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"No - I giorni dell'arcobaleno "di Pablo Larrain, Pinocchio batte Pinochet

È bravissimo, lui: René Saveedra, giovane pubblicitario. Saprebbe farti venire l’arsura in gola, per venderti una bibita gassata, come quando all’inizio – con che serietà – presenta il suo spot per la Coca Cola. Ed altrettanto facilmente potrebbe venderti la democrazia, mostrandoti con un altro spot quanto saresti felice senza Pinochet. Siamo nel 1988, ed il Cile si appresta a decidere attraverso un referendum le sorti di quel regime che aveva preso il potere sovvertendo l’ordine di Allende; e che per 15 anni aveva zittito opposizioni e fatto sparire dissidenti. Il risarcimento è una parcondicio a tempo: 27 giorni con 15 minuti per il si, ossia per la conferma del potere di Pinochet, ed altrettanti per il no. La parola alle urne, anzi alle antenne. I manganelli danno colpi di coda, i Saveedra e gli antagonisti cercano di dare nell’occhio randellando lo sguardo col tubo catodico.[MORE]

No – I giorni dell’arcobaleno, accolto trionfalmente a Cannes nel 2012, mostra tutta l’impegno storico, la scaltrezza narrativa, la maturità stilistica del regista cileno Pablo Larrain, in grado di muoversi tra filmati d’epoca, adattamento cinematografico di una pièce teatrale (di Antonio Skàrmeta, poi diventata anche romanzo per Einaudi) e crescita personale, dopo aver diretto altri due film sulla storia cilena recente, quali Post Mortem e Tony Manero. Nel costituire, attraverso l’intreccio di Storia e storie, una sorta di laboratorio per immagini sulla democrazia e sulla propaganda, Larrain trova un insostituibile frontman nel protagonista Gael Garcia Bernal, abilissimo nel bilanciare in un complesso gioco di sfumature la glaciale neutralità del tecnico dell’immagine, l’advertiser che trapassa senza colpo ferire dagli spot in difesa dei diritti a quelli delle soap operas; ed il padre di famiglia divorziato, attento devoto, ma preoccupato che la compromissione pubblica sia di danno al residuo nucleo familiare.

 

L’intreccio pubblico\privato si condensa, su questo versante, con uno dei tanti scatti di umorismo amaro di Larrain, nella scena in cui, dopo essere stato minacciato telefonicamente, il pubblicitario porta il figlio a casa della ex-moglie, nei cui confronti nutre ancora sentimenti non sopiti: sulla soglia, dopo saluti rituali ma accorati, accorre il nuovo amante di lei, con tanto di beffarda maglia con arcobaleno a favore del “no”. Per la serie: ci vuole fantasia per promettere la felicità agli altri. Il close up sulla faccia sofferta di René è impietoso.

LA CASTA SI BATTE A CASA - Questo dialogo costante tra il micro ed il macro, tra la vita quotidiana ed i grandi problemi della comunicazione politica, sostanzia il laboratorio di Larrain con un’esplorazione degli ambienti ordinari: dacchè, in fin dei conti, è negli stessi contesti della quotidianeità che nasce la voglia di un forno a microonde e quella di votare “no” ad un referendum. Si passa, allora, da veri e propri momenti di ricognizione mediatica, come quello in cui una pacifica signora viene interrogata sulle proprie intenzioni di voto (“perché vota sì?”), ad altri in cui le trasmissioni televisive si decentrano nel rumore di fondo, stemperandosi nel fuori fuoco mentre la macchina da presa ingrandisce un sandwich, o si sposta sul padre che gioca col trenino. È un livello di cinema che travalica il romanzo storico, in cui il dramma sarebbe inserito in un contesto veridicamente delineato. Qui, piuttosto, abbiamo un dramma documentario, in cui il protagonista – e con esso il regista – studia l’ambiente, studia le azioni, studia gli attori per risolvere in senso tecnico un problema dalle ricadute esistenziali, ossia quello di come abbattere un regime politico sul suo stesso terreno della propaganda. La confezione visiva, con stacchi che rasentano i jump cut ed un registro lo-fi dal sapore tv degli anni ’80, è essa stessa emula di un reportage: con l'iniezione, però, del privato, ossia del travaglio storico in famiglia.

CULLA DELLA DEMOCRAZIA, O DEMOCRAZIA IN CULLA? - Questo doppio binario della lucida analisi dei meccanismi del (quinto) potere da un lato, e delle ansie individuali e collettive dall’altro; delle promesse televisive di felicità riguadagnata, e del tormento sottocutaneo del genitore divorziato sulla propria felicità perduta, sembra riassumersi nell’immagine dell’infante smarrito: il figlio di René, sempre protetto e tenuto per mano, è un po’ come una giovane democrazia nascente, un Paese a lungo tenuto per le redini da un potere forte, la cui prova di maturità non è solo nel dire “no”, ma anche nello sviluppare quel senso critico e quella capacità di scelta che sono i pilastri della democrazia. E che, pare, non siano ancora all’orizzonte: bisogna infatti far uso di videoclip quasi demenziali, con gente che balla, bimbi arruffiananti, finti sorrisi per convincere le persone; mentre – contesta il pubblicitario ai suo collaboratori – non farebbero altrettanta presa le testimonianze sulle persone scomparse e sugli atti criminali del regime di Pinochet. Non è più il ditattore, ma il televisore a portare per mano un popolo che fa fatica a saper vedere: la falsità serve a far trionfare la verità, il quinto potere sostituisce la politica, ad una propaganda – in fondo – se ne sostituisce un’altra.

Pinocchio ha cambiato schieramento, ed ha battuto Pinochet. L’immagine del figlio di René chiuso in auto dal padre, che cerca di vedere qualcosa dal vetro mezzo appannato e scheggiato, è l’emblema di questa confusione: su cui, presto, piomberà l’industria televisiva al posto di quella militare, con i maschietti James Bond che fanno da propaganda alla soap opera, al posto dei veri agenti segreti che ammazzano i dissidenti.

Con No – I giorni dell’arcobaleno, Pablo Larrain non racconta solo il rovesciamento del regime di Pinochet, ma anche il dramma della responsabilità della vittoria per un popolo immaturo, a rischio dittatura del quinto potere: il cinema come laboratorio di democrazia, immagini per imparare a guardare.


Titolo originale: No
Regia: Pablo Larraín
Interpreti: Gael García Bernal, Alfredo Castro, Antonia Zegers, Luis Gnecco, Marcial Tagle, Néstor Cantillana, Jaime Vadell, Pascal Montero, Diego Muñoz
Origine: Cile/Francia/Usa, 2012
Distribuzione: Bolero Film
Durata: 118'

Antonio Maiorino
Critico d'arte e di cinema
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