Cultura e Spettacolo

Premio Caccuri, Paolo Mieli e il fascino della Storia al Teatro Comunale di Catanzaro

CATANZARO, 1 NOV. - “Siamo molto emozionati, io e i due vicepresidenti del Premio Letterario Caccuri, Olimpio Talarico e Roberto De Candia, perché questo è il decimo anno che cerchiamo di promuovere cultura con manifestazioni ed eventi sempre diversi. Gli ottimi risultati raggiunti ha reso necessaria la delocalizzazione. Nasce come contest di saggistica ma, ormai, è un evento che dura 365 giorni all’anno. Quest’anno abbiamo toccato 20 comuni della Calabria e Catanzaro, questa sera, è il momento clou. Ringrazio la città, i tanti amici che sono qui e i tutti coloro che sono venuti anche da lontano. Devo dire che tutto ciò è possibile grazie ai bandi della Regione Calabria, ai nostri sponsor e a due colonne che ci sostengono da sempre, il maestro orafo Michele Affidato che realizza i premi e il Presidente della Giuria, il professore Giordano Bruno Guerri. Oggi qui ne abbiamo trovato una terza, Emanuele Bertucci”, con queste sentite parole, il Presidente del Premio Letterario Caccuri, Adolfo Barone, ha toccato il cuore di quanti hanno riempito il Teatro Comunale di Catanzaro e, soprattutto di chi, come noi, si è innamorato, grazie a questi tre visionari, di un bellissimo borgo della presila crotonese. Caccuri crea dipendenza e noi ne siamo vittime.

La serata ha avuto inizio con un’interessante intervista del professore Giordano Bruno Guerri al direttore Paolo Mieli focalizzata sul libro del giornalista “Il Tribunale della Storia”. Al fine di non limitare l’alta qualità dell’intervento ne affidiamo il racconto alle parole del direttore in questa sintesi:

Paolo Mieli e la Storia

La storia è un regno dove le zone di luce si confondono con quelle d’ombra, composto da una serie di stanze e, percorrendo i corridoi che le dividono, si rimane affascinati. Questo è il mondo che descrivo, che mi ha estasiato sin da quando ero ragazzo, La storia, però, ha senso solo se portata continuamente davanti al tribunale e rivista alla luce di nuove evidenze, nuove prove, vista da differenti angoli prospettici. Questo perché, specie se recente, è stata generalmente raccontata nell’interesse di chi ha vinto a danno di chi ha perso. Il meccanismo deve essere quello del tribunale e lo storico deve essere intellettualmente onesto. Deve avere un’idea originaria dell’argomento che, dopo un approfondito studio, dovrà necessariamente essere diversa, altrimenti significa che la sta riproponendo perché gli serve politicamente o per qualche altro motivo. Le sentenze di questo tribunale, quindi, non sono mai definitive. Io ho un senso di disprezzo per chi la usa a fini politici.

Paolo Mieli, Renzo De Felice e il fascismo

Io, prima di fare il giornalista, ho cominciato, negli anni ’70, come assistente di De Felice. Uno studioso antifascista di famiglia antifascista. Si accinse, quasi casualmente a scrivere una biografia su Mussolini e si accorse che quasi nulla, del sintetico racconto ufficiale che si aveva del fascismo, stava in piedi. A cominciare dall’idea che la Marcia su Roma era stata un colpo di stato che aveva dato immediatamente inizio alla dittatura. Si accorse subito che quando, in seguito alla marcia, il re Vittorio Emanuele III gli diede l’incarico di formare il governo, aveva nelle camere solo 35 parlamentari. Ottenne la fiducia, quindi, dagli altri partiti che lo sostennero, gli diedero ministri liberali, cattolici. Due anni dopo, nel ’24, ci furono le lezioni dove ottenne un vasto consenso, al di là della Legge Acerbo che lo favorì ulteriormente. Nell’autunno del ’24, all’indomani dell’omicidio di Giacomo Matteotti perpetrato da uomini a lui riconducibili, le cose non si mossero in maniera tale da farlo cadere, e soltanto con il discorso del 3 Gennaio 1925 iniziò la dittatura vera e propria. Non fu, quindi, un colpo di stato ma una complessa operazione politica che ha visto la partecipazione dei suoi futuri oppositori. Anche nel 1929, quando riuscì a fare i Patti Lateranensi con la Chiesa, ebbe un grande consenso parlamentare. De Felice scoprì, inoltre, che anche negli anni ’30 Mussolini godette di un consenso superiore a quello che veniva tramandato dai libri di storia. Racconto questa storia per indurre a chiedervi “ È raccontata così nelle scuole?”, “Perché si continua a raccontare una storia ipersemplificata?”. Nessuno intende riabilitare Mussolini, ma la storia non può essere raccontata in maniera diversa da come è andata.

