Cronaca
Porrajmos, lo sterminio di Rom e Sinti. Una questione razziale
ROMA, 27 GENNAIO 2012 - È il 16 dicembre 1942 quando il capo delle SS e della polizia, Heinrich Himmler, ordina il trasferimento di tutti gli “zingari” ad Auschwitz, destinandoli ad una sezione speciale denominata Zigeunerlager, dalle condizioni atroci come le altre, ma separata dal resto del campo mediante un recinto con filo spinato attraversato da corrente elettrica ad alta tensione. Rom e Sinti, i quali, a differenza degli altri prigionieri, vivevano tutti insieme: uomini, donne e bambini. Anche a loro era riservata la stessa sorte che, nei piani nazisti, sarebbe toccata agli ebrei, la «soluzione finale». La storia dello Zigeunerlager termina, infatti, nella notte del 1 agosto 1944 quando la gran parte dei circa 4000 Rom e Sinti sopravvissuti fino a quel momento ad Auschwitz fu condotta nelle camere a gas. Vennero mantenuti in vita solo coloro che risultavano ancora abili al lavoro. Il 17 gennaio 1945, dieci giorni prima dell'apertura dei cancelli di Auschwitz da parte dell'Armata Rossa, all'interno del campo erano presenti solo quattro “zingari”.[MORE]
Così come per le altre categorie di perseguitati, anche nel caso dello sterminio di Rom e Sinti, presenti in quasi tutti i lager nazisti, non è possibile fornire cifre definitive in merito al numero delle vittime, che si ipotizza oscillino tra le 250 mila e il milione e mezzo. Anche se per diversi anni lo si è negato, quello che si può invece affermare è la matrice razziale di questa persecuzione. Per molto tempo dopo la fine della guerra, si è sostenuto che Rom e Sinti siano stati perseguitati in quanto considerati “asociali”, così che la «questione zingara» fu considerata parte di una politica – per quanto inasprita dalla guerra – di prevenzione e repressione della criminalità. In realtà, come ha ben spiegato Giovanna Boursier in Zigeuner, lo sterminio dimenticato, «l'asocialità zingara secondo i nazisti non era dovuta a questioni di comportamento: gli zingari erano ladri, truffatori, assassini, nomadi, per cause genetiche, perché tali caratteristiche erano nel loro sangue, irrimediabilmente tarato e perciò irrecuperabile». La “razza zingara” era ritenuta pericolosa in quanto – secondo alcune teorie pseudo-scientifiche, tra le quali quella dello psicologo e psichiatra Robert Ritte – era una degenerazione della razza ariana. Una razza quella zingara che, per quanto sia di origine ariana, risultava ormai irrimediabilmente contaminata dal pericoloso gene del Wandertrieb, cioè dell'istinto al nomadismo.
Per questo motivo, non solo il regime mise in atto un intervento di sterilizzazione coatta di Rom e Sinti, condotta prima all'interno degli ospedali e poi nei campi (le prime deportazioni sono documentate a Dachau nel 1936, e, sempre nello stesso anno, in occasione dei giochi di Berlino, la polizia, per “ripulire la città” fece internare tutti gli zingari a Marzahn, che l'anno dopo diventerà campo di concentramento), ma in molti casi essi furono utilizzati come “cavie” di esperimenti pseudo-medici volti a comprendere le ragioni di questa presunta degenerazione razziale. La motivazione razziale dello sterminio, d'altra parte, è ben esplicitata anche in un documento ufficiale del regime. È l'8 dicembre 1938, quando Himmler emana il decreto “Lotta alla piaga zingara”, all'interno del quale si chiarisce che, in base alle esperienze e alle ricerche scientifiche condotte, la questione zingara va trattata come questione razziale, determinando «l'appartenenza razziale di ogni zingaro sul territorio del Reich» e affidando alle autorità competenti le diverse categorie: «zingari puri», «meticci zingari» e «vagabondi».
Il Porrajmos – letteralmente “grande divoramento” - cioè lo sterminio di migliaia di Rom e Sinti perpetuato dal regime nazista fu, dunque, una questione razziale ed è doveroso mantenerne viva la memoria. «Trascurare gli zingari – sono le parole di Miriam Novitch, ebrea polacca sopravvissuta ai lager nazisti e impegnata a salvaguardare la memoria di tutte le vittime del regime – tacere del loro massacro, costituirebbe una seconda ingiustizia nei loro confronti. Chi vi parla è una donna ebrea che vive per custodire la memoria del suo popolo martirizzato, ma anche per commemorare gli zingari. Che la sua voce non sia una voce che grida nel deserto... la memoria del popolo zingaro massacrato deve trovare un posto fra tutti i popoli del mondo».
(immagine da www.operanomadimilano.org)
Serena Casu