Economia
Prezzo carburante tra geopolitica e tasse
Roma 25 aprile 2011 - I primi mesi del 2011 hanno visto i prezzi del carburante impennarsi in tutte le economie occidentali, con prezzi della benzina senza piombo fino a 1.60 euro al litro in tutta la zona euro, e un inaudito picco di 4 dollari al gallone (che comunque equivale a 0.87 euro/l) in alcuni stati degli USA. Anche la Gran Bretagna sta vivendo la medesima situazione, con prezzi prevalenti di oltre 1.33 sterline al litro (1.50 euro/l).[MORE]
Fonte: Elaborazione su dati Automobile Association (http://www.theaa.com/ )
Per capire le motivazioni del fenomeno, è necessario prima di tutto ricordare il peso delle diverse componenti del prezzo del carburante. Come dovunque, anche in Gran Bretagna il prezzo finale del carburante è una somma di quattro componenti: il costo del prodotto influisce per circa il 35%, l’accisa circa il 40%, l’imposta sul valore aggiunto (Value Added Tax, VAT) è al 20% e ciò che rimane, circa un 5%, va in tasca al distributore. Questa composizione, tre quinti tasse e due quinti valore del bene, spiega quali sono le due principali componenti della fluttuazione dei prezzi del carburante: riforme fiscali oppure cambiamenti nelle condizioni di mercato.
In specifico, nel caso britannico si ha una sfortunata (o politicamente miope?) coincidenza di entrambe le componenti. Il quadro geopolitico è infatti tale che il prezzo del barile di greggio Brent, dopo aver superato la soglia degli 80 dollari in settembre e aver fluttuato nella forchetta 80-90 dollari per tutto l’ultimo trimestre del 2010, si è assestato su prezzi stabilmente intorno ai 100-110 dollari in gennaio e febbraio, per poi impennarsi oltre i 115 dollari in marzo e rimanervi fino al momento attuale. Questo aumento, nell’ordine di grandezza del 40% rispetto all’estate scorsa, motiva almeno un 15% nella crescita del prezzo finale del carburante, stando alla composizione di cui sopra. Le motivazioni del trend crescente sono principalmente due, difficilmente scindibili nello spiegarne il rispettivo effetto sul prezzo del greggio: da un lato le sommosse nel sud del Mediterraneo, in particolare la crisi libica che ha significativamente ridotto la produzione nella regione; e dall’altro gli eventi sismici in Giappone e il loro sfortunato epilogo con l’emergenza del reattore nucleare di Fukushima. Imprevedibili quanto il loro arrivo sono anche gli sviluppi di ciascuna crisi, e la loro durata; e pertanto è difficile determinare quanto i prezzi del greggio si manterranno su questi livelli.
Fonte: Elaborazioni su dati US Energy Information Administration (http://www.eia.gov/)
Sul versante delle imposte, va ricordato anzitutto che dal 2008 a questa parte la VAT è stata modificata tre volte: dal tradizionale 17.5% fu abbassata al 15% nel 2008 per venire incontro a un’economia messa in ginocchio dalla crisi economica, per poi essere riportata nuovamente al 17.5% a gennaio 2010 in un ultimo sprazzo di lucidità (per quanto non molto popolare) del governo Brown. A gennaio 2010 infine la VAT è stata alzata ulteriormente fino al 20% dal nuovo governo Cameron che, alle prese con il progetto di una “Big Society”, nel frattempo sembra abbracciare il paradigma del “Big State”, naturalmente con la dichiarata intenzione di ridurre il deficit lasciato dal governo precedente (il famoso pacchetto di salvataggio per evitare il tracollo finanziario aveva avuto come conseguenza un 13% di deficit nel 2010, e varie figure ancora molto superiori al limite del 3% di Maastricht, per diversi anni successivi). Per quanto riguarda invece l’accisa sui due carburanti principali, benzina senza piombo e diesel, la progressione è stata più lineare: partendo da un livello di 50.35 pence (centesimi) per litro nel 2008, quando a fine anno la VAT fu abbassata, l’accisa fu alzata “per controbilanciare” fino a 56.19 pence/l; mentre quando la VAT è stata successivamente rialzata nel 2009 e 2010, anche l’accisa è stata alzata, stavolta per stare al passo con l’economia in ripresa, in specifico indicizzandola all’inflazione più 1 penny ogni anno, con il risultato complessivo che il livello a inizio 2011 era salito a 58.95 pence/l.
