Chiesa e Società
Mons. Vincenzo Bertolone. "le Madri che combattono la Pandemia"
La riflessione domenicale del presidente della Cec, Mons. Vincenzo Bertolone. "le Madri che combattono la Pandemia"
CATANZARO, 10 MAG - «La parola più bella sulle labbra del genere umano è “Madre”, e la più bella invocazione è “Madre mia”. È fonte d’amore, di misericordia, della comprensione, del perdono. Ogni cosa in natura parla della madre».
Maggio è il mese dell’anno in cui gran parte dell’umanità si ritrova a pensare alle madri, ed in particolare alla Madonna. I versi di Khalil Gibran sono testimonianza di questo sentimento eterno, che risalta con particolare rilievo – e per molti versi, urgenza – nei giorni che stiamo vivendo. La pandemia ci ha sorpreso con la violenza di una grandinata estiva, portandosi via la libertà e lasciandoci in cambio il tempo.
Tanto, come mai prima, e da trascorrere in casa. Una prova ardua: sopportare delle privazioni impiegando bene il tempo. Una sfida che più di tutti ha visto in prima linea proprio le mamme, costrette ogni dì a ricercare soluzioni per mitigare gli effetti dell’isolamento e della convivenza spesso in spazi ridotti, ma pure ad attingere alla propria creatività per organizzare – insieme con i mariti - le giornate dei figli, ritagliando spazi per la scuola ed il gioco, intessendo un rapporto sano con le tecnologie: insomma, utilizzando bene il tempo. Impresa di non poco conto, affrontata come al solito col coraggio e l’infinito amore di cui solo le madri sono capaci.
Eppure, neanche l’ennesima prova offerta per consolidare i legami familiari ed irrobustire il tessuto sociale logorato dalle conseguenze della crisi in ambito socioeconomico ha consentito di ottenere la dovuta attenzione. Cosa, questa, nient’affatto inedita, come osservava papa Francesco quando sottolineava che «forse le madri, pronte a fare tanti sacrifici per i propri figli e non di rado anche per quelli altrui, dovrebbero trovare più ascolto. Bisognerebbe comprendere di più la loro lotta quotidiana per essere efficienti al lavoro e attente e affettuose in famiglia».
Guai, allora, anche solo a pensare che le donne possano essere le eroine sulle quali scaricare il peso dell’emergenza, magari accettando in vergognoso silenzio che ciò si traduca, per molte di esse, alla rinuncia del lavoro in favore della famiglia. Che parte degli uomini non se ne preoccupi, non è una novità. Eppure, mai come ora è il momento di occuparsi delle donne, magari facendo in modo che a contribuire alla definizione dei processi decisionali siano proprio esse. Serve coinvolgimento secondo il merito, serve qualcosa di più complesso ed ampio rispetto a qualche bonus neppure puntuale per sottrarre le mamme italiane ad un destino scritto da altri per loro.
Soprattutto, è indispensabile tutelare i posti di lavoro al femminile, dirottando risorse in questa direzione sia perché il lavoro è l’unica vera forma di emancipazione, sia perché la riproposizione di un modello sociale in cui il lavoro ridiventi roba da uomini porterebbe l’Italia a segnare un passo indietro, accrescendo povertà ed infelicità. È necessario tutelare questo patrimonio, poiché necessarie sono le mamme se si vuol avere futuro: come scriveva Immanuel Kant, di una madre c’è sempre bisogno, perché è lei a piantare e nutrire i primi semi del bene ed a fare del figlio l’uomo (o la donna) che sarà.