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Posto fisso vicino a mamma e papà. Le dichiarazioni di Cancellieri e i dati Istat

ROMA, 6 FEBBRAIO 2012 - Mario Monti pochi giorni fa lo aveva definito “monotono”, sollevando per questo non poche polemiche. A tornare a parlare di posto fisso questa volta è il ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri: «Noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà», ha dichiarato in un'intervista rilasciata a Tgcom24. Nella stessa intervista, inoltre, difende la precedente dichiarazione di Monti affermando che «è nata una querelle frutto di una fretta d'interpretazione». «Il mondo moderno – ha aggiunto - ha grandi esperienza di mobilità, noi viviamo nella cultura del posto fisso. Il mondo sta cambiando, come avviene nei paesi emergenti. Dobbiamo fare un salto, ma non demonizziamo. Monti ha voluto sdrammatizzare, non è stato fatto per mancanza di rispetto verso nessuno».[MORE]

C'è da immaginare che le polemiche contro questa dichiarazione non tarderanno ad arrivare. Per il momento, al fine di inquadrare meglio la situazione lavorativa effettiva del Paese che vive nella “cultura del posto fisso”, ci vengono in aiuto i dati diffusi nelle scorse ore dall'Istat e rilanciati dalle agenzie, relativi all'occupazione precaria nel terzo trimestre del 2011. La fotografia è abbastanza chiara: oltre 2,7 milioni di persone in Italia hanno contratti a termine: 2,364 milioni di dipendenti a tempo determinato e 385 mila collaboratori. Il dato relativo ai lavoratori a tempo determinato vede un aumento del 7,6% su base annua (+166 mila) e porta i lavoratori a termine ad essere il 10,3% del totale degli occupati. Per i collaboratori, invece c'è una leggera diminuzione su base annua: - 2,1%. Questo è il quadro generale. La situazione, tuttavia, peggiora man mano che diminuisce l'età dei lavoratori.

Tra gli over 55, infatti, solo il 6,3% risulta avere contratti a tempo determinato, mentre per chi ha un'età compresa tra i 34 e i 54 anni, i lavoratori a termine sono l'8,3%. Di tutt'altra portata, invece, è la situazione che riguarda i lavoratori più giovani, per i quali questa cifra sale al 18% nella fascia tra i 25 e i 34 anni, e arriva al 46,7% per gli under 24. Cioè, quasi un giovane lavoratore su due ha un lavoro precario, in un contesto più generale – giova ricordarlo – nel quale un giovane su tre è disoccupato.

Per rispondere, invece, alle dichiarazioni del ministro sulla presunta volontà degli italiani di rimanere a lavorare nella stessa città “di fianco a mamma e papà”, è opportuno leggere uno studio realizzato circa un anno fa dalla Banca d'Italia in merito ai flussi migratori interni, in particolare dal Sud al Centro-Nord. Dai dati di Bankitalia emerge che tra il 1990 e il 2005 ad emigrare nel Centro-Nord sono state quasi 2 milioni di persone. «L’elemento che ha maggiormente contraddistinto i flussi migratori degli ultimi anni – si legge nel rapporto - è stato la “fuga” dal Mezzogiorno delle persone con un più elevato titolo di studio». Oltre 80 mila laureati tra il 2000 e il 2005, diretti non più nelle grandi zone industriali, ma nelle grandi aree metropolitane del Centro-Nord: Roma, Milano e Bologna in testa. È opportuno precisare che lo studio di Bankitalia, tuttavia, non considera il fenomeno del “pendolarismo giornaliero”, che farebbe notevolmente incrementare il dato sulla mobilità, ma si riferisce esclusivamente alle migrazioni di medio e lungo raggio, cioè a chi effettivamente lascia per lavoro la città di mamma e papà.

(foto da www.interno.it)

Serena Casu