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Comfortably Nymphomaniac: Vol. I e preliminari d'una recensione

NYMPHOMANIAC - PARTE I DI LARS VON TRIER, LA RECENSIONE (preliminari). In attesa della seconda parte, emerge il corpo di un'opera dalla regia fisica (sovrimpressioni, struttura in capitoli, split-screen) e dalla concettualità ambigua, tesa alla ricerca dolorosa ma distaccata d'un pattern, d'una rivelazione, d'una verità oltre la pelle.

Ma se vuole capire, io... devo raccontarle la storia per intero
- dice Joe (Charlotte Gainsbourg) nelle prime battute di Nymphomaniac, prima di mettersi a nudo. Sta per ricostruire la propria vicenda, capitolo dopo capitolo, la mascella ancora turgida per qualche botta e visibili escoriazioni - ma forse fanno più male quelle della memoria. Così l'ha raccattata Seligman (Stellan Skarsgård) ad inizio film, in un vicolo al quale la macchina da presa giunge come allo snodo d'un labirinto di mattoni implacabili. L'inizio, appunto, poi un coito interrotto: l'ultima fatica di Von Trier - ma forse dovremmo dire Von Teaser - s'interrompe sul più brutto, su una svolta pazientemente costruita come un tessitore di melodie, e rinnegata in extremis come un compositore di distonie. Sospeso, dunque, il filo della storia, dopo la sfilata di psico-fisico-drammi, aneddotica da kamasutra, episodi da lettino dello psicologo, intervallati dalle savie parole dell'anfitrione ebreo, tra un dolcetto e qualche ardua metafora per costruire un pattern che dia un senso all'amarcord di mutandine sfilate e alla gallery - ovviamente ostentata - di membri maschili.[MORE]

 

I SOLITI SOSPETTI - In attesa di capire cosa sia Nymphomaniac (la seconda parte in uscita il 24 aprile), si afflosciano i soliti sospetti, momentaneamente eccitati da una campagna di marketing efficace, ma che non rende giustizia al contenuto del film: il film di Von Trier non è una sterile provocazione, nè un giocattolino delle campagne pubblicitarie. Spogliandosi dei pregiudizi, ci si sorprenderà persino a rovesciare le prime, carnali impressioni: Nymphomaniac è un film sull'amore, più che sul sesso; sulla solitudine, più che sulla copula; un film filosofico, oltre che fisico. Riunite le tracce in un'unica polifonia, è la storia di una ninfomane diventata un-comfortably numb, insensibile, ma non dolcemente - al punto di sgocciolare persino in ospedale, mentre il padre giace malato.

 
RITRATTO DI SIGNORA H. - Tutta l'amarezza d'un ricordo intriso di brividi affiora in una successione di flashback - in cui sale in cattedra Stacy Martin, nei panni di Joe da giovane - e viene rimestata con distacco nella stanza di Seligman, a rimpiattino col presente, nel conato di capire, persino nello sforzo di sapersi amare: "sono solo un pessimo essere umano". "Terribile", aggiungerà dopo, forse per troppa paura del vuoto: di agghiacciante lucidità il capitolo sulla Signora H. (Uma Thurman, regina di ghiacci disciolti), con la donna tradita che consegna il marito alla giovane ninfomane, portando con sé i figlioletti in un tour guidato dei traumi, con tanto di sosta sul lettino dell'adulterio. Un ritratto di Signora (e signorina) ficcante, impietoso. Da un lato il pentolone di rancori della Thurman, dall'altro il vuoto, l'atonia di Stacy Martin, che lancia i dadi per lasciar decidere all'insensibile caso cosa rispondere agli appassionati pretendenti. Troppo amore uccide, anche troppo poco.


INTERRACIAL: IN BIANCO E NERO - Tra anali ed analisi, un miracolo profano di regia: realizzare un concept dalla fisicità dirompente, forse proprio perché il concetto scivola e si dibatte come un pesce impossibile da pescare. Fisicità, peraltro, non già e non soltanto per i corpi in mostra, quanto per la mostruosa meccanica del ripensare, ri-eccitare, ri-suscitare: lo stile, la pelle della pellicola si avvolge nello chiffon strappato di una seduzione aggressiva, con sovrimpressioni, invasioni musicali, split-screen chirurgici, persino il bianco e nero quando serve. All'inizio, ad esempio, serviva solo il nero: nel prologo, coi rumori della strada sullo schermo completamente oscurato. Poi fu la luce: e nella stradina vien fuori, in posizione fetale, l'ammasso di lividure di Joe. Annientata dall'oscuro passato, la sua storia comincia - ma non finisce, non ancora: pure, sembra già il b-side di una parabola, con tanto d'infanzia agrodolce, in cui spunta li ricordo del padre (Christian Slater) e del racconto sul frassino, un tree of life di sapore malickiano, col cosmo sopra, la (in)coscienza dentro, ed il corpo in mezzo: confuso.

L'albero ha le gemme nere, perchè secondo la mitologia nordica avrebbe messo le dita nella cenere. Sotto la sua, di cenere, fading to black, quasi annerita dentro, Joe prova a riscoprire la propria bellezza fragile, o solo a rinverdire la propria bruttezza, con Seligman formato terapeuta, o esegeta d'una Bibbia del corpo: lui, l'ebreo, che ascolta il salto verbale dal mea vulva al mea culpa, l'immersione panteistica nella natura, ed il farsi immergere di Joe, sottolineato dalle passeggiate al parco, dagli interludi boschivi. In questa cornice si ha la sensazione di due mondi, due etiche della sofferenza, due razze dell'esperienza, che s'intrecciano ma restano distinte come i temi d'una fuga di Bach: una incline alla rivelazione (Seligman), l'altra a digiuno di verità (Joe), per troppo fisico e poco concept. Troppa insensibilità: "per me la ninfomania era insensibilità" (Joe). Ma non comfortably, questo è il problema. 

(.... continua ....)

DATA USCITA: 03 aprile 2014
GENERE: Drammatico, Erotico
ANNO: 2014
REGIA: Lars von Trier
SCENEGGIATURA: Lars von Trier
ATTORI: Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård, Shia LaBeouf, Christian Slater, Willem Dafoe, Udo Kier, Jamie Bell, Stacy Martin, Uma Thurman, Connie Nielsen, Jesper Christensen, Jean-Marc Barr, Caroline Goodall, Kate Ashfield, Saskia Reeves, Nicolas Bro, Mia Goth
SITO WEB ITALIANO
FOTOGRAFIA: Manuel Alberto Claro
MONTAGGIO: Morten Højbjerg, Molly Malene Stensgaard
PRODUZIONE: Zentropa Entertainments
DISTRIBUZIONE: Good Films
PAESE: Danimarca
DURATA: 110 Min



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Antonio Maiorino
critico cinematografico - follow on Twitter