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CATANZARO, 29 MAGGIO 2015 - “Uscire a giocare qui sotto, è diventato impossibile, a certi orari”. “Quando ero piccola potevo scendere nel parco da sola, senza nessuna paura. “Ora non farei mai passeggiare i miei figli, da soli”. “Pistoia era un quartiere residenziale, solo 20 anni fa, in pochi anni è diventato una terra di nessuno”. “Non chiediamo tanto; solo di vivere in un posto tranquillo”. [MORE]
Sono solo alcune delle testimonianze, che ragazzi, bambini e adulti, del quartiere Pistoia, rilasciano ogni settimana ai ragazzi del progetto “On the Street”, con il quale si è subito instaurato un rapporto di fiducia e reciproco scambio di idee e riflessioni, grazie alla formazione sul campo, fatta dai gruppi nelle settimane precedenti.
Ora che il progetto è entrato nel vivo della sua azione sociale di riqualificazione culturale e ambientale delle aree interessate, emergono anche i reali bisogni, le paure e le speranze di chi, da un periodo all’altro, ha visto la sua casa trasformarsi, da luogo ideale a terra di mezzo tra l’indifferenza e la rassegnazione.
È così che abbiamo raccolto le testimonianze di chi il quartiere lo vive da sempre, per riuscire a capire ed entrare nel profondo malessere di una comunità: “Appena hanno inaugurato il Parco, intitolandolo alla memoria di Paolo Borsellino, hanno promesso tante cose, ma a distanza di pochi anni, la situazione è quella che vedete: erbaccia alta; giochi per bambini rotti e abbandonati; la fontana che perde…..” dice una delle ragazze che vive qui da sempre. “ L’erba è così alta, la dentro succede di tutto, droga, spaccio”, dicono i bambini e i ragazzini impegnati a evadere con la fantasia, tra un tiro a basket e una canzoncina imparata lì su due piedi. Ragazzini svegli, intelligenti e sensibili, ma che alla domanda su chi era Paolo Borsellino, entrano in uno stato di smarrimento emotivo e psicologico, di associazione d’idee e parole, che li porta ingenuamente a rispondere; “uno della mafia!”.
In questo quartiere, la vita è cambiata così velocemente, sotto gli occhi degli abitanti, che gli stessi, non sono riusciti a capire cosa sia successo. Quando gli viene chiesto cosa vorreste fare, se il parco fosse risistemato e ripulito, loro rispondono: “Una volta si facevano delle feste, con le bancarelle, le giostre, ora è tutto finito”. ”Ci piacerebbe poter tornare a giocare e fare sport qui, senza pericolo di farci male o, essere cacciati da casa nostra”.
Il riferimento è ovviamente indirizzato alla difficile convivenza con la comunità Rom, che si è insediata da poco e, a detta loro, la causa di tutta questa situazione di disaggio ambientale e sociale. Un convivenza probabilmente forzata che, invece di creare dialogo, confronto e spirito d’integrazione, ha generato insofferenza, intolleranza da parte di entrambi le comunità, paura e degrado. Sono gli stessi bambini, con gli occhi del timore, ha dire; “noi non vogliamo avere nulla a che fare con loro”!
Pensiamo sia normale? Preferiamo corazzarci con le armi della nostra indifferenza, sicura che tanto il mostro sta sempre in prima pagina? Accusiamo la comunità più piccola e ultima arrivata, perché non è stata capace di adeguarsi alle nostre regole? Liberi di pensare ciò che vogliamo! Del resto è diventato lo slogan preferito dei ricercatori del consenso perduto.
Ma se per una volta, si volesse aprire gli occhi, dovremmo accettare di non aver mai osservato bene ciò che ci circonda; poiché la società che abbiamo costruito è, per sua stessa natura, settoriale e poco incline stimolare un confronto culturale tra le menti e le personalità. Se le istituzioni, le forze dell’ordine, le associazioni, sono assenti o indebolite della loro capacità di azione, dovremmo anche capire che il loro bisogno di attenzione, corrisponde al nostro bisogno di partecipazione. Proprio una della finalità di On the street è rendere i ragazzi, attori della loro storia e della loro realtà; una realtà che appartiene a tutti noi, parte di una comunità più grande, che è quella dell’uomo e le testimonianze riportate, non devono aumentare il bisogno di intolleranza verso ciò che ignoriamo, ma permetterci di capire che l’ambiente stesso determina la convivenza e lo spirito dell’uomo: un ambiente sereno, genere persone serene.
Notizia segnalata da (Progetto “On the Street)