Cronaca
Processo Mori-Obinu, la deposizione di Mancino porta allo "scontro" tra ex ministri?
PALERMO, 26 FEBBRAIO 2012 - «Non ho mai avuto conoscenza di una trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra, nessuno me ne aveva mai parlato e se qualcuno lo avesse fatto mi sarei opposto e ne avrei parlato con il Presidente della Repubblica e con il Presidente del Consiglio e avrei chiesto un dibattito in Consiglio dei ministri». Non ha aggiunto niente di più di quel che ha sempre detto l'ex ministro dell'Interno (1992-1994, governi Amato e Ciampi) Nicola Mancino, chiamato venerdì a deporre nel processo al generale dei carabinieri Mario Mori ed al colonnello Mauro Obinu, accusati entrambi di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra.
Stesso discorso per la vicenda-Borsellino, dove l'ex ministro ha sempre detto di non poter escludere la possibilità di aver incontrato l'ex magistrato, ma di non averne certezza, «anche il giudice Aliquò (Vittorio Aliquò, che insieme a Paolo Borsellino raccolse la testimonianza di Gaspare Mutolo, della famiglia mafiosa di Partanna, ndr) che era con lui ha riferito che ci stringemmo la mano ma non parlammo».[MORE]
Rispondendo alle domande di Basilio Milio, avvocato difensore di Mori e Obinu, Mancino ha anche detto di non aver mai sentito nominare il fantomatico “Signor Franco” (o “signor Carlo”, che secondo la ricostruzione del “Fatto Quotidiano” sarebbe l'ex console onorario Moshe Gross), l'uomo dei servizi segreti che secondo le numerose ricostruzioni di Massimo Ciancimino sarebbe fin dal 1971 l'uomo di collegamento tra le istituzioni e Cosa Nostra ed il cui nome è finito, nel 2010, nel registro degli indagati delle procure di Caltanissetta e Firenze in merito alle bombe del 1993 identificato in di una fotografia pubblicata all'interno di un articolo per la presentazione di una nuova automobile tenutasi in Vaticano, da un magazine romano a distribuzione gratuita.
L'ex ministro ricorda invece molto bene l'incontro avvenuto con Calogero Antonio Mannino, all'epoca ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, pochi giorni dopo l'omicidio dell'europarlamentare democristiano Salvo Lima (ucciso a Palermo il 12 marzo 1992) il quale, preoccupato dall'omicidio-Lima, disse a Mancino di essere il prossimo sulla lista degli omicidi politici di Cosa Nostra.
Lo stesso Mannino che, nei giorni immediatamente precedenti alla deposizione dell'ex ministro dell'Interno è stato raggiunto da un avviso di garanzia della Procura della Repubblica di Palermo, che lo ha indagato per «violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario» ipotizzando una serie di pressioni da parte dello stesso per alleggerire il regime del 41bis. Da capire, secondo la Procura, se la richiesta venne fatta da Mannino in quanto realmente preoccupato per la sua incolumità (tesi dell'ex ministro) o se le pressioni sul 41bis siano da inserire alla base della “trattativa” (tesi della Procura). Di certo non potrà essere d'aiuto Mancino, che non ricorda neanche la nota della Direzione Investigativa Antimafia del 10 agosto 1993 (documento declassificato a luglio) che arrivò sulla scrivania di Luciano Violante – all'epoca presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno mafioso – con la sua nota, firmata, come prima pagina.
Uno dei punti principali della deposizione, durata circa quattro ore, ha riguardato l'avvicendamento al Viminale con Vincenzo Scotti nel luglio 1992, quando quest'ultimo dichiarò di voler rimanere in quella sede anche nel governo Amato per continuare l'operato fino a quel momento svolto insieme al Guardasigilli Claudio Martelli. Anche se il giorno dopo Scotti si svegliò come nuovo ministro degli Esteri. Per Scotti quello fu un pessimo messaggio dato alla mafia, per Mancino invece – che ha ricordato come avesse più volte insistito affinché il ministro uscente mantenesse il suo posto – il vero problema sarebbe stata la poca voglia di Scotti di dimettersi da parlamentare per non rinunciare all'immunità, e quel procedimento penale a carico di quest'ultimo relativo allo scandalo del Sisde.
«Emergono evidentemente delle contraddizioni nelle cose dette dai diversi esponenti delle istituzioni sentiti» - ha commentato il procuratore Nino Di Matteo al termine del controesame di Mancino - «Quindi qualcuno mente». Per capire chi, eventualmente, stia giocando il ruolo del finto smemorato, si fa sempre più forte la possibilità di un confronto in aula tra Scotti e Mannino.
(foto: siciliainformazioni.com)
Andrea Intonti