Paolo Mieli, l’attacco alla CGIL e il falso pericolo del rischio di un ritorno del fascismo

Continuamente viene detto, in modo più o meno esplicito, che ci troviamo di fronte a vicende analoghe a quelle accadute un secolo fa. Io penso che, ad ogni evidenza, non è vero. Reagisco sdegnato all’assalto di quelle persone appartenenti a formazioni di estrema destra alla sede della CGIL, ma non possiamo metterlo sullo stesso piano di quanto accadde allora e fece precipitare il paese, seppur gradualmente, nella dittatura. Farlo è una cosa brutta ed evidenzia l’assenza di altri motivi identitari forti. Serve a chi vuole aggregare una vasta area politica senza pagare dazio, perché non ne sono capaci politicamente. In questo caso ne soffro particolarmente perché mi riferisco a quella gente che io abitualmente voto. La colpa è anche nostra perché non protestiamo.

Paolo Mieli e la Cancel Culture

Nella cancel culture il giudizio è sbagliato. È un errore guardare il passato con gli occhi di oggi. È un’ipocrisia godere del progresso e contestare la storia con la quale si è ottenuto. Ad esempio, viaggiare comodamente con l’alta velocità e disapprovare che durante la Rivoluzione Industriale, in Inghilterra nel ‘700, furono utilizzati bambini per il lavoro. Dobbiamo essere grati a loro e capire che, probabilmente, senza quel sacrificio oggi non potremmo sfamare o curare una buona parte dell’umanità. Il vaccino che, creato in soli otto mesi, ci sta permettendo di difenderci da una pandemia è figlio di quella fatica. Non giustifichiamo il lavoro minorile ma, se godiamo del progresso, dobbiamo essere consapevoli che i nostri agi hanno origini lontane con dei peccati commessi. Andare a colpire i peccatori oggi non ha senso. Lo storico ha un ruolo importante, deve proteggere le prove. Chi le distrugge è un reo, una persona poco raccomandabile. Chi parla di cancellazione sta facendo il male puro e gli andrebbe impedito.

 

Paolo Mieli e la riabilitazione

Non mi attrae il parlare bene dei buoni, semmai mi interessa andare a studiare come mai certi personaggi sono stati iperlodati. Riabilitare un cattivo, invece, può essere interessante. Un’operazione che mi incuriosisce.

Paolo Mieli e Napoleone

Fra i tanti temi e personaggi che affronto nel libro, se ne devo citare un in particolare, scelgo Napoleone. Riuscì a conquistare l’intera Europa, ma ci fu un momento che, anche per la coalizione che aveva contro, fu considerato come nel ’45 Hitler. Gli inglesi lo odiavano e lo spedirono prima all’’isola d’Elba e infine a Sant’Elena. La cosa che mi ha affascinato è che da un’isola sperduta, tra il 1815 e il 1821, grazie alle doti dell’intelletto, è riuscito a capovolgere la sua immagine in Europa e, complici i suoi nostalgici, quando a metà del secolo suo nipote Napoleone III tornò al potere, la visione della sua opera era completamente ribaltata. Oggi è sui libri di storia come un personaggio da venerare.

A seguire Dario Vergassola e Moni Ovadia hanno dato vita ad uno spettacolo, dal titolo “Un ebreo, un ligure e l’ebraismo” che, con grande simpatia, ha messo in evidenza le affinità tra ebrei e liguri, affrontato i diversi stereotipi sugli ebrei, le diverse nature antisemitiche ma, anche la differenza tra gli ebrei di diversa nazionalità. Il tutto tra barzellette e battute, frutto dell’incontro riuscito tra due modi diversi di fare umorismo.

Grande è stato l’apprezzamento del pubblico che si è attardato in sala per salutare personalmente gli artefici di questo miracolo culturale che, partito da un piccolo borgo, ha conquistato l’Italia intera.

Saverio Fontana