Cronaca

Niente carcere per i giornalisti, salvo casi molto gravi

Niente carcere per i giornalisti, salvo casi molto gravi. Motivazioni sulla 'picconata' della Consulta a legge stampa
ROMA, 12 LUG - Niente carcere per i giornalisti che 'commettono' diffamazione, a meno che non si tratti di vere e proprie campagne di disinformazione, di fango nel ventilatore messo - non importa se su carta stampata, in tv o nel web - nella consapevole malafede della sua falsità. E' l'approdo al quale è arrivata la Corte Costituzionale con la sentenza 150 depositata oggi, relatore Francesco Viganò, e in parte anticipata lo scorso 22 giugno dalla stessa Consulta.

Dunque, nei confronti dei cronisti, l'ipotesi di finire in cella - in via residuale - rimane in vigore ma è 'relegata' a casi veramente gravi di compromissione della reputazione, nei quali, ad esempio, viene alterato un risultato elettorale. Questo il cuore delle motivazioni del verdetto con il quale i giudici delle leggi hanno dato una bella picconata - in attesa di una riforma invano attesa e auspicata - ad alcune delle norme sulla libertà di stampa datate 1948.

"Chi ponga in essere simili condotte, eserciti o meno la professione giornalistica, - scrive Viganò - certo non svolge la funzione di 'cane da guardia' della democrazia, che si attua paradigmaticamente tramite la ricerca e la pubblicazione di verità 'scomode'; ma, all'opposto, crea un pericolo per la democrazia", anche per i possibili effetti distorsivi di tali condotte sulle libere competizioni elettorali.

Ritengono - i giudici presieduti da Giancarlo Coraggio - che le norme che obbligano il giudice a punire con il carcere la diffamazione a mezzo stampa o tv, aggravata dall'attribuzione di un fatto determinato, sono incostituzionali perché contrastano con la libertà di manifestazione del pensiero, riconosciuta dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. La minaccia dell'obbligatoria applicazione del carcere, secondo la Consulta è 'nefasta' : può produrre l'effetto di dissuadere i giornalisti dall'esercizio della loro "cruciale funzione di controllo dell'operato dei pubblici poteri".

In particolare, la Consulta si è pronunciata su due questioni sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari, trattate nel giugno dello scorso anno. In quell'occasione, il Giudice delle leggi aveva deciso, con l'ordinanza n. 132 del 2020, di rinviare di un anno per dar modo al legislatore di approvare una nuova disciplina. Ma l'inerzia ha prevalso e così la Corte ha ora dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo 13 della legge sulla stampa (n. 47 del 1948), che prevedeva la necessaria applicazione della reclusione da uno a sei anni per il reato di diffamazione commessa a mezzo della stampa e consistente nell'attribuzione di un fatto determinato. La sentenza ha dichiarato illegittimo anche l'articolo 30, comma 4, della legge n. 223 del 1990 sul sistema radiotelevisivo pubblico e privato, che estendeva le sanzioni previste dall'articolo 13 della legge sulla stampa alla diffamazione per mezzo della radio o della televisione.

Se è vero che il diritto di cronaca e di critica "costituisce pietra angolare di ogni ordinamento democratico, non è men vero che la reputazione individuale è del pari un diritto inviolabile, strettamente legato alla dignità della persona". Pertanto, "aggressioni illegittime a tale diritto", compiute attraverso la stampa, la radio, la televisione, le testate online e i siti internet in generale, i social media e così via, "possono incidere grandemente sulla vita privata, familiare, sociale, professionale, politica delle vittime". Per questo rimane la cella per le fake news che in malafede hanno l'obiettivo di inquinare i pozzi in 'terreni' di particolare pregio. (Immagine di repertorio)