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Nuova apertura nel muro perimetrale del Condominio e uso non consentito del bene comune
CROTONE, 11 MARZO - In materia di utilizzazione della parte comune nel condominio, è irrilevante la deduzione secondo cui l’uso più intenso della cosa comune non postula l’utilizzazione esclusiva della stessa da parte del solo condomino, ma ammette anche un uso da parte di terzi, autorizzati dal Condomino stesso. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 23858/2018, depositata il 2 ottobre.
Il caso. Alcuni condomini citavano in giudizio altri condomini dello stesso stabile deducendo che costoro avevano trasformato senza il consenso di tutti i condomini una finestra esistente sul muro perimetrale dello stabile condominiale in una porta mettendo in tal modo in comunicazione un locale destinato a bar con altro spazio esterno di proprietà dei medesimi convenuti. Ad avviso degli attori, in tal modo era stata realizzata un’opera illegittima idonea a costituire una servitù a carico del bene comune a tutti i condomini. Resistevano i convenuti allegando che l’intervento aveva soltanto consentito un più intenso uso del bene comune, ammissibile ai sensi dell’art. 1102 c.c..
Il Tribunale competente respingeva la domanda ritenendo che gli attori non avessero adeguatamente dimostrato che l’area scoperta non facesse parte dello stesso Condominio.
Avverso tale sentenza, gli attori interponevano appello e la Corte di Appello territoriale riformava l’impugnata sentenza ritenendo che la trasformazione della finestra in porta alterasse la destinazione e la funzione dell’apertura costituisse evento idoneo a costituire una nuova servitù a carico del Condominio. Riteneva, altresì, che l’intervento costituisse una possibile via di accesso di terzi estranei, avventori del bar, agli spazi condominiali, attraverso l’area esterna ed il bar degli appellati.
Avverso tale sentenza gli appellati proponevano ricorso per cassazione. Sostanzialmente i ricorrenti lamentavano la violazione dell’art.1102 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché il vizio della motivazione, perché la Corte di Appello aveva configurato un uso abnorme del bene comune, rappresentato dal muro di cinta, sul presupposto che una delle due proprietà dei ricorrenti (in particolare, lo spazio aperto) non fosse compreso nello stesso Condominio del quale faceva parte il locale ad uso commerciale, mentre avrebbe dovuto piuttosto ritenere i due beni compresi nel medesimo Condominio e configurare pertanto un uso più intenso della cosa comune, ammesso dall’art. 1102 c.c.. Inoltre, i ricorrenti deducevano che l’apertura da loro praticata non era idonea a costituire una nuova servitù a carico del Condominio, da un lato poiché il possesso del diritto non poteva essere esercitato dal gestore del bar e dai suoi avventori, e dall’altro lato perché l’uso più intenso della cosa comune ammesso dall’art. 1102 c.c. non si riferiva necessariamente al solo proprietario del bene, ma riguardava anche i terzi utilizzatori autorizzati dal proprietario medesimo. Secondo il Supremo Collegio, “né assume alcun rilievo, al riguardo, il fatto che il locale commerciale dei ricorrenti, posto certamente all’interno del condominio, sia stato concesso in locazione a terzi, giacché il titolo legittimante la detenzione in capo a costoro è soltanto idoneo ad escludere il loro diritto di possedere la servitù di passaggio ad usucapionem nei confronti degli odierni ricorrenti, proprietari del bene locato, ma non impedisce in termini assoluti la possibilità di questi ultimi di usucapire il predetto diritto di passaggio, anche per effetto del possesso mediato, nei confronti del condominio, né vale comunque a rendere lecita una condotta oggettivamente risolventesi in un uso abnorme e non autorizzato del bene comune”. Inoltre, secondo gli Ermellini, era corretta la statuizione della Corte d’Appello, la quale riteneva che nel caso di specie una delle due proprietà era estranea al Condominio e quindi la nuova apertura praticata sul muro perimetrale del Condominio costituiva uso non consentito del bene comune, idoneo a costituire una nuova servitù a carico del Condominio stesso.
Per queste ragioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express