicendo che andrà a votare perché ha votato per la prima volta a 26 anni, perché prima in Italia non era dato, e da allora lo ha sempre fatto perché il voto è una conquista e un diritto da esercitare.
Per costruire una democrazia compiuta, quali che siano i referendum sul tavolo, i valori in gioco, gli schieramenti politici, si potrebbe partire da qui. Bisogna votare e basta. Dopo 24 fallimenti consecutivi a partire dal 1995 non possiamo più permetterci di mandare a vuoto.
Giovanni Dimita