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Nuova Zelanda, entro martedì si concluderanno le operazioni di salvataggio della Rena

TAURANGA, 11 NOVEMBRE 2011 - Grazie al miglioramento delle condizioni meteorologiche, le operazioni di salvataggio della Rena, la nave porta-container che lo scorso 5 ottobre ha riversato in mare centinaia di tonnellate di petrolio in seguito ad un incidente avvenuto nei pressi della costa neozelandese di Tauranga, sembrano aver raggiunto una svolta positiva.[MORE]

I lavori di rimozione del petrolio presente ancora a bordo della nave incagliatasi sulla barriera corallina Astrolabe Reef potrebbero concludersi, infatti, martedì pomeriggio. Entro l'inizio della prossima settimana, se tutto procederà secondo i piani, i cinque serbatoi dovrebbero essere completamente svuotati. Secondo quanto riferito dal responsabile dell'unità di salvataggio, Arthur Jobard, l'estrazione di petrolio dalla Rena procede al ritmo di 2,5 tonnellate l'ora, ma i soccorritori stanno lavorando per incrementare ulteriormente le attività di pompaggio.

Il petrolio fuoriuscito dalla nave all'inizio dello scorso mese, tuttavia, continua a riemergere dall'oceano e a depositarsi lungo le spiagge della Bay of Planty. Il tratto di costa più colpito è quello che va da Mount Maunganui fino a Maketu. È qui che centinaia di volontari stanno lavorando incessantemente per ripulire le spiagge e mettere in salvo gli animali minacciati dalla marea nera, alcuni dei quali appartenenti a specie rare o in via di estinzione. Solo lo scorso mercoledì sono stati recuperati quattro piccoli pinguini blu ricoperti di petrolio, mentre fino a questo momento sono circa 1400 gli animali trovati morti e 408 gli uccelli presi in cura.

L'incidente alla Rena, che il ministro neozelandese dell'Ambiente, Nick Smith, ha definito «il peggior disastro marittimo ambientale nella storia del Paese», ha alimentato le pressioni degli ambientalisti nei confronti del governo affinché vengano fermate le attività di estrazione petrolifera off-shore. Il presidente del consiglio, John Key, ritiene che tra le due questioni non ci sia alcuna relazione, ma gli ambientalisti la pensano diversamente. «Se le autorità – dichiara la sezione neozelandese di Greenpeace in un comunicato – non sono riuscite a fermare una fuoriuscita di petrolio da una nave localizzata al di sopra della superficie dell'oceano, ben visibile dalla terra e nei pressi di uno dei porti più trafficati del Paese, essere colpiti da una fuoriuscita di greggio a migliaia di metri di profondità sarebbe sicuramente molto peggio. Non è possibile eliminare tutti i rischi, ma anche il freddo calcolo costi/benefici derivante dalle attività di perforazione petrolifera in profondità deve valutare la probabilità di fallimento calcolando la grandezza del danno che potrebbe derivare da un errore irreversibile, per valutare se la ricerca di petrolio in profondità sia o meno un'attività giusta per la Nuova Zelanda».

«In un Paese come il nostro – continua l'organizzazione ambientalista – dove l'ambiente marino ci fa guadagnare diversi miliardi ogni anno e costituisce il tessuto della nostra identità culturale, come testimonia la presenza di 7000 volontari impegnati nelle attività di pulizia della Bay of Planty, basterebbe solo una perdita di petrolio ogni trent'anni per eliminare completamente ogni guadagno economico derivante da questa attività».

(foto da theaustralian.com)

Serena Casu