Chiesa e Società
Pensieri quaresimali (II): Etica della parola di Domenico Concolino
La parola edifica. Costruisce interiorità. Non solo la parola parlata ma anche quella scritta. È questa una delle affermazioni centrali della Sacra Scrittura e d’altra parte è questa l’esperienza di tutti coloro che hanno trovato lungo il proprio percorso di vita un luminoso maestro, per dirla con Daniel Pennac, uno che ben incarna la sua materia, a differenza degli altri che si limitano ad insegnarla, e che possiede la straordinaria capacità di trasmettere voglia di sapere e non semplici concetti (D. Pennac, Una lezione di ignoranza, Astoria/assaggi, Milano 2015, p.4). Un cristiano direbbe che si tratta soprattutto di un testimone credibile, uno che vive ciò che dice.
Ma questa caratteristica della parola, cioè quella di lasciarsi edificare da essa e di lasciar edificare tramite la stessa, va pensata sul piano del tempo e non solo quello dello spazio. Ci vuole tempo infatti perché la parola-seme penetri nel terreno della mente e del cuore e rilasci silenziosamente il suo prezioso contenuto. Tempo, silenzio, disponibilità ecco tre cose che non devono mancare perché la parola costruisca in noi qualcosa di promettente (cf. D. Concolino, La parola affidata, Parlare di dio in un mondo plurale, Tau, Todi 2020, 120-123). Restare in questa prospettiva - l’incessante costruzione interiore di un bene - è il grande e faticosissimo progetto cristiano di vita.
Ma bisogna anche considerare entrambe le facce della questione. Le nostre parole - poiché ordinariamente la parola di Dio non giunge a noi allo stato puro, ma attraverso parole umane - non solo hanno la capacità di edificare ma possono anche distruggere ciò che si è faticosamente costruito. Possono distruggere sia il bene in noi che ovviamente anche il male. La parola edifica e la parola distrugge e - a volte - simultaneamente.
Ne facciamo esperienza quando, ad esempio, ci sfugge una parola inopportuna, fuori luogo, magari rivelando un segreto o portando a conoscenza parole di terze persone. Le parole ci appaiono qui come come oggetti acuminati, armi per colpire altri con le nostre invettive. In questo modo possiamo distruggere relazioni antiche, amicizie storiche, amori consolidati. Esse non sono più nutrimento dell’anima, consolazioni, incoraggiamenti, disposizioni bene-volenti che guariscono ferite interiori. Non sono più parole che scusano, perdonano, ma suoni ostili, addirittura letali.
Il valore performativo del linguaggio, la sua intrinseca capacità di plasmare e modellare il nostro pensare ed il nostro agire è oggi molto studiata. A noi interessa qui evidenziare come, sul piano dei contenuti, della prosodia, nella forma di parola parlata e scritta, è falso l’assunto che le nostre parole sono solo suoni passeggeri e senza consistenza.
La parola nutre e affama, edifica o distrugge, illumina o confonde, possiede insomma infiniti gradi di approssimazione e di sfaccettature tra i due estremi del bene e del male. Tutto ciò è necessario metterlo in conto ogni volta che si parla, si scrive, si dialoga, si chatta, si pensa.
Ecco allora dove nasce sorgivamente la necessità di un etica della parola, dove risiede la nostra responsabilità del proferir parola e dell’arte dello scrivere, per chiunque si voglia pensare autenticamente uomo e cristiano. Noi siamo responsabili delle nostre parole, lo sappiamo anche dal semplice fatto giuridico (diffamazione, testimonianza falsa, ecc.), Gesù lo ribadisce, si è responsabili davanti a lui di ogni parola senza fondamento (cf. Mt 12,36). Inoltre è necessaria anche un’etica dell’ascolto, si perché anche chi ascolta deve attrezzarsi di personale difesa linguistica. Chi ascolta può e deve esercitare un sano discernimento su tutto ciò che ascolta. Un discernimento che affonda le sue radici in una interiorità di luce previa.
Gesù infatti dice di stare molto attenti sul modo di ascoltare e non solo su quel vigilare sulle parole dette:“Diceva loro: «Fate attenzione a quello che ascoltate.” (Cf. Mt 4,24). Da Gesù in poi la pratica dell’ascolto è tanto importante quanto quella della parola parlata. Accanto al dire bene c’è sempre un udire bene. Da quest’ultimo dipende il superamento di quella patologia della parola che ci impedisce di trattenere e conservare il buone il vero ed il bello e lo distingue da ciò che bisogna rifiutare, perché seme marcio e potenzialmente distruttivo. In questo prudente atteggiamento trova radice una ecologia della parola parlata e scritta.
Un ultima cosa mi preme sottolineare: i criteri di discernimento che toccano la parola parlata e quella udita, per un cristiano, nascono soprattutto da visioni ampie, sguardi d’insieme intessute di bellezza, verità, giustizia, virtù, fede, amore. Questa quotidiana pratica di discernimento non ammette sconti. Esige tempo e attesa. La vera sfida educativa di questa attuale temperie si concentra in questa attività lenta di formazione di menti e cuori chiamati ad accedere non a nozioni sparse e magari incomplete e contraddittore, ma appunto a visioni ampie che fanno respirare l’anima, a luoghi e testimoni ricchi di Spirito Santo che spingono lo sguardo in alto ed in profondità, maestri che ci fanno scoprire i tesori spesso dimenticati della fede cristiana. Dedicare tempo e risorse alla propria crescita interiore fa un buon servizio all’umanità, mettendo un argine preventiva alla superficialità e disponendoci alla purificazione delle nostre prese di posizione davanti al mondo e davanti agli uomini.
* Domenico Concolino - Cappellano Campus Universitario Magna Graecia - Docente Teologia Istituto Teologico Calabro
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