Nel mezzo delle crisi libica e giapponese, il 23 marzo scorso il governo ha inoltre annunciato il budget 2011. Da un lato l’accisa su benzina e diesel è stata tagliata di 1 penny, scendendo quindi a 57.95 pence/l, ed è stato introdotto un “giusto stabilizzatore” che mantiene l’indicizzazione dell’accisa all’inflazione, ma aggiunge 1 penny solo nel caso il greggio scenda sotto i 75 dollari (come non accade da settembre 2010). La misura è stata concepita per portare sollievo al settore dei trasporti, ma s’intende che con un’inflazione prevista intorno al 4.4% nel 2011, la semplice indicizzazione già di per sé significa un aumento dell’accisa (e quindi del prezzo finale) nell’ordine dei 2.5 pence all’anno. Inoltre, il governo ha proposto l’aumento della tassa applicata alla produzione di petrolio e gas, dall’attuale 20% a un livello del 32%, che ha portato diversi progetti di esplorazione e produzione di idrocarburi nelle acque britanniche del Mare del Nord a decidere di sospendere temporaneamente lo sviluppo, cosa che naturalmente porta a un potenziale shock dal lato dell’offerta e quindi a prezzi più elevati anche nell’immediato, dal momento che i diversi segmenti temporali del mercato del petrolio trasmettono tra loro segnali di prezzo.
In aggiunta al quadro sopra delineato, vale la pena infine menzionare il prezzo relativo del diesel rispetto alla benzina senza piombo. Al momento, il prezzo finale del diesel in Gran Bretagna è maggiore di quello della benzina, in linea con la tendenza generale dei governi europei a disincentivare l’uso del diesel in quanto carburante più inquinante. Tuttavia, la differenza di prezzo finale (intorno a 7 pence/l, 1.33 contro 1.40 della media nazionale nelle prime settimane di aprile) non deriva dall’accisa, che è la medesima per i due tipi di carburante. Il 13 aprile 2011 la Commissione Europea ha pubblicato una proposta di legge secondo la quale entro il 2018 gli Stati Membri dovrebbero differenziare l’accisa, rendendo più onerosa quella per il diesel.
Complessivamente, il contenimento del prezzo dei carburanti non sembra essere tra le priorità del governo Cameron, né d’altra parte figura tra le preoccupazioni dell’elettorato britannico, stando ad una recente indagine pubblicata dall’Economist (1).
Certo questa posizione è coerente con le premesse della coalizione tra conservatori e liberal-democratici, che ha puntato soprattutto sull’austerità fiscale e, in ambito energetico, su un ambizioso piano di transizione verso un’economia basata su fonti a bassa emissione di anidride carbonica. Naturalmente, le misure fiscali sono sempre come grani di sabbia: dentro un’ostrica possono trasformarsi in perle, o fuor di metafora generare proventi utili a sanare il deficit; ma c’è anche il rischio che la sabbia finisca dentro qualche ingranaggio, con conseguenze dannose; e dal momento che il bene in questione, l’energia, siede alla base di qualsiasi catena produttiva, sarà necessario valutare attentamente quale sia la soglia entro la quale un governo possa permettersi di perseguire obiettivi ambiziosi, prima di rallentare la ripresa di un Paese i cui fondamentali della contabilità nazionale soffrono ancora dei postumi del recente collasso finanziario