Pisanu: "Nessuna trattativa Stato-mafia, solo un'intesa tra uomini privi di mandato"
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Pisanu: "Nessuna trattativa Stato-mafia, solo un'intesa tra uomini privi di mandato"

mercoledì 9 gennaio, 2013

ROMA, 9 GENNAIO 2013 - ‹‹Sembra logico parlare, più che di una trattativa sul 41bis, di una tacita e parziale intesa tra parti in conflitto››. Lo afferma Beppe Pisanu al termine dell’inchiesta della Commissione antimafia sulla trattativa tra lo stato e i boss mafiosi e sulle stragi del '92-93.

‹‹Possiamo dire che ci fu almeno una trattativa tra uomini dello Stato privi di un mandato politico e uomini di Cosa nostra divisi tra loro, e quindi privi anche loro di un mandato univoco e sovrano. Ci furono tra le due parti convergenze tattiche, –prosegue Pisanu- ma strategie divergenti: i carabinieri del Ros volevano far cessare le stragi, i mafiosi volevano invece svilupparle fino a piegare lo Stato»[MORE]

«Piegarlo fino a qual punto? All'accettazione del papello o di qualche sua parte?››si chiede Pisanu, che prova poi a dare delle risposte: ‹‹A rigor di logica e a giudicare dai fatti, non si direbbe. Se Cosa nostra accettò una specie di trattativa a scalare, scendendo dal papello al più tenue contropapello e da questo al solo ridimensionamento del 41bis, mantenendo però alta la minaccia terrificante delle stragi, c'è da chiedersi se il suo reale obiettivo non fosse ben altro: e cioè il ripristino di quel regime di convivenza tra mafia e Stato che si era interrotto negli anni ottanta, dando luogo ad una controffensiva della magistratura, delle forze dell'ordine e della società civile che non aveva precedenti nella storia. Certo, l'obiettivo era ambizioso, ma il momento, come ho già detto, era propizio per la mafia e per tutti i nemici dello stato democratico».

«I vertici istituzionali e politici del tempo, dal Presidente della Repubblica Scalfaro ai Presidenti del Consiglio Amato e Ciampi, hanno sempre affermato di non aver mai neppure sentito parlare di trattativa. Penso che non possiamo mettere in dubbio la loro parola e la loro fedeltà a Costituzione e a Stato di diritto». Rimane tuttavia secondo il presidente della Commissione antimafia «il sospetto che, dopo l'uccisione dell'onorevole Lima, uomini politici siciliani, minacciati di morte, si siano attivati per indurre "Cosa nostra" a desistere dai suoi propositi in cambio di concessioni da parte dello Stato».

In particolare su Mannino, che ha ricoperto l’incarico di ministro per il Mezzogiorno nella prima fase della trattativa, «pende ora una richiesta di rinvio a giudizio per il reato aggravato di minaccia ad un corpo politico, amministrativo e giudiziario. Analoga richiesta, ma per un periodo diverso, pende su Marcello Dell'Utri. Occorre anche ricordare che Nicola Mancino, ministro dell'Interno dal giugno 1992 all'aprile 1994 è stato indicato, per sentito dire, dal pentito Brusca e da Massimo Ciancimino come il terminale politico della trattativa. Il primo lo indica stranamente associandolo al suo predecessore Rognoni che, peraltro, aveva lasciato il Ministero dell'Interno nel 1983, nove anni prima dei fatti al nostro esame; il secondo è un mentitore abituale».

Interrogato dall'Antimafia Mancino «è apparso a tratti esitante e perfino contraddittorio. La Procura di Palermo ne ha proposto il rinvio a giudizio per falsa testimonianza. Le posizioni degli ex Ministri Mannino e Mancino sono ancora tutte da definire in sede giudiziaria: una semplice richiesta di rinvio a giudizio non può dare corpo alle ombre. È doveroso aggiungere che l'on. Mannino è uscito con l'assoluzione piena da un precedente processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Formalmente la trattativa si concluse nel dicembre 1992 con l'arresto di Vito Ciancimino».

Un mese dopo seguì l’arresto di quello che veniva considerato il vertice della Cupola, Totò Riina. «Se i due arresti fossero riconducibili in qualche modo alla trattativa, quale sarebbe stata la contropartita di Cosa nostra? La mancata perquisizione del covo di Riina e la garanzia di una tranquilla latitanza di Provenzano che, proprio per questo e per prenderne il posto, avrebbe venduto il suo capo? E alla fin fine, quale sarebbe stato il guadagno dell'astuto mediatore Vito Ciancimino? Allo stato attuale della nostra inchiesta, non abbiamo elementi per dare risposte plausibili».

Pisanu parla poi delle stragi. Prima di quella di Capaci, per la quale ritiene che sia stata necessaria una ‹‹speciale competenza tecnica per realizzare un innesco che evitasse l'uscita laterale dell'onda d'urto dell'esplosione e la concentrasse invece sotto la macchina di Falcone. Mi chiedo: Cosa nostra ebbe consulenze tecnologiche dall'esterno?. Sulle scene degli attentati e delle stragi, abbiamo visto comparire, qua e là, figure rimaste sconosciute, presenze esterne: da dove venivano? Gruppi politico-terroristici come “Falange Armata” rivendicarono tempestivamente degli attentati di Cosa nostra: come si spiega?»

Riguardo invece l’attentato che ha portato alla morte del giudice Paolo Borsellino, Pisanu ha affermato che ‹‹solo negli ultimi anni è stato scoperto il gigantesco depistaggio delle indagini su Via d'Amelio, depistaggio che ha lungamente resistito al tempo e a ben due processi: chi lo organizzò e perché furono lasciati cadere i sospetti che pure emersero fin dagli inizi?››

«Potrei continuare con domande analoghe. Ma queste mi bastano per dire che, a conclusione della nostra inchiesta, non si sono ancora dissipate molte delle ombre che avevo già intravisto nelle mie comunicazioni alla Commissione del 30 giugno 2010. Noi conosciamo le ragioni e le rivendicazioni che spinsero Cosa nostra a progettare e ad eseguire le stragi, -conclude Pisanu- ma è logico dubitare che agì e pensò da sola».

Paolo Massari


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