Cronaca
Paolo Borsellino era intercettato
PALERMO-22 LUGLIO 2014- A pochi giorni dall’anniversario della sua morte, vien fuori la notizia che forse lo stesso Paolo Borsellino sapeva, ovvero la mafia sapeva di tutti i suoi movimenti perché lo intercettavano. Del resto, aveva di questi sospetti anche Giovanni Falcone, morto pochi mesi prima di Borsellino.[MORE]
A rivelarlo è stato Totò Riina, anche lui intercettato, che lo racconta a un compagno di cella. Di quella domenica del luglio 1992, Riina racconta che il giudice, chiamando la madre al telefono, le disse che l’indomani sarebbe andato a trovarla. La mafia fece la stessa cosa. Quando seppero che Borsellino sarebbe andato in via D’Amelio, misero altro esplosivo nella 126. Fu un autentico colpo di fortuna, come racconta Riina, la telefonata del giudice alla madre.
Il boss mafioso non risparmia giudizi neanche alla sorella del giudice Rita, definita come disgraziata inviperita che non ha digerito la morte del fratello.
Nelle sua conversazioni, il capomafia racconta come andò l’attentato. Quando la scorta del magistrato arriva in via D’Amelio, gli uomini al servizio rimangono in strada. Borsellino si avvicina al citofono e pigia il campanello. Lì c’è il telecomando che innesca l’esplosione e fa saltare per aria il giudice e gli uomini di scorta.
Tutto ciò Riina lo racconta ad Alberto Lorusso, detenuto con il quale Riina trascorre l’ora d’aria. Il testo delle conversazioni è depositato nel processo sulla trattativa Stato-Mafia.
Riina racconta ancora che per ani la mafia ha cercato di uccidere Borsellino, sin da quando il magistrato era stato trasferito alla Procura di Marsala. Il gruppo stragista aveva architettato al meglio l’attentato e aveva tenuto in conto anche un eventuale fallimento. Per questo aveva piazzato tre
telecomandi: uno attivato la trasmittente, che il magistrato s avrebbe attivato suonando il citofono e mandando l’impulso alla ricevente che era piazzata nell'autobomba. Per i magistrati è la stessa tecnica usata nella strage al rapido 904. Per quella strage, Riina è stato rinviato a giudizio come mandante.
Tale innesco lo si usa quando non si può restare vicino al luogo dell’esplosione. Negli anni in cui il pool antimafia di Palermo sapeva e diceva di essere intercettato, molti esponenti e colleghi magistrati li accusavano di manie di persecuzione e di protagonismo. Lo stesso Leonardo Sciascia, in un suo editoriale sul Corriere della Sera, li chiamò professionisti dell’antimafia. Ora, dopo le conferme di Totò Riina, si dovrebbe quantomeno chiedere scusa a chi la mafia l’ha combattuta.
Giovanni Dimita