Interviste
Raffaele Sollecito racconta la sua nuova vita "Un passo fuori dalla notte"
Il 27 marzo 2015, con l'assoluzione definitiva di Amanda Knox e Raffaele Sollecito, la Corte di Cassazione chiude una delle vicende più controverse della storia giudiziaria italiana: il processo per l'omicidio contro la studentessa inglese Meredith Kercher, avvenuto nel 2007. [MORE]
Sono passati 11 anni. Raffaele, oggi, di anni ne ha 34. È un ragazzo come tanti altri della sua età. Un ragazzo che però ha l'esigenza di riscattare la propria immagine «da uomo libero e da cittadino».
Sollecito denuncia ancora il fatto di subire le conseguenze degli anni passati in carcere e il risarcimento per ingiusta detenzione negatogli dalla Corte di Cassazione.
«La mia storia può essere, in negativo, un esempio di come funziona la giustizia italiana», ha dichiarato.
Ingegner Sollecito, Il 27 marzo 2015 la Corte di Cassazione ha assolto lei e Amanda Knox «per non aver commesso il fatto». Dopo 8 anni di indagini, 4 di custodia cautelare e 5 processi finalmente giustizia è stata fatta?
«Per quanto mi riguarda, No. Lo Stato italiano da una parte mi ha assolto e dall'altra mi ha condannato al pagamento delle spese processuali nonostante io sia del tutto estraneo alle accuse che mi hanno rivolto per anni. La mia vicenda giudiziaria è stata connotata da superficialità e fretta nello svolgimento delle indagini comportando una paurosa dilatazione dei tempi della giustizia. Anche a causa del rilievo mediatico del caso, ci sono voluti quasi dieci anni per cristallizzare quanto già era emerso nei primi sette/otto mesi di indagine».
L'art. 27, II c della Costituzione statuisce che «l'imputato non può essere considerato colpevole fino alla condanna definitiva». Lei ha dovuto combattere su due fronti: mediatico e giudiziario.
«Come spesso accade in Italia, i media hanno svolto il ruolo di cassa di risonanza della pubblica accusa. Hanno avuto un'influenza fuorviante, soprattutto perché prediligevano il sensazionalismo al racconto di ciò che accadeva nelle aule di giustizia. Non sono contro l'informazione. Quando si verificano certi reati si ha paura e allo stesso tempo si vuole capire. Si pensi al crollo del ponte di Genova, tutti abbiamo pensato "poteva toccare a me". L'interesse a conoscere la verità è normale ed umano. È un istinto di sopravvivenza che abbiamo tutti. Lo squallore proviene nel trattare le notizie andando direttamente alla pancia di chi ascolta, dando spazio al dubbio e al fumo per tenere gli animi desiderosi di scoprire cosa accadrà nella successiva puntata».
Nel 2015 ha pubblicato un libro dal titolo "un Passo fuori dalla notte". Per liberarsi della figura di mostro che i media hanno contribuito a costruire – così cinico da scambiarsi baci nelle ore immediatamente successive al ritrovamento del cadavere di Meredith – sono sufficienti un libro e una sentenza di assoluzione? Che cosa prova quando cammina per la strada e la riconoscono?
«Anzitutto voglio sottolineare che quel bacio ripreso da tutti i media e mandato in ogni parte del mondo è un fotogramma ripetuto almeno 10/15 volte. Sembrava che io baciassi di continuo Amanda ma in realtà si è trattata di una sola effusione di conforto che, montata in quel modo, sembra qualcosa di diverso. Questo è soltanto un esempio delle distorsioni che sono state fatte ma potrei menzionarne tante. Insisto sul punto del bacio per riagganciarmi al sensazionalismo mediatico di cui parlavo prima. Il problema di fondo è che io posso scrivere un libro e venderlo (non ricordo i numeri ma siamo a circa 7000 copie distribuite), intervenire nei convegni – anche a buon mercato – con un pubblico di 200 persone. Ma ciò non basta se si considera che un servizio televisivo di due o tre minuti è in grado di raggiungere dai 6 ai 7 milioni di persone. Come posso competere con questi numeri?».
