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"No - I giorni dell'arcobaleno" di Pablo Larraín, profonda riflessione sul potere dell'immagine
No - I giorni dell’arcobaleno - ispirato all’opera teatrale El plebiscito di Antonio Skarmeta - terzo film della trilogia sulla dittatura cilena di Pablo Larraín, dopo Tony Manero e Post Mortem, è stato presentato al Festival di Cannes 2012, dove ha vinto la Quinzaine de Réalisateurs, successivamente ha ricevuto una nomination all’Oscar 2013 come Miglior film straniero.
Pablo Larraín costruisce una significativa parabola sul valore relativo dell’immagine veicolata attraverso i codici della comunicazione, facendone percepire un utilizzo come fine e come mezzo, rispettivamente nella ricostruzione scenica e nella storia raccontata: nella messa in scena la scelta estetica della perfetta verosimiglianza, ottenuta attraverso la decisione di girare il film in 4:3, con una macchina da presa dell’epoca (U-matic), ha lo scopo di rendere omogeneo il materiale di repertorio con le scene di finzione. All’interno della storia invece l’immagine è soltanto il mezzo con cui si affronta la campagna pubblicitaria del referendum ed il suo impiego è finalizzato a creare un immaginario di speranza e allegria che possa dare al popolo cileno il coraggio di votare per il No.
Nel 1988 il dittatore militare cileno Augusto Pinochet, a causa della pressione internazionale, è costretto ad indire un referendum per restare al potere altri otto anni. I leader dell’opposizione affidano ad un giovane pubblicitario, René Saavedra, figlio di un esule cileno, la preparazione della campagna per il No. Lo spazio concesso all’opposizione nella televisione di Stato è di soli quindici minuti in tarda serata (dalle 12 alle 12.15), mentre il resto delle trasmissioni è occupato, senza limiti di tempo, dalla propaganda di regime.[MORE]
Un filo conduttore, sottile e profondo, che fa riflettere sul valore molteplice dell’immagine, è il binario lungo cui si sviluppa il tema della narrazione. Lo spettatore, pur essendo perfettamente informato sullo svolgersi dei fatti e conoscendo il finale del racconto, entra facilmente in empatia con la vicenda e con i personaggi.
L’oggettività, elaborata per creare la più perfetta verosimiglianza, riesce a trasmettere emozioni intime e soggettive grazie alla ricostruzione significativa della sfera privata e familiare del personaggio principale. Pur filmato in 4:3 e con montaggio alternato agli spezzoni di video dell’epoca, René Saavedra presenta tutte le caratteristiche fondamentali per divenire l’eroe della storia a cui si allacciano i sentimenti del pubblico, il senso d’identificazione, il punto di vista interiorizzato che riesce ad essere universale e per cui anche gli avvenimenti più reali possono entrare a far parte del cinema.
Nella vicenda raccontata succede più o meno la stessa cosa: la genialità della campagna pubblicitaria per il No non è l’aderenza oggettiva alla realtà dolorosa del regime dittatoriale ma la capacità di reinterpretarla attraverso un linguaggio che genera empatia, fiducia, speranza. All’interno del film come all’interno della campagna per il No, assistiamo alla creazione di un immaginario in cui un’idea viene manipolata secondo i codici della comunicazione.
Ne deriva in entrambi i casi, oggi per noi al cinema come nel 1988 per i cileni in televisione, una sensazione di appartenenza, un potere positivo che si dimostra in grado di dirigere ed orientare le emozioni.
Certo, di contro, è inevitabile riflettere sul potere subdolo delle immagini in un sistema ormai dominato dal potere mediatico, sulla quasi impossibilità di difendere le proprie percezioni da migliaia di condizionamenti e consigli imposti, sapientemente veicolati con la certezza scientifica del risultato.
Indirettamente Pablo Larraín dimostra e fa riflettere anche su questo. Una incredibile forza, quella delle immagini, che può facilmente diventare un potere pericoloso se male utilizzata.
Ecco perché alla fine del film vediamo più smarrimento e timore che felicità negli occhi di Renè Saavedra mentre cammina con il figlio in braccio fra la folla esultante. Avviene qualcosa a cui non si può credere, razionalmente considerata impossibile lavorando dietro le quinte: un marchingegno di speranza, non identificato e senza nome che veste i colori dell’arcobaleno, esplode in tutta la sua forza e solarità, pur conservando sopito nel profondo, silenzioso e segreto, il dolore di ferite strazianti, forse incomunicabili. La folla esultante celebra la vittoria di una realtà democratica possibile che, prima d’esser tale, ha avuto la capacità di immaginare e regalare un sogno ad un popolo.
Avevo 12 anni nel 1988 e mi ricordo che il Cile era un paese grigio, plumbeo, triste. Questa campagna luminosa e fresca che evocava meno Pinochet che concetti universali - la gioia, l’allegria - creava una rottura. Ne conservo un ricordo molto forte, come tutti i cileni. Un ricordo che ha pochi rapporti con la politica in senso stretto.
Pablo Larraín
Titolo originale: No
Regia: Pablo Larraín
Interpreti: Gael García Bernal, Alfredo Castro, Antonia Zegers, Luis Gnecco, Marcial Tagle, Néstor Cantillana, Jaime Vadell, Pascal Montero, Diego Muñoz
Origine: Cile/Francia/Usa, 2012
Distribuzione: Bolero Film
Durata: 118'
(In foto Gael García Bernal/René Saavedra)
Qui la recensione di Antonio Maiorino
Gisella Rotiroti