Salute
Studio apre a potenziali farmaci contro la Sla: individuato killer molecolare che uccide neuroni
WASHINGTON, 29 DICEMBRE 2015 - Smascherato il “killer” molecolare che uccide i neuroni del movimento in molti pazienti colpiti dalla Sclerosi Laterale Amiotrofica (Sla): è un aggregato di proteine estremamente instabile e reattivo, che “avvelena” il sistema nervoso centrale portando alla paralisi. La sua struttura tridimensionale è stata svelata per la prima volta dai ricercatori dell’Università del North Carolina. Per gli autori, questa ricerca potrebbe rappresentare un passo cruciale verso lo sviluppo di farmaci in grado di fermare la formazione dei grumi e la progressione della malattia. [MORE]
"Uno dei più grandi enigmi dell'assistenza sanitaria è come affrontare le malattie neurodegenerative: a differenza di molti tipi di cancro e di altre patologie, al momento non abbiamo armi in grado di ostacolarle", evidenzia l'autore senior dello studio, Nikolay Dokholyan. "Questo studio è un grande passo avanti, perché mette in luce l'origine della morte del motoneurone e potrebbe essere molto importante per la scoperta di nuovi farmaci".
Nel caso della Sclerosi Laterale Amiotrofica, i malati vanno incontro ad una graduale paralisi causata dalla perdita dei neuroni deputati al movimento, che controllano attività cruciali come la capacità di parlare, deglutire e respirare. In una piccola percentuale di casi (1-2%) è stata identificata una proteina mutata (chiamata SOD1) che tende a formare aggregati potenzialmente tossici nel cervello.
I ricercatori hanno scoperto che l’aggregato “killer” nasce dall’unione di tre proteine SOD1 “incollate” fra loro. Il team prevede di approfondire quale sia la 'colla' che tiene i trimeri insieme, al fine di trovare potenziali terapie che possano 'romperli' o evitare che si formino. Inoltre, questi risultati potrebbero aiutare a far luce su altre malattie neurodegenerative, come Alzheimer e Parkinson
"Ci sono molte somiglianze tra le malattie neurodegenerative", fa notare Dokholyan. "Quello che abbiamo trovato in questo caso sembra confermare ciò che era già noto sull'Alzheimer, e se riusciamo a capire di più su ciò che accade, si potrebbe potenzialmente aprire una prospettiva in grado di comprendere le radici di altre malattie neurodegenerative".