Cronaca
Rebecca e i desaparecidos di Lampedusa
PALERMO, 4 OTTOBRE 2011 - «Che fine hanno fatto i nostri figli?» Questa è la domanda che negli anni Settanta le Madres de Plaza de Mayo, le madri di quei ragazzi e ragazze che la dittatura militare di Jorge Rafael Videla tra il 1976 ed il 1983, quei ragazzi passati alla storia come “desaparecidos”. E desaparecidos – cioè scomparsi nel nulla – sono anche cinquecento ragazzi tunisini – età compresa tra i 16 ed i 25 anni – sbarcati lo scorso marzo a Lampedusa e dei quali, ad oggi, non si ha più alcuna traccia.[MORE]
Molti dei loro parenti in Italia giurano di averli visti nei reportage televisivi e nei servizi al telegiornale. Ma i loro cellulari continuano ad essere muti. E proprio come le Madres argentine, hanno preso le foto di questi ragazzi, ci hanno scritto il nome sopra, e si sono rivolti ad Amnesty.
Ad occuparsi del caso è anche Rebecca Kraiem (nella foto), 53 anni, membro dell'associazione tunisina “Giuseppe Verdi” di Parma, che sta girando l'Italia per chiedere il sostegno delle Procure e dei consolati tunisini. Proprio per incontrare uno di loro è arrivata qualche giorno fa a Palermo, dove però il console non l'ha ricevuta, obbligandola ad organizzare un presidio in piazza Florio, sede del Consolato tunisino. Da lì Rebecca si è rivolta alla magistratura, con la quale sta lavorando per risolvere il problema. «La mia storia di rifugiata politica mi segna da 23 anni. Non potevo restare immobile senza fare nulla», dice. La paura, di Rebecca e dei familiari dei ragazzi scomparsi, è che abbiano dato false generalità e siano finiti nella rete dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) sparsi su tutto il territorio nazionale. Rebecca vorrebbe cercarli anche lì dentro, ma solo l'intercessione del suo governo potrebbe aprirle quelle porte. Porte che, è bene ricordarlo, non vengono aperte neanche per i politici (ed i giornalisti) italiani.
Nonostante questo, comunque, Rebecca non si abbatte, e continua il suo “pellegrinaggio” in tutta Italia alla ricerca dei suoi connazionali. «La mia storia di rifugiata politica mi segna da 23 anni. Non potevo restare immobile senza far nulla».
Andrea Intonti