Cronaca

Peppino Impastato: il siciliano dal cuore ribelle che sfidò la mafia

FIRENZE, 09 MAGGIO 2012- “Passeggio per i campi

con il cuore sospeso nel sole. Il pensiero, avvolto a spirale, ricerca il cuore

della nebbia.”.

Questa poesia fu scritta da Peppino Impastato, un simbolo della lotta alla mafia. Un esempio indelebile di coraggio e libertà.

Giuseppe Impastato, detto Peppino, nacque a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948. Il padre, Luigi Impastato, lo zio e altri parenti di Peppino erano notoriamente mafiosi. Il giovane Impastato conobbe ben presto la realtà della mafia, la sua famiglia cercò sin dall’infanzia di inculcare in lui i precetti dell’odio, della sopraffazione e dell’illegalità. I genitori notarono la sua spiccata intelligenza nonchè il suo carattere indomito. Nella Sicilia degli anni 60’ quel ragazzino magro e irrequieto ebbe la forza di ribellarsi alla volontà paterna e ad un intero sistema. La reazione del padre fu molto dura, decise di metterlo alla porta.

Nel 1965 fondò il giornale  "L'idea socialista" e aderì al PSIUP.  Dal 1968 prende parte, con il ruolo di dirigente, alle attività dei gruppi di "Nuova Sinistra". A Cinisi divenne il punto di riferimento delle lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell'aeroporto di Palermo, degli edili e dei disoccupati. Nel 1976 costituì il gruppo "Musica e cultura" e nello stesso anno  fondò Radio Aut, radio libera autofinanziata. Attraverso l’emittente radiofonica  denunciava le malefatte dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, in particolare del potente boss Gaetano Badalamenti. Il programma più seguito era “Onda pazza”, trasmissione satirica con cui Impastato sbeffeggiava senza paura mafiosi e politici. La lotta alla mafia divenne una scelta di vita.

Nel 1978 decise di candidarsi alle elezioni comunali di Cinisi nelle fila di Democrazia proletaria. La notte tra l'8 e il 9 maggio , durante la campagna elettorale, Peppino Impastato fu assassinato. Col suo cadavere venne messo in scena un attentato, in cui la stessa vittima doveva apparire come un attentatore suicida, mettendo una carica di tritolo che dilaniò il suo corpo posizionato sui binari della linea ferroviaria Palermo-Trapani. Un gesto infame che aveva come obiettivo di screditare l’immagine e la memoria di Peppino.  Pochi giorni prima aveva esposto una documentata mostra fotografica sulla devastazione del territorio effettuata da speculatori e gruppi mafiosi.
  Nelle elezioni di Cinisi, in cui Impastato si era candidato, molti cittadini votarono il suo nome, riuscendo ad eleggerlo, simbolicamente, al Consiglio comunale. Le Forze dell’ordine e la magistratura, oltre a una parte della stampa dell’epoca, avvalorarono senza particolari esitazioni la tesi del suicidio “eclatante”. La morte di Peppino Impastato passò quasi inosservata agli occhi dell’opinione pubblica italiana a causa del ritrovamento del corpo dell’On. Aldo Moro in Via Caetani, ucciso dalle Brigate Rosse. [MORE]

La matrice mafiosa del delitto venne alla luce grazie all' instancabile attività del fratello Giovanni Impastato e della madre Felicia  Bartolotta (scomparsa nel 2004), che decisero di spezzare pubblicamente qualsiasi legame mafioso e grazie anche ai compagni di Peppino e del Centro siciliano di documentazione di Palermo, fondato nel 1977 da Umberto Santino e  Anna Puglisi e dal 1980 intitolato proprio a Giuseppe Impastato. Il 9 maggio del 1979, il Centro siciliano di documentazione organizzò, con Democrazia Proletaria, la prima manifestazione nazionale contro la mafia nella storia italiana.

Sulla base dei nuovi elementi raccolti e delle denunce presentate fu riaperta l'inchiesta giudiziaria. Nel maggio del 1984 l'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, accolse le indicazioni del Consigliere istruttore Rocco Chinnici, che aveva avviato il lavoro del primo pool antimafia ed era stato assassinato da Cosa Nostra nel 1983, emise una sentenza, firmata dal Consigliere Istruttore Antonino Caponnetto, in cui si riconobbe la responsabilità mafiosa del delitto, attribuito però ad ignoti. Si addensarono, inoltre, inquietanti ombre sul comportamento dei carabinieri dopo il delitto. Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 Dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini.

Dopo varie e tortuose vicende giudiziarie, il 5 marzo 2001 la Corte d'assise ha condannato Vito Palazzolo a trent'anni di reclusione e l'11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti  all'ergastolo in quanto mandanti dell’omicidio di Peppino Impastato. La mano vigliacca ed assassina della mafia mise fine alla sua giovane vita. Un’esistenza breve e fiera vissuta a testa alta senza alcun compromesso. Concludiamo l’omaggio alla memoria di Peppino Impastato nel triste anniversario della sua morte, citando una parte del testo della famosa canzone dei Modena City Ramblers,” I Cento Passi”, a lui dedicata:

“E' nato nella terra dei vespri e degli aranci, tra Cinisi e Palermo parlava alla sua radio. Negli occhi si leggeva la voglia di cambiare, la voglia di Giustizia che lo portò a lottare.
Aveva un cognome ingombrante e rispettato, di certo in quell'ambiente da lui poco onorato. Si sa dove si nasce ma non come si muore e non se un'ideale ti porterà dolore.”

Davide Scaglione