Fantasticherie del cuore

Qualunque giudizio stia tenuto lontano dal dolore!

04 FEBBRAIO 2016 - Anche senza il video abituale di Tele Padre Pio, per una pausa della rubrica “Troppo terra e poco cielo”, dovuta alla presenza del corpo del santo di Pietrelcina (FG) a Roma per il Giubileo, non abbandoniamo il nostro argomento di metà settimana. Tutti sappiamo che l’uomo è l’essere più intelligente del creato ed è riuscito a conquistare spazi impensabili, fino a riuscire ad analizzare da vicino persino la composizione delle stelle cometa. Ma mentre costruisce il futuro perde sempre di più la sua forza universale, nata con lui e santificata con il battesimo. Aumenta la paura dietro la maschera di una dorata sicurezza. In questo scenario si riducono gli spazi di condivisione effettiva e aumentano le occasioni e le tipicità di finte partecipazioni, più basate sulle esteriorità che sul senso vero della comunione.  [MORE]

Il dolore stesso oggi ha valore solo se è personale! Il fatto che si viva impastati di peccato in una società attenta spesso solo all’effimero, incide in modo profondo in tutta la sfera della nostra esistenza. Non c’è da meravigliarsi se a questo punto ogni valutazione soggettiva rischia di essere inficiata e le stesse interpretazioni di ognuno dirottate verso canali falsificati rispetto alla realtà! Lo stesso dolore degli altri diventa un pretesto per chiudersi e non certo per comprenderne meglio le sofferenze. Così Mons. Di Bruno: “…A tutti è dovuta pietà, anche a coloro che vengono giustiziati. Dinanzi al dolore si interrompe ogni giudizio e ci si deve lasciare muovere solo dalla compassione”. Il disagio del prossimo, in un tempo in cui tutto si valuta nella perfezione del comportamento e di ciò che si espone, diventa un problema da evitare o da esorcizzare.

“Chiudere la finestra” rappresenta un triste modello di vita. Al chiuso di solito si attutiscono i rumori; si elimina il fastidio e non si vede più il sofferente. Non ci si accorge però di scadere lentamente in una povertà spirituale, che prepara l’infelicità personale e di quanti, amici o parenti, la condividano. A tale proposito illuminanti le parole di Giobbe: “A chi è sfinito dal dolore è dovuto l’affetto degli amici, anche se ha abbandonato il timore di Dio. I miei fratelli sono incostanti come un torrente, come l’alveo dei torrenti che scompaiono: sono torbidi per il disgelo, si gonfiano allo sciogliersi della neve, ma al tempo della siccità svaniscono e all’arsura scompaiono dai loro letti”. Se l’uomo, al di là del suo ruolo politico e sociale, vivesse il vangelo in profondità, senza vergognarsi e senza nascondere la Parola di Dio, potrebbe leggere la storia nella sua “versione originale” e cambiare il mondo nel bene.

Preferisce invece gonfiarsi nei suoi proclami giornalieri, legati alle mille insignificanti e truccate azioni della società odierna, delle quali mai arrossisce o né dubiti il valore. Chi si muove in questa direzione non capirà mai l’altro, ma lo colpirà con la mormorazione, l’ipocrisia, la maldicenza, il sorriso malizioso e di condanna. Alleviare o considerare la sofferenza altrui non va contro giustizia. Nessuno dinnanzi al prossimo, vittima di una disgrazia fisica o morale, può vestirsi da giudice. Non ne ha la facoltà! Deve essere solo un uomo capace di offrire, in un qualsivoglia contesto, un minimo di vera fraternità umana per alleviare ogni possibile forma di afflizione. Si metta perciò da parte qualsiasi giudizio, almeno al cospetto del dolore altrui e prevalga il profumo della fraternità.

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Egidio Chiarella