Cronaca

Paolo Borsellino, 26 anni dopo, la strage in via d'Amelio

 Palermo, 19 luglio 2018 - Sono trascorsi ben 26 anni da una delle stragi più vergognose ed indimenticate della storia del nostro Paese. Era il 19 luglio 1992 quando si ha la notizia della morte del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta per mano della mafia. L'autobomba, una Fiat 600, imbottita di tritolo, fu fatta esplodere in Via d'Amelio, a Palermo, al civico 21 davanti l'abitazione della madre e della sorella del giudice, alle quali stava facendo visita. Erano circa le ore 17 quando Borsellino resta ucciso nell'attentato, il suo corpo completamente carbonizzato con la perdita netta del braccio destro.[MORE]

Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cusina, Claudio Traina e Vincenzo Limuli sono gli agenti della scorta rimasti uccisi, altri quindici tra militari e civili rimasero feriti, tra cui l'agente di polizia di stato Antonio Vullo. Resti di corpi furono ritrovati a distanza di settanta/cento metri dall'epicentro dell'esplosione. Dopo la strage di Capaci, "Cosa Nostra" compie l'ennesimo atto brutale, basti pensare che la deflagrazione, di una violenza inaudita, fu avvertita in tutta Palermo. Una vera e propria strage, automobili che bruciavano, cadaveri e resti umani sull'asfalto. Si assistette ad un continuo via-vai, in via d'Amelio, di tutte le figure istituzionale del tempo: il ministro dell'Interno Nicola Mancino, il capo della polizia Nicola Parisi, il cardinale Salvatore Pappalardo, il sindaco di Palermo Aldo Rizzo ed arrivò sul luogo anche il figlio del giudice, Manfredi, che all'epoca aveva non più di venti anni.

Proprio oggi durante la funzione celebrativa per l'anniversario della strage, al cospetto dei figli di Borsellino, interviene il Capo di Stato Mattarella con queste parole "Onorare la memoria del giudice Borsellino e delle persone che lo scortavano significa anche non smettere di cercare la verità su quella strage" - continua Mattarella - "Borsellino era un giudice esemplare: probo, riservato, coraggioso e determinato. Le sue inchieste hanno costituito delle pietre miliari nella lotta contro la mafia in Sicilia. Insieme al collega e amico Giovanni Falcone, Borsellino è diventato, a pieno titolo, il simbolo dell’Italia che combatte e non si arrende di fronte alla criminalità organizzata".

Dopo ventisei anni si sta cercando ancora la verità, ma non è facile quando ci si trova a combattere contro un sistema troppo ramificato e fondato sulla criminalità, sulla menzogna, sulla violenza come quello delle mafie. Il ricordo di Borsellino come quello del giudice Falcone, delle loro scorte, dei loro familiari, delle loro vicende che hanno scosso la vite di chi in quei giorni si sedeva davanti la T.V, resta ancora vivo, le immagini sono ancora ben impresse nella mente di chi ha vissuto quel periodo.

La memoria serve per tener vivo un ricordo, bello o brutto che sia, ma serve anche per non dimenticare chi ha lottato e non si è fermato, consapevole dei rischi che correva, in nome della giustizia. Questi sono gli eroi, senza tempo, da prendere come esempio, è un dovere da cui non ci si può sottrarre.

Laura Fantini

fonte immagine ilportinaio.com