«Quanto alle persone, dopo undici anni sono sempre incuriosite dalla vicenda. Da due anni sono tornato a lavorare, prima nonostante le qualifiche non riuscivo a trovare un impiego. La vicenda giudiziaria che mi ha ingiustamente travolto è stata in parte metabolizzata, ma i messaggi negativi che sono arrivati all'italiano medio mi hanno precluso tante strade. Attualmente la strada posso dire di costruirmela da solo!».
Raffaele, lei ha trascorso 4 anni in carcere, di cui una parte in regime di isolamento. Può dirci come si vive il carcere in Italia?
«Da qualche anno faccio visita alle carceri con i Radicali italiani. Mi sono tesserato non tanto per uno schieramento politico quanto per la condivisione della loro ideologia sociale. Posso dire che rispetto alla mia esperienza le condizioni sono progressivamente migliorate. Il regime protetto e di massima sicurezza a cui sono stato sottoposto era molto duro, si passavano quasi 22 ore al giorno rinchiusi mentre adesso molti penitenziari lasciano possibilità di camminare nei corridoi durante il giorno e , specialmente quelli più grandi, promuovono diverse attività per coinvolgere i detenuti. Siamo però ancora ben lontani dal garantire quanto la Costituzione prescrive. Il carcere dovrebbe tendere alla rieducazione del reo ma questo non avviene non perché non si applichino le leggi, ma perché siamo noi italiani i primi a non credere nella funzione riabilitativa della pena. Nero su bianco si può scrivere tutto, ma se il sentimento popolare è diverso quello che è scritto perde valore. La gente guarda la tv bramosa di vedere il responsabile in manette e spera che questo soffra per il resto della sua vita. Così facendo, non fa altro che chiedere l'applicazione di una legge del taglione mascherata dall'assenza di pena di morte nel nostro ordinamento. Poco importa se il soggetto in questione verrà poi buttato in un "buco nero". Ritengo che quello che accade oggi nelle carceri italiane sia a dir poco anacronistico. È evidente che non si possa tener conto di tutte le variabili, non possiamo sapere se vi sono più possibilità di recuperare una persona rispetto ad un'altra. In alcuni casi è la stessa società ad essere responsabile di quello che è accaduto a quel determinato soggetto perché è nato e cresciuto in ambienti che non dovrebbero esistere. Per questione di benessere sociale il sistema dovrebbe essere tuttavia profondamente mutato. Nel mio caso – e in quello di tanti altri – si finisce per essere messi in carcere senza sapere che tipo di responsabilità si abbia e addirittura senza prove. Queste cose sono disumane e fanno PAURA».
La Corte di Cassazione lo ha assolto per non aver commesso il fatto. Ha escluso la partecipazione materiale sua e di Amanda all'omicidio ma non la vostra presenza in Via della Pergola. Dunque, Rudy Guede condannato in concorso con chi?
«No, Rudy non è stato condannato per concorso. L'accusa era di concorso ma nella decisione a cui è giunta la Corte si ribadisce che essa concerne solo la responsabilità di Rudy e non può pertanto investire la posizione di altri. Circostanza del tutto normale giacché sono stati fatti due processi distinti: Rudy è stato giudicato con rito abbreviato, mentre io e Amanda abbiamo affrontato il rito ordinario. Guede è stato peraltro condannato con formula piena perché le tracce biologiche presenti nella vagina, sul reggiseno e sui vestiti di Meredith sono a lui esclusivamente riconducibili. In aggiunta, la sentenza di assoluzione che mi ha riguardato ha statuito riguardo al concorso che, se altri individui hanno partecipato a questo delitto, questi non possono essere minimamente cercati in Amanda e Raffaele».
Chi è oggi Raffaele Sollecito, che progetti ha e in che rapporti è con la Knox?
«Oggi, come ieri, sono un ingegnere informatico, pratico kick-boxing e continuo a coltivare interesse per la scienza, la programmazione, le auto, i manga, la cultura giapponese e la fotografia. A livello emotivo, quello che ho subito mi ha temprato il carattere. Lo vedo come una misera ricompensa di quasi dieci anni di tragedia. Ad Amanda mi lega un rapporto di cordialità ed amicizia anche se non ci vediamo da tanto tempo. Attualmente non posso permettermi minimamente di fare viaggi particolari e ciò rende tutto più difficoltoso».
Foto [Lettera43]
ANNA VAGLI